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Ferragni: il nostro fottuto mondo finto di uno specchio rotto

Quello che è accaduto a Chiara Ferragni denota tutto lo splendore del nostro fottutissimo mondo finto di uno specchio ormai rotto.

Sgretolato in un niente, come si sgretola una torta ormai vecchia rimasta troppo all’aria aperta. Il mondo basato sul nulla, sull’apparenza, sull’immagine, sulla pubblicità per un post da 90 mila euro.

Chiara Ferragni non ha semplicemente commesso un errore di comunicazione.

Chiara Ferragni ha semplicemente fatto soldi.

Quando la tegola le è piombata in testa nessuno poteva prevedere che da lì se ne sarebbe staccata un’altra e un’altra ancora. Prima Balocco. Poi la Safilo. Poi Trudi. E da lì sarebbe caduto tutto il tetto. E resistete alla tentazione da rosiconi di provare soddisfazione se uno più bello e “bravo” all’apice dei lavori, si ritrova catapultato giù.

Perché questa è l’iconica immagine del mondo che sta venendo avanti.

Basato sull’effimero. Sull’estemporaneo. Sull’orgasmo di un like, di un follower. Vivere di social. Lo sgretolamento dei rapporti umani. Lo slabbramento delle relazioni. Fottersene e fottere. Fare soldi nel totale disinteresse dei valori. Vivere di storie che durano 24 ore. Vivere nei social e dimenticarsi di esistere nella vita. Questa continua insicurezza acquietata dalla continua fottuta ricerca di una gratificazione istantanea.

Ormai è diventato tutto uno spettacolo. Noi che abbiamo le tende in casa, trattiamo le nostre vite come finestre a cui il mondo si affaccia.

Condividiamo tutto: affondare la forchetta nella pasta, andare al cesso, cagare, farsi la barba.

Viviamo per postare, taggare, hashtaggare, fare stories, condividere con un semplice tasto mosso da uno stupido molliccio ditino anziché dal vero.

Con l’erronea convinzione che per parlare con una persona ti serva una macchina. Un tablet. Uno smartphone. Un social. Una telecamera. Un filo. Un’informazione che arriva sempre più frammentata, fatta non più di libri e giornali da leggere, ma di titoli non capiti, di lezioni di giornalismo non richieste – Lucarelli docet – di frasi a effetto, di effetti speciali, di video che si sormontano, di foto spaziali nella lussuosa camera da letto, se poi il cesso è un cesso chissenefrega. Una platea di imbecilli dove ciascuno può dire la sua, ed è un bene sì, ma ora tutti parlano di tutto, non si approfondisce niente, leggere costa fatica, studiare figuriamoci, manco parlarne. Il solo ascoltare richiede uno sforzo intellettivo superiore a quello richiesto per mettere un like alla Pensati Libera di turno. La gente clicca, discute animatamente nei social si fa prendere dall’onda emotiva del momento, per poi rintanarsi nella sua vita e mostrare solo quella che non gli appartiene. Non è masochismo. È bulimia. Bulimia di sè. Egocentrismo.

È dare un potere a qualcuno e farlo credere onnipotente solo perché ha due milioni di followers. Un mondo dove non comandano i valori, l’etica, le persone con la P. Ma comandano le regole del mercato, del marketing, dei like comprati, dei risultati, delle visualizzazioni e sponsorizzazioni.

Occhio però che questo mondo vi catapulta fuori dalla Terra, poi quando ci rimettete piede sono cazzi amari. Ferragni insegna. E scusate se in questo post c’ho messo dentro tutto.

Ma per il pattume sociale si addice bene.

#sbetti

Anziani violentati. Gli orrori nella casa di riposo

Le hanno schiacciato in faccia il pannolone usato di un’altra. Le hanno detto “troi* putt*”. “Vecchia di merd. Maled cancara. Oca. Mong”.
Un’altra l’hanno pestata. Un’altra l’hanno violentata. Lanciata sul letto. A un’altra ancora le hanno sputato in bocca. La lanciavano con violenza. Niente cibo e pugni sulla testa. “Non me ne fotte un caz – dicevano – le lascio il pannolone sporco”.
E quando un anziano si ribellava gli sputavano in faccia e lo frustavano.
Ho letto nelle cronache locali la terribile vicenda che sta interessando la casa di riposo Monumento ai Caduti di San Donà di Piave nel veneziano.
E posso dire che mi viene il vomito. Mi fa tanto schifo. Ma tanto tanto ma tanto schifo. Tantissimo. Soprattutto se penso che in alcune case di riposo c’è ancora chi pratica la prassi del Green Pass, chi ancora fa fare i tamponi, e chi ancora, pur non essendo positivo (so per certo) viene tenuto in isolamento. Robe da matti.
L’isolamento a fronte di questi fatti gravi farebbero bene a infilarseli nel sedere.
In qualunque casa di riposo, non solo in quella interessata.
Nella casa degli orrori ci sono stati anni di denunce rimaste inascoltate, insulti, botte, pugni, schiaffi, per non parlare degli stupri e delle ripetute violenze sessuali su anziane invalide o allettate che non potevano in alcun modo difendersi. L’indagine è partita dal racconto di una figlia che aveva notato escoriazioni ed ecchimosi nel corpo della madre e un improvviso dimagrimento.
E poi ancora pranzi non dati, farmaci non prescritti, anziani lasciati sul letto con i pannolini sporchi, drogati con i barbaturici.
Un inferno quello emerso dall’inchiesta della procura di Venezia. Gli episodi certi sono quelli segnalati tra la fine 2022 e l’inizio 2023.
Una donna anziana è anche morta. Forse per le percosse e le molestie. Nelle carte dell’accusa emergono 13 violenze in 10 giorni.
Tale Davide Barresi, 54 anni, operatore socio sanitario, era stato ripreso mentre violentava sette pazienti. Se ne approfittava mentre dormivano. Si avvicinava. Si masturbava. Mimava atti sessuali che poi in alcuni casi portava a termine. Una roba di uno schifo assoluto.
E mi chiedo perché quando arrestino questi infermieri e oss, non li mettano dentro in isolamento in gattabuia finché campano in vita.
Barresi quando lavorava all’ospedale psichiatrico di Agordo nel bellunese era già stato coinvolto in un’indagine per abusi sessuali sulle pazienti. Condannato in primo grado, era stato assolto dalla Corte d’Appello di Venezia. Un trionfo.
Come fa un operatore che era già stato indagato a riprendere il proprio posto a contatto con soggetti deboli e fragili incapaci di difendersi?
Non so se queste persone che si macchiano di tali efferati crimini possano essere rieducati. Curati. Sanati. Nessuna cura è prevista. Qui non conta la rieducazione del condannato. La funziona rieducativa della pena. Perché non viene fatta loro una perizia psichiatrica prima di entrare in queste strutture? Perché nessuno controlla?
Perché non vengono sottoposti ad accertamenti mensili del loro stato di salute mentale?
Per due anni hanno controllato se la gente fosse infetta o meno. Per due anni gli anziani che avevano contratto il covid sono stati lasciati a morire soli senza manco un conforto di un parente.
Imparate a fare i controlli dove serve veramente.

sbetti

Mare dentro

La quiete del mare la conoscono in pochi.
Solo chi è nato al mare, o ha il mare dentro di sé, sa cosa vuol dire. Lasciarsi trasportare dalle onde. Non sentire il mal di mare perché il mal di mare è la linea perfetta del tuo vivere.
Il tuo bene. La tua salvezza.
Sentire la brezza marina che ti scompiglia e ti inumidisce i capelli. Farteli spettinare. E pregare che te li spettini più forte. Sentite il freddo che ti penetra le ossa. La brina che si deposita sui polpastrelli. Volgere lo sguardo all’orizzonte e vedere nient’altro che una distesa fitta di acqua che fa l’amore con la nebbia. Si fonde in essa. Si confonde. Si amalgama in un tutt’uno con il cielo. I pali di legno che escono dall’acqua che ti fanno intravedere la via. Alzare lo sguardo al cielo. Respirarne la quiete. E sentire che questo era quello che hai sempre sognato. Nell’attesa che finisca il giorno. Arrivi la sera e lasciarti cullare dalle onde di un letto caldo. Chiudere gli occhi. Respirare a pieni polmoni. Quell’acqua che sa di Mare.
Quel profumo di libertà, irrequietezza e ribellione che sempre ti salva nella vita, e che solo chi ha il mare dentro di sé può comprendere.

sbetti

Bugigattoli dove parlano solo dialetto

Non vi dico dove sono finita ieri. Sono entrata in una locanda dove a trovare qualcuno che parlasse italiano era come trovare un pesce vivo dentro a un fiume completamente vuoto. Infatti. Non ne ho trovato uno. Hai presente quelle bettole antiche dove ci mangiano gli operai e la gente si raduna e si racconta le barzellette? E smadonna. E impreca contro il governo. Contro la chiesa. Contro la moglie troia?
Hai presente quelle bettole dove si mangia strabene ma ti siedi sulla seggiola sopra le molliche degli altri e se non le scrolli tu giù per terra rimangono lì fino a sera? Hai presente quelle taverne bugigattoli dove la gente su dieci parole, sono undici bestemmie e sono rozze volgari, trozzalone, cerbere, ruvide e gregge? Più ruvide di una lastra di marmo al grezzo su cui non ci sbatte nemmeno la pietra. Quelle bettole dove senti la gente spalancare la bocca, dilatare le parole, schiudere le vocali, e urlare gridare come se nessuno li sentisse.
Hai presente di quelle locande dove i piatti sono caldi e il cameriere che ti serve in tavola ti serve in dialetto perché se lo senti parlare italiano non dice una cosa in fila che sia una e ti viene da scompisciarti dalle risate?
Ecco sono andata in questo posto, e ci stava un tizio seduto fuori con un po’ di gente attorno. Lui c’avea la barba e il cappello verde. E poi c’avea gli occhi piccoli piccoli che parea na mosca. E stava lì pasciuto e pieno con tutti sti adepti intorno. Lo stavano a sentire. Lo guardavano con fare attento. Qualcuno beveva già un cicchetto. Qualche altro avea il mento rivolto contro il basso e parea che dormisse. E pensare che prima venivo da una realtà totalmente diversa. Com’è strana la vita. Prima ti catapulta nella bellezza. Poi nella rozzezza. Grottesca. Grossolana. Ma vera. Rurale. Prima ero in un posto che Iddio ve lo auguro. Era bello. Luminoso. Chiaro. Gente giovane che cerca di costruire il futuro. Mattone dopo mattone. Filo d’erba dopo filo d’erba. Uno di quei posti dove sei al nono piano e guardi fuori e ci vedi i monti, innevati, imbiancati, con il cielo che forma mosaici di azzurro blu grigio violaceo. Come tanti tasselli e tessere colorate che si infilano nel cielo creando un gioco di colori. Il blu che si incastona con l‘azzurro. Il turchese che si incastona col rosa pastello. Il grigio che forma mille bolle come fossero nuvole nell’attesa di piovere. Da qui guardi il cielo. Ascolti le persone. Parli con la gente e ti vengono in mente tutte le cose che puoi fare. Quelle per le quali hai perso tempo ma non è mai tempo perso. I sogni. Le idee. I progetti. Poi sono uscita e sono andata a vedere dove sorge un fiume. C’era l’acqua che sorgeva bella rigogliosa florida. Su un’altra era completamente in secca. Ma questa è un’altra storia…

sbetti

Nemmeno il gemito di un orgasmo benedetto

È da giorni che sono sul fronte prostituzione e il mio telefono brulica di messaggini di tette, culi, patatine al vento, capezzoli, piedi, curve mastodontiche lineari che se fossi un uomo sarebbero da mozzare il fiato. Ma per me che sono una donna mi causano un lieve sussulto.
Come fosse occluso da una enorme bolla che gorgoglia e produce il rumore, discontinuo e sommesso, di un liquido dentro intento a fuoriuscire in completa ebollizione.
Sul fronte della prostituzione c’è tutto un sottobosco che trombare è diventato più facile di andare a prelevare. Ci sono intere agenzie che scortano e snocciolano escort che Dio manco te le immagini. Basta connettersi al sito. Selezionare la zona di tuo gradimento giusto per non fare tanta strada perché trombare costa soldi. Ognuna mette le proprie foto e il proprio falso nome ed è facilmente contattabile sia chiamando e pigiando il tasto “chiama”, sia su whatsapp pigiando il tasto verde. Lì parte un messaggino già precompilato che dice così: “Ciao … ( nome ) ho visto il tuo profilo su … e vorrei fissare un appuntamento con te”. Le risposte arrivano quasi subito: “Ciao Amo”, “Ciao Teso”, “Ciao bello”, “Anche ora vuoi venire?”, “Vuoi venire tra mezz’ora?”, “Dimmi tu Amo, io sono in zona stazione”, “Ciao tesoro, mio servizio: massaggio sex, bacio alla francese, doccia insieme, pompino, sperma sul corpo. Possiamo fare diverse posizioni, 69, alla pecorina Ho un vestire sexy o lingerie, tacchi)
30 min con me 150 euro // 1h 200 euro. A che ora vuoi venire?”. Un’altra mi ha scritto: “Sono vaccinata. Ma eviterei bacio con la lingua. Se vuoi chiamami che ci mettiamo d’accordo. Io sono molto occupata e mi sposto in continuazione”. Infatti queste ragazze molte delle quali non parlano italiano – di quelle italiane con cui e ho parlato, alcune sono persone estremamente intelligenti che sanno fin dove possono arrivare – si spostano da una parte all’altra dell’Italia coordinate da un tutor che le sballotta di qua e di là a seconda delle richieste. Da chi venga pagato il tutor non si sa. Vivrà di pubblicità.
Sopravvive chi è così talmente abile da farsi una sua clientela e gestirsela da solo. Ma la cosa che mi ha colpito è stata la celerità con cui queste persone ti rispondono anche solo per farti un pompino. Chiedono 150 euro per mezz’ora. 200 per un’ora. Seicento per una serata. Mille per una notte. Se uno sta attento guadagna 600 euro al giorno.
A una ho detto che sono bisex e che io e il mio compagno andiamo in cerca di avventure. Erano le seitte di sera. Mi ha detto senza conoscermi: “Vieni alle 19.15. Sarò il vostro paradiso”. La celerità dei rapporti. Il mordi e fuggi. Il troppo sesso dappertutto e il non farlo mai veramente. Distratti. Annoiati. Assorti. Stanchi. Disorientati. C’è così talmente sesso in questo mondo senza sesso senza amore che a fine giornata ero ubriaca a forza di sentirne parlare. Se ne parla troppo e lo si fa sempre meno. Sì è sfondato il mito. Il tabù. Il sesso non interessa più a nessuno. Non è l’uomo che tratta la donna come oggetto ma è la donna che in cambio di una prestazione chiede tot soldi.
La passività poi delle giovani generazioni così talmente oberati di sesso online, influencer, video porno che ha finito col partorire una generazione bulimica di spettatori e non attori. Un gesto meccanico. Freddo. Quasi chirurgico. Elettrico. Una scossa e passa tutto. Passa la paura. La solitudine. L’angoscia. Il non sentirsi all’altezza. Pronti. Sciolti. La prepotenza con cui il sesso è entrato nelle nostre vite. E l’abulia con cui se ne va. Senza dire niente. Senza fare rumore. Nemmeno il gemito di un orgasmo benedetto.

sbetti

Venezia senza veneziani

Libero – 18 agosto 2022

Te la ricordi Venezia piena solo di veneziani?

Oh sì che me la ricordo. Erano i tempi del covid. Dove Venezia era vuota scarna magra, metteva l’angoscia. Giravi per mezz’ora e non trovavi anima viva. Quando hanno riaperto poi, in giro vedevi i veneziani correre e fare jogging. Jogging capito. Jogging. Vedere a Venezia qualcuno che pratica la corsa è surreale. Ante pandemia era impossibile. Sia in estate che in inverno non c’era un metro quadrato libero. La gente si accalcava sulle calli, si accoccolava davanti le vetrine, con le mani impiastricciate di gelato si ammucchiava ovunque. E Venezia resisteva. Ha sempre resistito. Ha resistito con l’ “Aqua granda”, 4 novembre 1966. Ha resistito con l’acqua alta, 12 novembre 2019. I commercianti spalavano secchiate fuori dai negozi e l’acqua ritornava indietro. “Uno. Due. Tre”. E a ogni secchio era un “ti ta morti cani” e a ogni “ti ta morti cani” era una bestemmia. Ha resistito al covid. Alla chiusura. È rinata. È riesplosa in tutta la sua bellezza. Questo museo a cielo aperto dove ovunque ti giro ci vedi l’anima perfino di una colonna. Ha resistito al trotterellare dei trolley, alle cavalcate dei turisti, a chi correva a destra, a sinistra, in una sgambettata senza fine. Ha resistito ai turisti cafoni. A chi l’aveva presa come pisciatoio, come sessodromo, come vasca da bagno.

Ma oggi. 

Oggi Venezia sta scendendo. La sua popolazione la sta abbandonando. Venezia in centro storico è scesa sotto i 50 mila abitanti. Se vai in campo San Bartolomio ci vedi il “contaveneziani”. L’hanno messo lì, lampeggiante, in una farmacia. A ogni veneziano che muore o se ne va, il “contaveneziani” scende. E lo fa con una facilità estrema. Fuori uno. Fuori due.

Due anni fa c’era una coppia, gestore di un negozio alimentari in piedi da 113 anni, che non trovava veneziani a cui cedere l’attività. Se provi a cercare casa idem. A Venezia è impossibile. Ti viene voglia di guardarla, scrutarla, assaporarla e poi prendere e andare via. Non c’è un affitto che sia proponibile. Chi affitta, lo fa solo a turisti o studenti. Il prezzo dell’affitto sale, il periodo è breve e si guadagna di più. “Non è che i veneziani non vogliono più stare a Venezia – confida a Libero il manager di un noto e prestigioso hotel che preferisce mantenere l’anonimato – è che chi vorrebbe venire a vivere in questa città incontra tutta una serie di problematiche. L’affitto improponibile, la qualità dell’ immobile inaccettabile. Qui ci abbiamo perso tutti. Ovvio che per noi è meglio avere i turisti, ma i veneziani per dire dove vanno fuori a cena? Se ne vanno perché in alcuni periodi qui ti senti invaso, ti manca l’aria, c’è l’impossibilità di godere dei propri spazi. Questo è dovuto anche a chi, avendo una casa, ha deciso di metterla in affitto e fa locazioni brevi. Non incontrerà mai residenti”. Basta passarci per le calle veneziane. Può capitare di fermarti su un palazzo dove su dieci campanelli, otto sono bed and breakfast. Persone di nostra conoscenza sono state “sfrattate” perché dove abitavano ci hanno fatto un affitta camere. “Non è che meno veneziani porti un aumento del turismo – ci dice il manager – l’ affluenza è dettata dalla destinazione, dagli eventi che propone. Ovvio che vorremmo tornassero i turisti che spendono. Certo che i clienti che vengono trovano una città svuotata della sua anima”.

Insomma uno choc. “Lo choc dei 50 mila c’è – dice Renato Brunetta, ministro, che di Venezia se ne intende – ma è relativo. Bene che se ne parli perché suona come un campanello d’allarme per poter fare un ragionamento più ampio. Quello che sta subendo il centro storico è identico a quanto accade a Firenze, Milano, Roma, dove i centri si svuotano di funzioni urbane standard a favore del turismo. Con quello di massa si sviluppano servizi che hanno sempre meno bisogno di residenti per vivere. Bisogna agire con progetti, ed è quello che stiamo facendo con Venezia capitale della sostenibilità”.

C’è anche chi lancia un monito all’amministrazione comunale. “Ai 49 mila abitanti – dice Claudio Scarpa, direttore associazione veneziana albergatori – vanno aggiunti i 25 mila del Lido e i 5000 delle isole. Il vero allarme è l’indice di invecchiamento. Per ogni bambino da 1 a 14 anni ci sono tre vecchi sopra i 60 anni. Noi chiediamo all’amministrazione di dare non più le case in base al reddito, a chi appare essere povero, ma solo a chi ha moglie e figli”. Ma il sindaco della città lagunare, Luigi Brugnaro, vorrebbe contare anche i domiciliati. “L’anagrafe tiene conto solo di una parte delle persone che vivono abitualmente in città, ossia i residenti – dice l’assessore ai servizi al cittadino Laura Besio -per superare questa criticità, il sindaco aveva annunciato di “aprire la quota dei domiciliati, affinché si registrino come tali”. E intanto Venezia perde veneziani.

Serenella Bettin

Madri che ammazzano i figli: “Quando inizia deve finire”

Libero giovedì 16 giugno 2022

Quando l‘altro giorno ho saputo che la madre di quella povera bimba a Catania aveva confessato, ero a Cesena per un servizio e in auto con un collega ho detto: “Dio mio che orrore. Non può essere una cosa del genere”.
Quando capitano questi fatti orrendi per giorni ci penso sempre. Mi fa paura l’essere umano. L’instabilità. La precarietà delle menti di padri e madri che hanno messo al mondo figli.
Ho il terrore della precarietà delle menti del genere umano.
Poi ieri mi è capitato di intervistare Vincenzo Maria Mastronardi, psichiatra, criminologo, docente all’Università.
Il suo libro “I serial Killer”, una notte quando ancora studiavo Legge, l’avevo divorato tutto.
Non avrei mai pensato di riuscire un giorno a intervistarlo. E ieri quel giorno è arrivato.
Nel 2007 Mastronardi ha scritto: “Madri che uccidono”.
Quando gli ho chiesto: “Ma come è possibile che una madre non si fermi? Non le viene in mente: “oddio cosa sto per fare?”.
Come è possibile che non risponda a quel “mamma mamma mamma mamma”.
“No – mi ha risposto lui – quando comincia deve finire”.
In quel momento mi sono sentita morire.
Quel “quando comincia deve finire” mi ha lasciato pietrificata.
Dietro queste madri che ammazzano i figli si nascondono i più grandi drammi, animi squartati mai guariti.
Oggi su Libero con Vittorio Feltri 👇

Vincenzo Maria Mastronardi, psichiatra, criminologo clinico, già direttore della cattedra di Psicopatologia Forense all’Università La Sapienza di Roma, nel 2007, tra le suenumerose pubblicazioni (32 libri), ha scritto: “Madri che uccidono. Le voci agghiaccianti e disperate di oltre trecento donne che hanno assassinato i loro figli”. Titolare della cattedra di Teoria della devianza e criminogenesi all’Università degli Studi internazionali di Roma è anche Garante dei diritti delle vittime di reato (Associazione difensori civici italiani). Seguendo queste donne ha visto i più grandi drammi. Gli squarci più profondi di anime mai guarite.

Professor Mastronardi, il caso di Catania. Cosa si nasconde dietro una madre che ammazza la figlia? “Io ho visitato e periziato 17, 18 mamme figlicide e tutte fanno una tale pena. Indipendentemente dalla capacità di intendere e di volere, tutte hanno o una patologia pregressa o una follia mostruosa della normalità razionale con una bassa soglia di tolleranza allo stress”.

Questa follia esplode così? “Ci può essere una psicosi post partum che può durare anche un paio d’anni o una depressione maggiore con una visione pessimistica di sé e del mondo e del futuro, o a monte una schizofrenia paranoide o un disturbo psicotico per esempio uno scompenso ormonale. Oppure una patologia del comportamento”.

Cioè? “Una bassa soglia di tolleranza allo stress; alle spalle ci possono essere lutti, abbandoni reali o amplificati, separazioni”.

Quanto i divorzi incidono? “Possono incidere se vi è un terreno psicopatologico”.

Cioè preesistente? “Sì, altrimenti sé tutte le separazioni dovessero portare a figlicidi…”.

Quali sono i segnali? “Un mutamento del proprio comportamento che dapprima è sereno e tranquillo e poi si manifesta con estemporanee azioni aggressive mai verificatesi prima, come gettare a terra cose, o l’acqua bollente addosso al figlio”.

Qual è la differenza tra una patologia clinica e una comportamentale? “Nella patologia del comportamento la persona ha la possibilità di scegliere se lasciarsi andare all’ istinto omicida oppure no”.

Cioè la madre capisce cosa sta per fare? “Sì, invece nella psicosi la persona vede tutto nero ed è costretta ad agire proprio perché è la malattia stessa a condizionarla”.

Ma come è possibile che una madre alla settima coltellata non si fermi? Non le viene in mente “oddio cosa sto per fare”? “No, quando comincia deve finire. Come se fosse un motore che si mette in moto e non riesce più a fermarsi. C’è anche la sindrome di Medea, uccido per gelosia tuo figlio perché tu mi stai cornificando”.

Qualcuno sacrifica i figli per punire il compagno o compagna? “Sì”.

Come quel padre che ha chiuso il figlioletto di 7 anni, dopo averlo ammazzato, dentro l’armadio. “Esattamente”.

Ma il caso Cogne. Ammesso sia stata lei. È veramente possibile che uno non ricordi? “Sì è possibile. A me è capitata una persona che aveva ucciso la figlia col filo del citofono e aveva scoperto di averlo fatto due anni dopo, sognandolo”.

Cosa accade nella mente? “C’è una rimozione del reato compiuto. La mente entra in autoprotezione per proteggere se stessa e per non star male”.

C’è stato un aumento di figlicidi? “In vent’anni in Italia abbiamo avuto 480 casi. Tra il 2017 e il 2018 pare ce ne siano stati 36”.

L’essere costretti a casa con i figli, in tempi di pandemia, può influire? “Dopo la pandemia è successo qualcosa. Da un’ indagine fatta su mille famiglie è emerso che alcune riuscivano a compensare bene, altre famiglie si sono spaccate. Come se la pandemia fosse una sorta di spartiacque”.

Serenella Bettin

Sono le donne che alimentano il sistema patriarcale

Abbie Chatfield

Ho letto di quell’influencer, come si chiama, venuta a Venezia a trastullarsi che ha accusato un ristorante di lusso di essere sessista.
Come se il rispetto dell’essere femminile, ossia dotato di un organo che gli uomini hanno diverso, passi attraverso il pagamento di conigli farciti su letti di rucola o aperitivi imbanditi con carta argento. Del resto, come dar torto.
Ce ne sono tante di donne che non vedono l’ora di acchiappare un perfetto stupido che sia talmente stupido a più non posso, così da poter fare le mantenute. Ne conosco alcune che dopo essersi sposate o dopo la convivenza o dopo la gravidanza hanno deciso di stare a casa. Cosicché anche per comprare la carta da gluteo sono costrette a ripiegare sugli uomini. Quello che loro chiamano sistema patriarcale ossia ancora fondato sul maschio che mantiene la famiglia viene in sostanza alimentato da loro stesse.
Non è il caso si direbbe della influencer che parrebbe essere lei la capa. Anzi il capo.
Ma molte volte queste donne sono le stesse che reclamano la parità dei diritti. Le quote rosa. Però poi quando si tratta di cacciare i soldi pretendono che l’uomo faccia la sua ampia parte perché lui a detta loro è quello con le palle.
Come anche conosco uomini che non hanno il minimo rispetto dell’essere donna – i passi ancora da fare sono tanti – e che con una donna accanto che lavora e che è autonoma e indipendente si sentono inferiori perché sono loro che devono portare a casa la pagnotta. E sono quelli che ti diranno di stare a casa. Che ti diranno che a te ci pensano loro. Che non puoi uscire. Che ti controlleranno le buste della spesa. E che ti diranno anche se bere acqua naturale o frizzante.
Sembrano fatti e fatte con lo stampo. Ma la colpa, scusate se mi permetto, è sempre dell’essere femminile incapace di svegliarsi. L’influencer australiana però divenuta celebre a un reality dove uno zitellone sceglie la sua futura moglie tra decine di candidate – programma svilente per una donna dato che una volta gli allevatori sceglievano così le proprie mucche – dovrebbe rendersi conto che la parità dei sessi non esiste. Al massimo ora esiste la parità dei cessi viste le recenti discussioni che tengono banco sui tavoli dell’Unione Europea. L’abbiamo visto con la guerra. La parità dei generi va a farsi friggere. Perché a combattere ci vanno gli uomini. O meglio: quelli costretti a rimanere in Patria per difenderla e versare il loro sangue sono quelli di sesso maschile. Non le donne. Qui però nessuno dice niente. Va tutto bene.
Come una madre ha diritto di scegliere se rimanere con i propri figli anziché imbracciare le armi, così ne hanno diritto anche i padri. Ed è molto triste che certe scelte dipendano dal fatto se hai la patata o il pisello.
Scusate se mi permetto.

#sbetti

Ubriaco a 150 all’ora, ammazza due donne. Le gare clandestine sono una moda

Il barbaro che mercoledì sera ha ucciso le due donne lungo il Terraglio, a Preganziol in provincia di Treviso, è un 25 enne rom finito nelle inchieste sui furbetti delle case popolari. Tant’è che ora il sindaco di Treviso Mario Conte gli vuole togliere la casa.
In Facebook il rom fornisce un’immagine di sé alquanto belgioisa e sfarzosa, ostentando lusso, bella vita, champagne, Rolex e abiti eleganti.
Giusto per non fare nomi, lui si chiama Ronnie Levacovic. Mercoledì sera sfrecciava a 150 all’ora in una folle gara clandestina con la sua Bmw M2 nera che ha travolto completamente la Citroen C1 dove viaggiavano Mara Visentin e Miriam Cappelletto. Due amiche. Mara faceva la casalinga e aveva 63 anni. Miriam era un’impiegata e di anni ne aveva 51. La loro auto è stata centrata in pieno, scaraventata nel fosso, finendo la sua corsa addosso a una muretta di cemento. Sono morte sul colpo.
Per loro non c’è stato nulla da fare.
Un po’ come quelle due splendide cugine ammazzate la sera del 30 gennaio, da Dimitre Traykov, bulgaro, già condannato per guida in stato d’ebbrezza, poi scappato; il quale quando quella sera i carabinieri sono andati a prenderselo a casa aveva il tasso alcolico tre volte oltre il consentito.
Le due ragazze erano Jessica Fragasso, 20 anni di Mareno di Piave (Treviso), e Sara Rizzotto, 26 enne di Conegliano.
Quella della corsa clandestina tra le auto è un fenomeno abbastanza diffuso anche nel veneziano. Da cittadina noto e odo con le mie orecchie che ci sono paesi che di notte vengono letteralmente presi d’assalto dal fragore e dai rombi di questi bolidi guidati da scapicollati a cui non darei in mano nemmeno uno scopettino per pulire il cesso.
Più volte ho reso palese la cosa, senza ottenere nulla, tanto è vero che le corse continuano.
Un giorno al bar mentre controllavano il Green Pass alla gente per bene, ho anche detto che ci sarebbero dei controlli da fare per le gare folli tra le auto di notte.
Ma ancora non vedo nulla.

#sbetti

La blogger Ucraina: “Credo che sopravviverò, poi non avrò più paura di nulla”.

L’altro giorno scorrevo la pagina Instagram di una blogger ucraina. La contatto. Recupero il suo numero e le scrivo. Mi colpisce perché nella sua pagina le ultime due foto riguardano la guerra. Prima invece era un tripudio di libri, calici, ciliegie, pic nic all’aria aperta, dolci, lenti di ingrandimento, clessidre, matite penne quaderni. Poi basta. Poi più niente. Poi la guerra.
Buio. Grigio fitto. Cenere. Orrore. “… Ucraino e russo – scrive – non è sbagliato. Da oggi scriverò Ucraino con la lettera maiuscola e russo con la lettera minuscola. E nessuno dirà che è un errore. Quanto sono orgogliosa del nostro popolo. Quanto. Il popolo Ucraino non può essere spezzato. Io ti odierò – rivolto al popolo russo – ti odierò con tutta la mia anima. Per ogni Ucraino ucciso, per ogni combattimento, per ogni ospedale e asilo distrutti io ti odierò. Non ci sarà più un libro di una casa editrice russa su questa pagina. Non voglio. Gloria all’Ucraina!”.
Lei, che ora è sotto il fuoco incrociato dei “bombardamenti che – mi scrive – arrivano a ogni ora”, ha 22 anni. E ha studiato anche all’Università di Foggia. Fa la traduttrice e l’interprete. E soprattutto legge. Libri.
I suoi consigli sul suo blog prima della guerra erano slanci di vita, picchi di benessere, gridi di gioia. Erano condivisione di piccoli traguardi raggiunti. Quelli che a fine giornata fanno stare bene tutti. “Quando è arrivata la guerra – mi racconta – non sapevamo dove fuggire. Volevamo andare da mia madre, ma non ci siamo riusciti. La stazione era affollata. I treni sono arrivati ​​in ritardo e i biglietti erano esauriti. Poi siamo riusciti a prendere un biglietto. Ho pregato per due ore in treno, non sapevo che ne saremmo arrivati ​​vivi. Avevamo solo un cambio di vestiti, cibo per 2 giorni e medicine. Niente più. Ma nei giorni che seguirono, nei giorni che seguirono la paura passò, ma sorse l’odio. Mi preoccupo per mia madre, per i miei amici. Guardo le notizie su Kyiv ogni giorno e riconosco ogni strada. Guardo le case distrutte e cerco di capire se la casa in cui vivo io è stata distrutta. Kyiv non è la mia città natale, ma è la città in cui lavoro, dove ho studiato all’università, dove ho trovato l’ amore. Credimi non avrei mai pensato di poter odiare le persone. Ma quando vedo come soffrono gli ucraini, inizio a odiare i russi”.
“Sto scrivendo tutto questo – continua – seduta con una borsa accanto a me. In questi giorni, ho capito che avevo davvero bisogno di apprezzare le cose. Mi rendo conto che ora ho da mangiare, che ci sono luce e acqua. Apprezzo ogni mattina che mi sveglio viva. Ora vedo la vita in modo diverso”. Mi avvisa dei carri armati che stanno bombardando. Il cibo arriva loro quasi ogni giorno ma ci sono due ore di coda per prenderlo. “Credo che sopravviveremo. Dopo di che, non avrò più paura di nulla”.

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La deriva del politicamente corretto. La Pravda

Non ho molta fiducia nel genere umano. Sarà perché a certa gente fai prima a metterglielo in testa che nel sedere, ma credo che il genere umano sia di fondo imbecille.
Me compresa.
Ultimamente noto però che il grado di imbecillaggine sta aumentando. Non so se sia il covid che ci ha reso imbecilli tutti. O se sia la mia persona che non riesce più a tollerare certi esseri eunuchi servili e ignoranti. Pure sciocchi e presuntuosi.
Noto che ultimamente va di moda l’adesione al politicamente corretto. Il politically correct. Dove gente che non sa manco scrivere un telegramma si diletta in pensieri filosofici di alta tensione.
Il servilismo ci ha ingrigito tutti.
La gente non ragiona più con la sua testa. Ma ogni qual volta deve esprimere un pensiero e si batte il petto in chiesa per la libera manifestazione di esso, si chiede se sia opportuno o meno.
Questo per aderire ai canoni che ci vorrebbero tutti quanti omologati appiattiti esseri piatti e molli. Qualcuno ci sta già riuscendo nell’impresa. Non essendo manco in grado di partorire un’idea che sia sua o di scrivere in un italiano corretto. E mi rendo conto che in taluni ambienti dominati da pensatori rossi il pensiero viene talmente manipolato al punto tale da farti credere che sia davvero tuo.
La cancellazione della cultura. Il catastrofismo culturale. Lo strozzamento delle idee. Il perbenismo dilagante.
La solo cultura ammessa è quella del politicamente corretto, che predica libertà pace amore e gioia e arcobaleno, che scrive tutt anziché tutti, che accetta i Babbo Natale gay, ma che aderisce ai canoni tali per cui ogni qual volta esprimi un pensiero diverso, ti sfotte.
La Pravda.

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Perché tutti aprono e noi chiudiamo?

Sarei curiosa di sapere quanti morti hanno risparmiato gli evidenziatori non comprati duranti il lockdown. Vorrei dei dati certi. Qualora fosse possibile averli.
Se vi ricordate c’è stato un periodo durante il governo degli scappati di casa, dell’onorevole Giuseppe Conte, in cui nei supermercati erano apparsi quei tremendi cartelli bianchi o gialli, in cui si vietava di comprare quadernoni caramelle penne matite accessori per la casa mutande pigiami infradito, eccetera eccetera.
Solo la carta da culo era consentito portare a casa in abbondanza.
Ricordo anche che una volta litigai con una commessa di un supermercato perché dovevo assolutamente prendere una cosa per mia nipote e le dissi che siccome pagavo la merce, ed ero ancora capace di intendere e di volere per stabilire cosa servisse nella mia vita o meno, poteva anche chiamare i carabinieri, e non me ne sarebbe fregato poi molto.
La commessa credeva scherzassi. Ma io ero seria. Anzi le dissi: “Vuole che li chiami io?”. Ricordo ancora il suo volto. Mi guardò con fare inebetito. Tanto che dovetti dirle di darsi una mossa a decidere perché c’era la coda dietro.
Ricordo che mi fece passare. Senza battere ciglio. E tornai a casa con il regalo che mi serviva.
Idem un giorno in biblioteca. Non volevano farmi entrare. Perché si entrava solo su prenotazione. Dissi loro che io nelle biblioteche ci lavoro se devo fare ricerche e che mi stava impedendo di lavorare.
Ora ho letto invece da qualche parte che nell’ultimo Dpcm volevano regolare cosa avessero potuto comprare i vaccinati o meno. Ribadisco che io sono per l’obbligo vaccinale.
Insomma volevano regolare cosa avremmo potuto comprare. I giornali, i profumi, i biscotti, le caramelle, i quadernoni e gli evidenziatori non essendo beni di prima necessità, non si sarebbero potuti acquistare.
Invece i beni di prima necessità sì. Ora chi stabilisce quale sia un bene di prima necessità o meno, mi piacerebbe saperlo, dato che a me la pasta non piace e quindi preferisco una pizza.
Poi però, anzi fortunatamente, siccome abbiamo un governo più accorto del precedente (non si sa ancora per quanto), qualcuno deve aver messo loro una mano sulla coscienza e onde evitare il ritorno del “carta culo day”, il governo si è redento e ha tolto questo inutile divieto in stile Pravda che nemmeno nella Russia più comunista.
Il problema però rimane attuale.
E cioè perché se tutti ora allentano, l’Italia chiude? I contagi sono in calo. Le terapie intensive reggono. La variante Omicron è molto più contagiosa ma molto meno letale, che bisogno c’è di stringere ancora. Anche perché di fatto sta gente è già chiusa. Quando vado in giro per bar e ristoranti, cioè sempre, lo faccio per lavoro quotidianamente, perché il sentire della gente lo annusi al bar, lo respiri; mi viene la tristezza. Cioè questi sono aperti ma sono vuoti. Le scuole poi non ve ne parlo. Ogni genitore che incontro è in preda a una crisi di nervi. Alcune scuole calcolano i positivi come pare a loro. Se ci sono due positivi o se uno è da settimane che non va a scuola lo calcolano come positivo lo stesso e allora tutta la classe va in quarantena. In Veneto per dire su 30 mila classi, 15 mila sono colpiti dalle norme anti virus. Nelle aziende poi è un macello. L’Inail ha calcolato che di media un lavoratore sta a casa un mese.
C’è gente che non ha niente, eppure sta isolato.
Ora mi chiedo, ma onde evitare di tornare a comprare carta da gluteo come se piovesse, non sarebbe il caso di allentare un po’ le maglie?

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Quirinale. Occhio a non scivolare sul letame

Sto seguendo l’elezione del presidente della Repubblica con dannato ed estremo interesse.
Uno perché Diritto costituzionale è stato uno dei miei esami preferiti insieme al Diritto penale e alla Medicina Legale. Per il mio sadismo presi anche 30 e Lode. Per Costituzionale invece divorai il manuale di 1000 pagine di Livio Paladin – chi se lo scorda! – in una settimana e quando andai a sostenere l’esame sapevo le cose a menadito. Tanto che il professore che mi interrogò sulla scuola pubblica e privata, alla seconda parte d’esame, si limitò a farmi una domanda e poi andò dal prof a dire: “Questa sa tutto”.
Ricordo ancora le lezioni del costituzionalista Mario Bertolissi.
Un forziere di esperienza e memoria che discostava molto dalla sola teoria. Una volta inciampai anche in cortile per non perdere nemmeno mezzo minuto delle sue lezioni. Le adoravo. Le stavo a sentire. Mi ci crogiolavo. Mi rimpolpavo. Mi ci rimpinguavo la mente.
Le sue lezioni erano incanti di vita. Racconti di come andava il mondo.
Le funzioni del Presidente della Repubblica erano spiegate bene nel manuale a cui doveva seguire uno studio approfondito della Costituzione. Se non sapevi la Costituzione eri un mentecatto che andava a Giurisprudenza solo perché così avevano deciso mami e papi senza capirne veramente l’essenza.
Se ti chiedevano l’articolo e non lo sapevi vedevi il libretto volare e addio sessione.
A Giurisprudenza a Padova ho formato gran parte del mio carattere che già era forgiato, battuto col ferro, lavorato a caldo, ma la facoltà e il lavoro che faccio adesso hanno contribuito a fare il resto. Allora dicevo – e poi arrivo al secondo motivo per cui mi interessano le elezioni quirinalizie – le funzioni del presidente erano e sono tuttora elencate all’articolo 87 della Costituzione dove al primo comma è stabilito che: “Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale”.
Quando le ho studiate tutte mi dicevo: “quante cose fa questo Presidente”.
Poi al bar incontravi sempre qualche cretino che veniva bocciato all’esame con la domanda sulle funzioni del presidente e che ti diceva che tanto il Capo dello Stato in Italia non conta un tubo. Quando feci l’esame di Diritto comparato in effetti provai un po’ di invidia per quel Paese oltreoceano il cui presidente viene eletto dal popolo. Perché io sono una di quelle che non ama essere portata. E quindi pensai che mi sarebbe piaciuto poter eleggere il mio presidente.
E qui vengo al secondo punto. Il presidente in Italia se operasse bene, anziché mulinare la lingua e scivolare sul concime preparato dai partiti, ha un sacco di funzioni. Tra queste c’è anche la presidenza del Consiglio superiore della Magistratura che ultimamente è nel mirino per le porcate assurde che partorisce ogni giorno.
Una Magistratura malata. A cui non esiste alcun vaccino. Se non riformarla dalla testa ai piedi.
Un presidente della Repubblica concede anche la grazia. Cosa che non deve essere prerogativa degli ergastolani ma anche e soprattutto dei bravi padri di famiglia finiti in carcere perché in questo Paese aumenta la marmaglia di gente che si introduce clandestinamente e ne commette di tutti i colori. Ha il comando delle Forze Armate.
E soprattutto deve garantire L’Unità Nazionale. Quando studiavo Legge inoltre avevo imparato a menadito quell’articolo 90 dove si dice che il presidente può essere messo in stato d’accusa solo per alto tradimento o attentato alla Costituzione, ma tanto ti dicevano che non era mai accaduto o che accade raramente.
Il presidente che verrà, sarà quello che salta al galoppo di un’epoca in cui l’unità nazionale praticamente non esiste. Non esiste nemmeno quella tra le varie coalizioni, figuriamoci quella nazionale. Sperando che saltando non scivoli sul concime.

#sbetti