Alle Poste quanti Lanzichenecchi

Ieri mattina senza sapere della tribolazione a cui sarei andata incontro, mi sono dovuta recare alle Poste.
Nonostante il caldo, non indossavo un completo di lino stazzonato un po’ sgualcito e forse manco stirato. E come tutti gli stronzi non avevo l’orologio.
Ma avevo un bel paio di jeans aderenti strappati alle ginocchia e una canotta con le croci. Non avevo il Financial Times come giornale e nemmeno il Robinson come inserto. Avevo due quotidiani di destra e il Foglio che tra le mie letture non può mai mancare. Poi nell’altra mano tenevo la raccomandata che dovevo ritirare. E in una la sigaretta.
Con la scusa che non sono mai a casa, infatti, e che non ho la domestica, noi esseri così spregevoli, raffazzonati e stronzi, liberali, di ceto medio non siamo abituati a essere serviti, il postino ha suonato una volta – quello era il film dove suona sempre due volte – ma non trovando nessuno ha lasciato il cedolino dentro la cassetta che se ne stava sgualcito dopo giorni di pioggia insieme a non meglio precisate carte di un colore tendente alla merda.
Non avevo nemmeno un libro perché ultimamente quello che sto leggendo è troppo grosso e quando manco da casa lo uso come ferma porte.
Insomma, entro dentro le poste e ho 13 persone davanti a me.
Un ammasso di disperati con gli abiti improvvisati, raffazzonati, imbastiti alla meno peggio, uno sciame di lanzichenecchi figli di un Dio minore che alle poste bestemmia, perché sono lunghe come l’anno della fame. Un solo sportello che funziona infatti è una cosa di cui ci si dovrebbe vergognare. La direttrice se ne stava dietro alla cassiera e a un certo punto ho chiesto se per caso non potesse metter due sportelli o se non potesse lei far qualcosa visto che se ne stava lì in piedi impalata e c’erano anziani e una donna incinta e una signora che doveva andare al cesso.
Sì è accaduto anche questo. Praticamente mentre eravamo tutti in fila la signora, una tipa senza abito di lino, sulla cinquantina, ha detto: “Io devo andare in bagno come faccio?”. Infatti non voleva perdere il posto, e rischiava di farsela sotto. Ora a parte il fatto che alla maggior parte degli stronzi senza orologio non interessasse nulla che lei dovesse andare al gabinetto, c’è stato un signore molto simpatico che ha iniziato a dire: “Dai, facciamo tutti quanti pis pis pis”, e così tutti, giuro non sto scherzando, si sono messi a fare “pis pis pis”. Un’altra poi, nel teatrale quadretto ci ha rinunciato. Un signore invece mi ha detto che era la seconda volta che tornava, che questa mattina di persone davanti ne aveva 25 e che non può essere che uno debba prendersi un giorno di ferie per andare in posta. Ma nel mentre attendevo il mio turno, sono stata pervasa da una beatitudine immensa, qui ci ho trovato l’esercito dei disperati, con i nostri crismi e i nostri problemi, con i nostri drammi etici ed esistenziali, con i nostri tormenti e le nostre inascoltate attitudini, con i nostri cazz e mazzi, problemi immensi, irrisolti, incastrati dentro i casini della vita che scorre e che va avanti anche in prima classe con i cafoni, senz’aria condizionata, in mezzo ai più declassanti deliri. E mi sono stupita di quanti lanzichenecchi vi fossero in giro. Poi però è entrato uno stronzo con l’orologio che dinanzi alla fila bella folta e drammatica ha tirato quattro boie. Aveva il completo di lino stazzonato e ho visto che ha preso il biglietto e si è messo in coda come tutti noi coglioni.

sbetti

LUGLIO È IL MESE MIGLIORE PER SCIOPERARE IN EFFETTI

LA VERITà – 16 luglio 2023.

Metà luglio, 35 gradi all’ombra. Aeroporto di Venezia: 101 voli cancellati. La via crucis nel settore dei trasporti ha scritto altre pagine da bollino rosso. Da una parte ci sono sinistra e sindacati che soffiano bene sul fuoco degli scioperi, dall’altra il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, che cerca di riportare gli equilibri – il diritto degli italiani ad andare in ferie per esempio o dei pendolari di lavorare – e dall’altra, in questa tela che si tende da una parte e dall’altra a cadere giusto in mezzo nello squarcio ci sono i cittadini costretti a disdire prenotazioni, rinviare partenze, arrivi, ritorni, aspettando che l’agitazione finisca.

Dopo lo sciopero dei treni di giovedì 13 luglio, è toccato agli aerei.

Dalle 10 alle 18 il personale di terra degli aeroporti ha incrociato le braccia. Tanto che proprio contro questo stop del trasporto aereo che ha portato a cancellazioni e ritardi in tutta Italia, per centinaia di milioni di danni, è scattato l’esposto del Codacons, il coordinamento delle associazioni per la tutela dei diritti di utenti e consumatori, a 104 procure e alla Corte dei conti.

 “Una forma di violenza inaudita – ha spiegato il presidente del Codacons, Carlo Rienzi – verso i cittadini e verso gli operatori turistici, 250.000 viaggiatori rischiano oggi – ieri per chi legge ndr – di rimanere a terra, perdendo giorni di vacanza e soldi pagati per strutture ricettive e servizi vari”. 

Un danno complessivo, infatti, da centinaia di milioni, con code infinite, prenotazioni nelle strutture annullate, soldi spesi inutilmente, e operatori turistici nel bel mezzo della stagione costretti ad affrontare l’Italia a piedi. 

Si ipotizza quindi la “possibile fattispecie di interruzione di pubblico servizio”. Circa 1000 i voli cancellati, tra nazionali e internazionali, che hanno coinvolto all’incirca 250.000 – 270.000 viaggiatori. Duecento i voli cancellati a Fiumicino, 8 a Bari, 150 tra gli aeroporti di Linate e Malpensa, 118 a Napoli, 34 a Palermo, circa 30 a Torino Caselle, 8 a Genova, 43 all’aeroporto Marconi di Bologna, 101 a Venezia. Anche a Verona sono saltati 30 voli su 128 programmati. 

Immaginate solo il caos che questo ha comportato. Lo sciopero è stato indetto e ben incalzato da Filt – Cgil, Fit – Cisl, Uiltrasporti e Ugl, dove sinistra e sindacati anziché spegnere la miccia hanno soffiato per bene sullo sciopero blocca vacanze. Ma i contratti del personale aereo, sono sei anni che sono fermi e almeno qui non è colpa del governo Meloni

A incrociare le braccia sono stati il personale di terra di Vueling. Ossia gli addetti alle operazioni che precedono e seguono il volo: check-in, ricezione e smistamento dei bagagli, imbarco. Lamentano che il loro contratto è scaduto da ormai sei anni, appunto. E dalle 12 alle 16, anche i piloti di Malta Air, che opera le rotte Ryanair. Otto ore di stop, poi, dalle 12 alle 20, anche per i piloti Canadair iscritti a Ugl Trasporto aereo.

Così è intervenuto il vicepremier Salvini che si dice pronto a rifare ciò che ha fatto per lo sciopero dei treni. Ossia emettere un’ordinanza che ha dimezzato d’impero lo sciopero dei treni di giovedì 13 luglio. Ordinanza per la quale il sindacato rosso – leggi Cgil – aveva presentato ricorso ma il tar l’ha bello che bocciato, in quanto deve prevalere “l’interesse degli utenti che hanno fatto affidamento sulla continuità del servizio”. 

“Nessuno mette in dubbio il diritto allo sciopero – ha detto ieri Salvini – appoggio le giuste richieste dei lavoratori inascoltate da anni, lavoro perché le trattative continuino ma non accetto che alcuni sindacati blocchino l’Italia causando disagi e danni a milioni di lavoratori italiani e turisti stranieri. Se non prevarrà il buonsenso, sono pronto a intervenire come ho già fatto per evitare il blocco totale dei treni”. La speranza del vicepremier è che aziende e sindacati trovino un accordo. 

“Vigilerò – ha aggiunto durante una visita a un cantiere ferroviario a Capurso (Bari) – affinché si arrivi a un accordo per il comparto ferroviario e aeroportuale. Ci sono contratti fermi da sei anni e conto che il problema si risolva in poche settimane. Il diritto allo sciopero è garantito dalla Costituzione, ma lo sciopero non può lasciare a piedi milioni di italiani e turisti”. 

E altro tema caldo, appunto, è la questione dei taxi che si fanno sempre più introvabili. Anche di notte in alcune città italiane. “La settimana prossima – aveva fatto sapere Salvini – lavoreremo sul tema dei taxi, sempre seguendo i principi di buon senso, rispetto e garanzia per i cittadini, che non sono aspettare ore e ore sotto il sole in troppe città italiane”. L’incontro era fissato per mercoledì scorso. Giovedì invece quello del settore noleggio con conducente.

Serenella Bettin 

Si prega ai signori Lanzichenecchi di scendere

Ho letto con una fervida attenzione e con una ruggente immaginazione il pregiatissimo articolo di fondo di Alain Elkann – con due N per favore – pubblicato sul quotidiano Repubblica. E giuro mi sono quasi commossa.
Per un attimo mi sono venuti in mente i mangiatori di patate di Van Gogh. Che dire, prosa coinvolgente, pregnante, vibrante, fremente. Fremeva in tutte le sue corde. In tutte le sue note. Trasudavano tutta la fatica e il sudore di chi può permettersi solo lino stazzonato, sgualcito, forse manco stirato.
Scrive l’Hemingway de noantri nel suo breve racconto d’estate, edizione limitata, che gli è capitato di infilarsi nel treno per Foggia e che non pensava che si potesse ancora adoperare la parola “lanzichenecchi”. Specifica il nostro premio Pulitzer che era su una carrozza di prima classe di un treno Italo. E che malgrado il caldo indossava “un vestito molto stazzonato di lino blu e una camicia leggera”. Che aveva una “cartella di cuoio marrone dalla quale ho estratto – scrive – i giornali: il Financial Times del weekend, New York Times e Robinson, il supplemento culturale di Repubblica”, giusto per giocare in casa, e che stava, poverino, come ci dispiace, “finendo di leggere il secondo volume della Recherche du temps perdi di Proust”, almeno il titolo l’ha copiato uguale, e in particolare il capitolo, dice “Sodoma e Gomorra”. Accipicchia. Accipicchia.
Così nel mezzo del caldo torbido sul treno per Foggia, lui che “non sapevo” manco “che per andare da Roma a Foggia si dovesse passare da Caserta e poi da Benevento”, ecco nel mezzo del caldo torbido quando l’afa proprio ti stringe la gola e i pensieri non se ne vanno, rimangono lì alti come palazzi, macigni nel cuore, sull’anima, ha “estratto anche un quaderno su cui scrivo il diario con la sua penna stilografica” e che “mentre facevo quello i ragazzi parlavano a voce alta come fossero i padroni del vagone, assolutamente incuranti di chi stava attorno”.
Poi farnetica qualcosa sul fatto che loro fossero totalmente indifferenti a lui e alla di lui persona e che quasi gli veniva da piangere perché si sentiva un’entità trasparente. Così preso dallo sconforto di questa sciagura esistenziale, e col fatto che non riusciva a concentrarsi per i ragazzi che parlavano di calcio, pallone, di ferie e di figa, sentendosi inibito per scrivere sul diario, ha deciso di deliziarci e di comporre questo struggente articolo, che vi giuro è un piccolo capolavoro, scrigno dell’antropologia culturale più pura. E più rara.
E già vedo quelli che vanno a googlare la parola lanzichenecchi, quelli che grazie al rampollo hanno scoperto una nuova parola. I lanzechenecchi altro non erano che le persone che venivano reclutate dall’imperatore soprattutto tra i figli delle famiglie di contadini. Sono i servi, gli schiavi della terra, i contadini arricchiti, quelli che Elkann nel suo pregiato articolo di fondo descrive come fossero stronzi senza manco l’orologio. Ma questo piccolo breve racconto d’estate, che manco dal dentista in sala d’attesa, altro non è che la cronaca classista di quello che la sinistra radical chic vorrebbe denunciare ma poi si trova costretta a fare i conti con la propria natura. Altro non è che la cronaca di chi ogni giorno prende il treno vestito di polo o camicia, senza lino, stazzonato o sgualcito, senza borsa di cuoio, di chi sa perfettamente che da Roma a Foggia non ci arrivi direttamente, e di chi per gli altri in stazione sei totalmente indifferente. Eppure. Eppure ci hanno dedicato un pezzo, in questa non patria che si indigna per i diritti di tutti, hanno veramente dedicato un pezzo per parlare di figli di contadini arricchiti la cui unica colpa sarebbe stata quella di parlare di figa. Poi lamentatevi che in Italia non fanno figli.

sbetti

Stuprata a 16 anni, niente starnazzo delle anime belle

La Verità – sabato 16 luglio.

Ha 16 anni ed è stata violentata nell’androne di un palazzo a Pioltello, comune dell’hinterland milanese, da un marocchino, la sera del suo compleanno. È la notte del 12 luglio scorso. Lei sta rincasando dopo la festa, quando all’improvviso le si avvicina un uomo. Lo conosce. Di vista. Lui è uno di quelli che l’Italia accoglie e che vive di espedienti, spaccio e droga. Uno di quelli che riempiono le nostre stazioni, le nostre piazze. Uno di quelli che hai paura a incontrare la sera quando scendi dal treno in stazione Centrale e devi farti venire a prendere. Lei lo respinge, o almeno ci prova, tenta di allontanarlo, ma è notte, è buio, è da sola. La gente dorme. E i residenti sono chiusi in casa. Anche se urli nessuno ti sente. È così. È la triste realtà del nostro Paese. Accade a Bologna, a Roma, a Mestre, a Padova. Lei, ragazza nata a Milano, di origine sudamericana è quasi a casa. Mancano poche centinaia di metri. Non è tranquilla alla presenza di quell’uomo. Il passo di lei si fa sempre più veloce, la testa dritta per non far vedere che hai paura, il respiro affannoso, il cuore che ti sale in gola, ti toglie l’aria, quando conti i secondi e preghi di arrivare a casa viva. Sono sensazioni che tutte le donne provano quando nelle città si aggirano liberamente i clandestini. La sua abitazione è sempre più vicina, vuole solo abbracciare la madre, stendersi sul letto, sperando che non accada il peggio. Ma a un certo punto. A un certo punto lui la afferra. La ferma. La prende per un braccio. Il respiro di lei pare fermarsi, il cuore pompa a mille e lui, con forza, la spinge e la costringe a entrare dentro l’androne di un palazzo. Siamo tra i palazzoni popolari del quartiere Satellite, un ricettacolo divenuto simbolo del degrado, della violenza, della mancata integrazione. Un luogo come tanti altri in Italia dove se ti infili anche in pieno giorno speri di uscirne vivo. Vedi Primavalle, a Roma, dove se sei fortunato ti tagliano solo le gomme dell’auto. Quartieri abbandonati a se stessi. Terre di nessuno, in genere in mano alla sinistra progressista, dove si annidano microcriminalità e spaccio.

È nell’androne del palazzo che si consuma la violenza. I residenti sono in casa. Nessuno sembra accorgersi di niente. Lui la afferra e la violenta. Sono attimi terribili, quando hai 16 anni e diventi vecchia di colpo. Ti si macchia il foglio e diventa tutto un incubo. Ormai è impossibile scappare. Quando è tutto finito, sotto shock, corre a casa, avverte i genitori, loro chiamano un’ambulanza e lei racconta di essere stata stuprata. I soccorritori la portano al Soccorso violenza sessuale della clinica Mangiagalli di Milano, dove la ragazza viene sottoposta ad accertamenti ed esami. I medici riscontrano i segni della violenza e i carabinieri della compagnia di Pioltello iniziano le prime indagini. È grazie alla descrizione fornita dalla giovane e dalle immagini delle telecamere che nel giro di un paio d’ore individuano il presunto responsabile. Lui si chiama Younes M, ha 28 anni ed è nato in Marocco. È un ragazzo del quartiere, disoccupato, e che vive di espedienti. I carabinieri gli piombano in casa e lì trovano droga e bilancini. Quaranta grammi di hashish per la precisione, suddivisa in dosi, e strumenti per il confezionamento. “In casa non sono stati trovati soldi”, riferiscono fonti alla Verità. “L’abbiamo trovato grazie alle telecamere e alla descrizione ben precisa dataci dalla ragazza anche se in stato di shock e parecchio scossa”. La ragazza, infatti, è in grado di fornire anche la descrizione dell’abbigliamento dell’uomo e le telecamere fanno il resto, inchiodando il marocchino. Lui viene arrestato in flagranza per detenzione illecita di sostanze stupefacenti e denunciato a piede libero per violenza sessuale, nell’attesa di completare la raccolta di tutti i filmati e di acquisire la prima informativa in procura del dipartimento Tutela fasce deboli. L’indagine viene affidata al procuratore aggiunto Letizia Mannella. Lui dapprima viene trattenuto nella caserma di Pioltello e il giorno successivo finisce in direttissima. Il giudice convalida l’arresto e lui finisce in carcere in custodia cautelare. La ragazza nel frattempo viene dimessa. I due abitano vicini. “È un quartiere difficile questo – ci dicono – il 90 % di chi ci abita è marocchino, egiziano, gente che vive così”. Già. Ecco cos’ha portato l’accoglienza, il buonismo, la mancata integrazione. Ha condotto alla ghettizzazione degli stranieri. I clandestini, i poveracci giunti in Italia traditi dalla fortuna promessa, si sono presi i quartieri dettando loro le leggi. Non è il primo stupro che accade a Milano o nei comuni limitrofi.

L’ultimo, prima di questo, una decina di giorni fa a Legnano. Una donna di 52 anni, di origini sudamericane, è stata violentata da un pakistano di anni 33, poi arrestato dalla polizia. O come quella ragazza aggredita e violentata ad aprile scorso in uno degli ascensori della stazione Centrale di Milano. Decisivo è stato il video. Anche lui un 27 enne marocchino senza fissa dimora. Questi stupri però finiscono in sordina.

Qui niente starnazzo delle anime belle.

Serenella Bettin

Il mio pezzo per la Verità

 

 

La cavalcata dei “nipotini di Allah”

Qualche settimana fa su La Verità sono uscita con una inchiesta dove parlavo dell’avanzata della cavalcata dei nipotini di Allah in Italia.
Sparito dai radar infatti, mentre il mondo è impegnato altrove, tra lotte progressiste ed ecoimbecilli che imbrattano i monumenti, l’Islam continua a diffondere i suoi semi.
E lo fa in silenzio, passo dopo passo. Metro dopo metro. Minuto dopo minuto.
Al primo gennaio 2021 i musulmani residenti nel nostro Paese erano 2 milioni e 753 mila, ossia 66 mila in più rispetto al 2020, +2,5% e ben 129 mila in più rispetto al 2018, + 5%.
Non solo. Sono diminuiti i cristiani stranieri e sono aumentate le conversioni degli italiani “purosangue”.
L’ aumento della popolazione residente musulmana in Italia è dato anche dall’arrivo di nuovi migranti che hanno ottenuto il permesso di soggiorno.
Tombola.
Un po’ come tale signor Baby Gang, al tempo Zaccaria Mouhib, dal curriculum di tutto punto, perfettamente specchiato – l’unico che girò un video dalla cella dove era rinchiuso, quando lo condannarono per rapina – ecco che l’altro giorno, nei suoi social, ha minacciato di morte Matteo Salvini e l’eurodeputata Silvia Sardone.
Scrive tale Baby Gang al tempo Zaccaria Mouhib dei miei stivali, dal curriculum di tutto punto perfettamente specchiato: “È meglio non provocarci – riferendosi agli islamici – perché diventiamo una razza di merda, più di quello che potete pensare e soprattutto se parlate di religione sappiate che ogni musulmano per la sua fede e il suo Dio è pronto a morire”.
Robe da far accapponare la pelle. Soprattutto se si pensa che tale Baby Gang al tempo Zaccaria Mouhib dal curriculum di tutto punto perfettamente specchiato, è seguito da oltre due milioni di persone. La colpa dell’eurodeputata Sardone è stata quella di aver postato un video dove diceva che le violenze in Francia sono anche il frutto della immigrazione e islamizzazione del Paese.
Frasi che il nostro amico trapper non ha gradito. Come non ha gradito la notizia uscita della festa islamica in piscina col placet e il benestare della sinistra tutta zitta.
Ora, qualche settimana fa hanno dato il via libera all’estradizione del padre di Saman. Ve la ricorderete tutti.
Mentre difendete i diritti di quelle che in piscina entrano col burqa, vi ricordo che Saman è stata ammazzata perché voleva vivere all’occidentale. Perché voleva ribellarsi.
Poi mi raccomando fate le fiaccolate.

sbetti

“I nutrizionisti? Tranquilla c’è l’ app”

Queste sono le cose che mi mandano via di testa. Quelli che scherzano con la salute delle persone. La prima parte della mia inchiesta sulle diete per Zona Bianca, Rete4, Mediaset. Il programma condotto da Giuseppe Brindisi.

“I nutrizionisti? – mi hanno chiesto – Tranquilla c’è l’app”.

Qui il mio servizio 👇

https://mediasetinfinity.mediaset.it/video/zonabianca/il-digiuno-intermittente-e-le-diete-di-moda-per-lestate_F312336901025C14?fbclid=IwAR05zKYYGdcLrUYkmwMfYnBwyeIPhjLFTevKZrCOM1C0VAFib9CHCQaL5ls

Un grazie a Gregorio Cerami e Nicola Fiorini per riprese e montaggio.

#sbetti

Ma sì, ma togliete tutto, tutto

Ma sì. Ma basta. Ma togliete tutto. Tutto. Levate via le croci, i crocefissi, i Santi, le Madonne, i presepi, togliete anche i nomi dei pittori dalle strade perché allontanano le culture e la maggior parte di loro hanno dipinto Santi e Cristi. Censurate tutto. Mettete i veli alle statue. Cambiatevi i cognomi. Pronunciate a, anziché o. Metteteci le schwa.

Ci mancava la crociata delle croci a portare il dibattito in vette altisonanti. Tanto che ora la polemica dilaga anche in Austria. E come sempre la colpa è della destra che strumentalizza. Ma è proprio così? Torniamo indietro.

È il 13 giugno scorso quando il Cai (Club Alpino Italiano) nel suo portale “Lo Scarpone”, scrive: “La società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce di vetta? Ha ancora senso innalzarne di nuove?”

Il mio articolo su Nicola Porro. it 👇 clicca sul link qui sotto

Mi racconta mio padre che era l’estate del 1982

Mi racconta mio padre che era l’estate del 1982 e faceva un caldo boia, infernale, uno di quelli che ti veniva caldo a guardarlo il caldo, con l’afa che ti inumidiva gli occhi e aleggiava impietosa e ingombrante sopra le teste della gente che all’epoca i campi li coltivava a mano e non con i trattori con dentro l’aria condizionata.
È vero. Ci sono salita. Mi racconta mio padre che era l’estate del 1982, io dovevo ancora nascere e andando giù dalle mie parti nelle Marche, a Ferrara gli si è fermata la macchina. È colata.
Era l’estate di quelle calde come adesso, dove alle alte temperature, ci devi aggiungere il cocente e terrificante terrorismo ideologico climatico che divide la gente come fosse allo stadio. Il caldo intimidatorio, umido, uggioso, di cui nessuno sa un cazz di niente eppure parla e lo fa con sermoni importanti, terrorizzando tutti, parla di cambiamento climatico, di comportamenti corretti, di eco sostenibilità ambientale, di tanti tutti sti cazz mazzi messi assieme che se parli con la mia amica che sta in Inghilterra ti dice che ieri era fresco, e che lei c’avea pure il cappello, e che a Belgrado scorreva la pioggia e che anche nel Nord Italia c’è stata la grandine quella fissa, brutta, quella che se ti batte sulla macchina ti trovi una decappottabile se ti prende in testa fa veramente un male cane.
Guai a dire che ha piovuto, che c’è la brezza leggera, che l’aria è a tratti fresca, che il mare si increspa per il corrugare delle onde mosso dal vento, guai a dire che in Inghilterra ieri si stava bene, che a Vienna c’è gente in felpa, e che in alcuni paeselli d’Italia ieri sera ci voleva il golfino con le maniche lunghe.
Se lo dici passi per negazionista. Per delinquente. Per fuorilegge. Per farabutto. Secondo il Bonelli in delirio sei da mettere dentro per il reato del negazionismo climatico.
Ossia uno che nega che la realtà, che è evidente ed è quella che vogliono loro, quella che ti impedisce di fare i barbecue, quella che ci vuole tutti zitti e buoni chiusi in casa in smartworking, vedi gli ultimi colpi di calore di Carlo Bonomi, nientepopòdimeno che il presidente di Confindustria. Una realtà fatta di ideologismi politici, di allarmi sociali, di terroristi climatici, di gente che fa leva sulla paura della gente di rimanere senz’acqua, senza pioggia, senza condizionatori accesi, senza benzina perchè dovete evolvervi tutti e comprarvi le auto elettriche meglio se a pedali perchè potranno scoppiarvi ai piedi.
Meglio far leva sulle temperature tropicali di due tre, quattro, cinque giorni, sul clima contaminato dagli uomini, quegli esseri agnostici e buzzurri che non credono in dio del cambiamento climatico e sono abituati a far i conti con le previsioni del tempo. Meglio far leva sulla vita umida, amara, ansiolitica, le ecoansie, le puttanate degli dei di ultima generazione che per far valere le loro proteste per l’inquinamento si stendono in mezzo alla strada bloccando il traffico con i fumi che si disperdono nello spazio. Lampi geniali di deterioramento climatico. Di negazionismo terreno. Di traghettatori nell’inferno delle propagande ideologiche dove si risponde a un solo Io. Andare contro i governi di destra.
Ma mi racconta mio padre che era l’estate del 1982, il 24 luglio. E che gli si era fermata l’auto verso Ferrara, appunto. Quando scese dalla macchina le scarpe gli si incollarono sull’asfalto, talmente bruciava, talmente era caldo. Per la fatica che fece, quando arrivò un meccanico per trainare l’auto, all’epoca si poteva, e finito tutto andarono a bere, mio padre si scolò quattro limonate e quattro bottigliette di acqua fresca e il meccanico gli disse che non aveva mai visto nessuno bere in quel modo. E mi racconta mio padre che erano gli anni del 1980, 1990 e che i temporali eran belli forti e violenti. Che nel giro di un baleno ti ritrovavi senza tetto o con il giardino cosparso di grandine che pareva neve. Io stessa ho una foto che ora fatico a ritrovare con 4 traslochi dove in mano tengo una palla di ghiaccio caduta dal cielo di dieci centimetri di diametro. Era il 2005. Ed era invece l’estate del 2003 quando feci la maturità e il culo ti si incollava alla sedia. Solo che all’epoca non c’erano i social, non c’erano quattro sciacalli che per avere più like dovevano infilarsi per comandare le vite degli altri, non c’erano quelli che parlavano a vanvera senza sapere manco se un vento soffiasse a destra o a sinistra. C’erano gli uomini che come ogni anno sapevano che ogni estate sarebbe tornata l’afa. E ogni inverno il freddo.

sbetti

La furia della tempesta 🌩️

In alcune regioni del Nord Italia martedì e mercoledì si è abbattuta la tempesta. Ieri ve ne ho parlato su La Verità. Il cielo si è fatto torbido. Il buio ha iniziato a camminare con passo solenne. Le nuvole si sono appesantite, increspate, il vento ha iniziato a soffiare e quel pennone tricolore affisso sul tetto di una casa ha iniziato a sventolare.
Sono all’incirca le otto di sera, il Veneto è nella morsa del caldo afoso, quello torbido, quello che fa mancare l’aria. La temperatura segna i 36°, quella percepita per l’umidità è di 38°. Qui lo sanno cosa vuol dire convivere con l’umidità che ti si incolla addosso, quando prendi i giornali la mattina e si bagnano. Lo sanno cosa vuol dire convivere con l’afa. È sempre stato così. L’afa quando è troppa, porta tempesta e grandine. È il buio e la luce. Lo yin e lo yang.
Mercoledì sera l’afa ha iniziato a diminuire. Lo senti quando diminuisce, si forma una brezza leggera che sembra dolce ma per chi vive qui, preannuncia l’Apocalisse.
Bastano pochi minuti e il vento prende forza, 7 nodi che diventano 8, 9, 10.
L’altra sera la gente ha iniziato a chiudere tutto, le auto che erano per strada hanno cercato riparo, tutto dentro casa con le finestre aperte ha preso a volare, a sbatacchiare, a rovesciarsi. Le zaffate di vento erano così forti che parevano onde ciclopiche. E tutto intorno erano fulmini, lampi, tuoni.
Qui l’8 luglio 2015, lungo la riviera del Brenta, nel veneziano, ci fu un tornado, un F4, con venti a 300 chilometri orari.
La gente lo sa bene cosa vuol dire trovarsi la casa scoperchiata da un minuto all’altro.
Fu l’apocalisse che spaccò in due il cielo.
Dove il tornado passò non lasciò nient’altro che distruzione e disperazione.
E mercoledì sera le tegole sono venute giù come carte da gioco mosse da un soffio, il vento aveva una tale furia che ha sradicato alberi, pali della luce, alcuni parevano staccarsi da terra, stroncarsi, pareva l’inferno. I chicchi di grandine hanno iniziato a cadere come palle dal cielo…

Qui il mio pezzo 👇🗞️✍️

sbetti

Faccio il meccanico. La mia compagna è precaria. Qui in Italia non c’è futuro

Il ragazzo che mi sfreccia davanti in moto indossa una tuta da meccanico. Una salopette blu. E sotto ha una maglia gialla.
Mi sbuca da dietro in sorpasso, e sorpassandomi, sorpassa anche quelli davanti. Me lo ritrovo al bar quando mi fermo dopo all’incirca dieci minuti. Abbiamo scelto lo stesso posto. Manco farlo a posta. Non indossa più il casco e i capelli nero corvino, più neri della notte, gli scendono lungo il volto. Gli occhi sono scuri. Impavidi. Vivi.
Le dita sono quelle di chi durante il fine settimana indossa tanti anelli e di giorno si mangia le mani a suon di cacciaviti e bulloni. Le mani sono annerite dal nero dei fumi. E lui sorseggia il caffè tenendo la tazzina tra il pollice e il dito medio. È giovane. Avrà all’incirca la mia età. Mi guarda. Lo guardo. Mi dice: “Fa caldo oggi”. Gli rispondo: “Bè dai sopportabile ancora”. “Sì in effetti hai ragione”.
E cominciamo a parlare. Chi sei. Cosa fai. Da dove vieni. Dove vuoi andare. Accade tutto in cinque minuti. Cinque minuti rubati alla sua concessa pausa pranzo di un’ora.
“Ho 35 anni faccio il meccanico. Sono sotto padrone e lo vedi come sono preso. Che devo scappare perché non ho manco tempo per mangiare”.
Ma come non avete la pausa pranzo? “Sì ma il tempo di tornare a casa un attimo, mangiare, ed è già finita”.
E quanto ti pagano al mese. “Al mese prendo 1800 euro, la mia compagna fa la centralinista – precaria – da casa dove le dicono perfino quello che deve dire quando non sa cosa rispondere”.
Sì accade veramente. Se sei in difficolta, qualcuno dall’altra parte della cornetta, mentre sei in pigiama interviene e ti dice cosa devi dire. Prende 700 euro al mese. Con mutuo, assicurazione auto, bollette, spesa aumentata, qualche sfizio perché vivaddio qualche piacere nella vita bisogna anche goderselo, con un figlio in cantiere vivere diventa difficile. “Sai che c’è?”, mi dice lui. “Non mi sento motivato. Sento che non cresco. Dove vado? Sto pensando infatti di andarmene all’estero. Un mio amico l’ha fatto e si trova bene”.
Eccolo, penso. Eccolo là. Eccolo là il giovane tradito dalla vita, emblema di quella gioventù bruciata arsa viva perduta affranta e derelitta. Eccoli lì i giovani che non hanno prospettiva, che non vedono futuro, che non investono su se stessi perché investire su di sé vorrebbe dire passarsi sopra con la macchina. I giovani insoddisfatti. Fragili. Delusi. I giovani non ancora giovani. Ma non ancora vecchi. Caduti in braccio tra le due crisi. I giovani che guardano all’estero. Che se ne vanno. Che migrano. Sradicando ogni punto di riferimento. Ogni legame. Ogni sentimento. “Se la mia ragazza non vuole, faremo su e giù. Oppure ci si divide”. Ci si divide. Quante volte ci si divide per vite diverse. Distorcendo quello che poteva essere.
Nel 2041 mancheranno 3,6 milioni di occupati. Con una popolazione sempre più vecchia che invecchia ogni giorno e non rinasce. Non si fortifica. Non si rigenera. Vanno altrove a seminare i propri frutti. E quelli altrove vengono da noi.

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Qui, fanno ancora la conserva in casa

Lei è un’ infermiera. Si chiama Antonella Pulcini. Ha 42 anni. Il marito di anni ne ha 40. Fa l’infermiere anche lui. Insieme hanno due bambine. Sono entrata a casa loro ad agosto dell’anno scorso. Mi hanno aperto le porte. Mi hanno raccontato i rincari delle bollette, il pellet, le spese per la scuola, per le figlie, non hanno baby sitter così risparmiano e si danno una mano tra vicini. Quel giorno quando sono entrata stavano facendo la conserva.
Menavano quel manipolo che passava il pomodoro avanti e indietro, indietro e avanti, e su e giù e giù e su. Le bacinelle piene di pomodori. Che lentamente diventavano sugo. E il sugo era una crema che a vederla ti veniva voglia di mangiarla.
Mi piace quando entri dentro queste storie. Con delicatezza. Gentilezza. Con garbo. E gratitudine. Mi piace entrarci.
Trovarci le cose semplici. E raccontarle.

Il mio servizio andato in onda su Controcorrente Rete4. Lo potete rivedere su Mediaset Infinity cliccando al link qui sotto 👇

https://mediasetinfinity.mediaset.it/video/controcorrente/caro-bollette-linverno-difficile-degli-italiani_F311547501034C10


👉 Riprese e montaggio di Günther Pariboni 🎥

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Primavalle. Anche qui ci scorre la vita

Settembre 2022.

La tipa che scende dall’auto dinanzi a me, sulla gamba destra, all’altezza del polpaccio, ha un tatuaggio. Ci sta raffigurato un uomo anziano che le sorride. Le somiglia. Credo sia suo padre. Il tatuaggio le copre tutta la parte che dal polpaccio le scende fino a giù verso la caviglia. Sgattaiola via con fare frettoloso. Sbrigativo. Spavaldo. Si vede che è insoddisfatta dalla vita. Qualcuno gliel’ha resa difficile. Qui siamo nei quartieri malfamati. Nei quartieri poveri. Nelle case popolari. Scenari di vite ai margini. Sobborghi di periferia. Intelaiate dalla malavita. Ci stanno vie ripide e scoscese che conducono a piazze che rievocano fatti di cronaca nera. La più brutta. Qui ci sono i bambini che giocano a pallone nei lotti immensi di cemento tra un palazzo e l’altro.

I vestiti appesi alla rinfusa dai balconi evocano donne insoddisfatte, buchi nella stoffa da carpentiere, felpe lunghe larghe da non far trasparire niente, asciugamani che ancora sanno di sudore. Qui si annida l‘emarginazione sociale. Le favelas. Qui i bambini in mezzo ai palazzi alti quanto navi, vociano, vociferano, chi non ha padri o madri cresce in mezzo alla strada. Fanno rimbalzare il pallone che provoca enormi tonfi. Bam. Bam. Urlano. Giocano. Si dilettano. Crescono. Troppo in fretta per essere piccoli. Accanto ci passa un gruppetto di ragazzi. C’avranno all’incirca 16 anni. Hanno tutti lo sguardo da macho, da duro. Sono tutti vestiti uguali. I jeans strappati che col cavallo toccano terra. Le catene ai piedi. Alle gambe. I capellini da baseball. Le magliette larghe, chi rossa chi nera chi bianca. Ti guardano con quell’occhio intrepido che sa di sfida verso il mondo. Scende un ragazzo. È pieno di tatuaggi. Gli chiedo se vuole fare due parole. Mi risponde che non vuole. Blatera qualcosa. Mi manda a fareinculo.

Il signore che mi apre la porta invece è gentile. Somiglia al topino delle Tartarughe Ninja. Al Maestro. Ha gli occhi incavati più incavati di un cava tappi. Le borse violacee sotto gli occhi gli rigano il volto. Ha gli occhi freddi fermi verdi. Non esprimono nient’altro che rassegnazione totale. Un uomo tradito dalla vita che la vita l’ha spremuta poco, gettandola via tra pasticche ed ecstasy. Ai piedi nudi indossa un paio di ciabatte. Dei pantaloni azzurri scoscesi che gli stanno su a malapena. Mi apre la porta con fare disinvolto. Buongiorno. Permesso. Scusi. Uscita dal quartiere è un labirinto di case. Di vie scoscese. La luce del sole riscalda i palazzi. Questi enormi colossi verdi gialli grigi e bianchi. In giro è un incrocio di culture. Droghe. Allucinogeni. Allucinanti. Il coreano che accompagna il figlio. Il messicano che lo tiene in braccio. Il marocchino che si gira la cicca alla fermata dell’autobus. È un incontro di donne nere bellissime africane con i capelli preparati e i corpi perfetti. Un incontro di market, supermercati, farmacie con le saracinesche abbassate; di suore che cercano di far del bene. Di bar che echeggiano gli stivali dei cowboy. I cigolii delle porte. È un incrocio di culture diverse. Di giovani che provano a crescere. A inventarsi qualcosa, sorvolando dai tetti ai garage delle auto. Luci psichedeliche. Cervelli sbiaditi in fumo. Allucinazioni. Ragnatele. Sale da musica rock. Gente da borghi di periferia che vuole emergere. Sui muri scrivono poesie. Frasi. Dipingono cuori. Anche qui ci scorre la vita.

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Il mio servizio con Giordano Giusti qui 👇

https://mediasetinfinity.mediaset.it/video/controcorrente/la-storia-del-rom-di-primavalle_F311547501038C07

Eccesso colposo di legittima difesa

La vicenda del carabiniere di Padova rischia di evolvere in un bell’ ECCESSO COLPOSO DI LEGITTIMA DIFESA. Ripetiamolo assieme: eccesso colposo di legittima difesa. Ripetiamolo ancora: eccesso colposo di legittima difesa. Per chi non avesse ancora capito: eccesso colposo di legittima difesa.
È stata infatti aperta un’inchiesta in tal senso che ipotizza questo reato.
E i fatti sono i seguenti.
È venerdì 14 luglio. Sono le due del pomeriggio. Quando ai carabinieri di Padova arriva la telefonata di una donna allarmata perché il suo ex, Haxhi Collaku, 55 anni, albanese, è sotto casa armato di coltello. I militari dell’arma salgono in auto, sirene spiegate e arrivano sotto casa della vittima, spiegando, perdio che, lì sotto, lui non ci poteva stare, perché aveva già avuto un divieto di avvicinamento alla ex moglie. Ma lui pare non sentirci.
Sale sul furgone. Ingrana la marcia e investe uno dei due carabinieri. Preme l’acceleratore, lo schiaccia e lo minaccia col coltello. L’altro carabiniere, vedendo la scena, prende, impugna l’arma e spara quattro colpi. L‘uomo viene colpito alle gambe e all’addome. Arriva l’ambulanza. Alle 17 l’albanese muore in ospedale. L’altro carabiniere ferito a terra viene trasportato d’urgenza al pronto soccorso, perde molto sangue, non c’è tempo da perdere, la corsa è disperata.
Nella notte tra venerdì e sabato viene sottoposto a un delicatissimo intervento di sette ore in Chirurgia vascolare. Oltre alle fratture e alle ossa rotte, anche il sistema vascolare è compromesso. Troppo forte l’impatto. Ora è in condizioni critiche. E rischia l’amputazione della gamba.
Lo ripeto: l’amputazione della gamba.
Il curriculum di Collaku invece, l’uomo che ha investito il militare, ha un che di inquietante.
Cinquantacinque anni, era già stato denunciato nel 2009 ed era stato condannato per maltrattamenti in famiglia. In 14 anni nonostante altre denunce e nonostante un ammonimento del questore di Padova, non aveva mai smesso di stalkerizzare e pedinare la moglie.
Ora mi raccomando.
Processate le forze dell’ordine.

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