Stuprata alla stazione. Questa è la nostra integrazione

Questa è la nostra integrazione. Questo è lo specchio delle città italiane. Questo è il modello voluto dalla sinistra.
Prima l’ha adocchiata. Poi l’ha seguita. L’ha pedinata. Ha aspettato che lei entrasse dentro l’ascensore e lì l’ha violentata.
Ha aspettato la sua vittima come un animale aspetta la sua preda per mangiarsela. Per spolparla. Ridurla in brandelli. Schizzi di anima.
E così rovinarle la vita per sempre.
Dentro l’ascensore – a far da testimoni le immagini di video sorveglianza – si è consumata la violenza. Lì l’ha palpata. Palpeggiata. E poi infine l’ha stuprata. Lei urlava con quanto fiato aveva in gola ma nessuno l’ha sentita.
Lui è un cittadino marocchino di 27 anni, irregolare in Italia, e senza fissa dimora. Lei è una turista di origini marocchine di 36 anni, che veniva dalla Norvegia ed era diretta a Parigi. È stata violentata e picchiata alla stazione Centrale di Milano, l’altra mattina all’alba.
Lui è uno di quelli che facciamo entrare in Italia, diamo loro una panchina come letto, un marciapiede come tavolo, un cestino o un albero come gabinetto.
Lei è una di quelle tante giovani donne che viaggiano da sole, e che di mattina presto, con la città che si sveglia e i pendolari che scarpinano mai avrebbe immaginato di essere stuprata.
Lui appartiene alla schiera di quelli che contribuiscono a rendere decorose le nostre città. Sostano davanti le stazioni, nelle piazze, contribuiscono a tenere vive le strade.
Qui, davanti la Centrale, ci bivaccano, ci dormono, ci “riposano”, ci vomitano, ci fanno i bisogni. Quando scendi a Milano devi stare attenta a dove metti i piedi.
Le forze dell’ordine, lui, il marocchino, l’hanno rintracciato – dopo che si era svuotato – grazie alle immagini delle telecamere.
Aveva addosso ancora gli indumenti della mattina. È stato difficile risalire alla sua identità dato che documenti non ne aveva e aveva fornito diversi alias. Lei, invece, è stata trovata in stato di choc, da una guardia giurata. Ogni passaggio dell’aggressione è stato da lei descritto ed è stato ripreso dalle telecamere. La trentaseienne è stata portata in ospedale. Lui in questura e quindi messo in carcere perché potrebbe colpire ancora.
Questo è il racconto, se così si può chiamare, di una violenza consumata la mattina presto in una delle città più note e grandi d’Italia.
Questo è lo specchio di quello che c’è lì fuori. E la cronaca nera quotidiana lo descrive perfettamente. Violenza e degrado. Degrado e paura. Una città allo sbando. La terra di nessuno. La paura di prendere un treno. Il timore rientrare a casa la sera. L’esigenza di farsi accompagnare quando avverti il pericolo. Ma questo nel magico mondo dei buonisti non è contemplato. Loro sono sempre dalla parte del prossimo. Soprattutto se questo ti invade clandestinamente e stupra le donne.

sbetti

Immagine d’ archivio.

Occhio. Ci sono anche i lupi

Questo pezzo è uscito sulla Verità venerdì 28 aprile.

È sera. Saranno all’incirca le undici e mezza. Siamo nel centro di Asiago e all’improvviso avvistiamo un lupo. Lo vedi: lesto, accorto, guardingo ma audace, procede a passo felino aggirandosi tra le case. Proviamo a stargli dietro con l’auto e lui si mette a correre. Tempo due minuti, la sua falcata prende quota, continua per una manciata di secondi davanti a noi, e poi si defila nella penombra delle case, sparendo nella notte.

Funziona così qui ad Asiago, un comune di appena 6000 anime, centro principale dell’Altopiano. Noto per il suo turismo invernale e per quello estivo, Asiago è famosa anche per il suo formaggio. Ma i lupi rischiano di diventare un danno. Mangiano le manze. Sbranano le mucche. Se non trovano pane per i loro denti si rifanno sugli animali domestici.

Diego Rigoni, allevatore e vice presidente dell’Unione montana dei comuni ha visto varie volte le sue asine e manze sbranate dai lupi. “Una sera ho sentito questo violento ululato – ci racconta – e sono corso fin qui a vedere cosa fosse accaduto. Avevo il cuore in gola, la paura di trovarmi davanti il lupo era tanta”. Del resto qui i lupi non temono gli uomini. A Marco Finco, un macellaio, hanno sbranato il cane mentre era a passeggio. 

Capita anche di vederli mangiare nelle ciotole dei gatti. Alcuni ragazzi che tornavano da una festa una sera si son ritrovati 6 lupi davanti il portone di casa. Come a Campodolcino, un borghetto di appena 900 abitanti, in provincia di Sondrio, lungo la Valchiavenna. Qui un bimbo di 10 anni ha trovato una cerva sbranata da un branco di lupi a pochi metri dalle case. Tanto che ora 12 sindaci lombardi hanno lanciato un appello al governo per dire: occhio ai lupi perché questi sono “pericolosi come l’orso bruno”. È stata avviata anche una raccolta firme. 

Anche a Romano d’Ezzelino, un comune nel vicentino, tre settimane fa i cittadini hanno avvistato un lupo. Pieno centro. Pieno giorno. Sfrecciava in mezzo alle abitazioni. “Non hanno più paura di avvicinarsi agli insediamenti umani – ci spiega Isabella Lora, veterinaria che vive ad Asiago – anche perché non hanno nessun motivo per avere paura di noi”. Nel comune famoso per i formaggi, i cittadini si sono riuniti e hanno dato vita a gruppi su whatsapp. Funziona come con i controlli di vicinato, solo che anziché tenere a bada i ladri, tengono a bada i lupi. 

Qui ci sono tre branchi sicuramente stabili. 

Ma per raccontare la storia dobbiamo riavvolgere il nastro al 2012 quando in Lessinia, un paradiso verde incastonato tra le Dolomiti tra il Veneto e il Trentino, avviene un incontro galeotto tra una lupa della popolazione italiana e un lupo proveniente dalla Slovenia. L’amore fece nascere una cucciolata e qui i lupi ricominciarono a diffondersi: Alpi occidentali, Trentino, Friuli Venezia Giulia, Veneto. 

Secondo dati ufficiali, nel Bellunese, ci sarebbero tra gli 80 e i 120 lupi, suddivisi in ben 17 branchi. In Italia gli esemplari sarebbero intorno ai 3300. 

E ora si stanno diffondendo anche in Emilia Romagna e in Lombardia. “C’è una contiguità e una vicinanza, tra gli uomini e i lupi, ormai quotidiana in tante zone e che va gestita”, ci spiega Christian Maffei, presidente Arci Caccia nazionale. 

A Lucca, l’11 aprile scorso, una donna di 50 anni, sarebbe stata morsa alla manoda un lupo. Un animale che può essere pericoloso, anche se ci spiega un biologo dell’Appennino tosco emiliano, il rischio che attacchi o ammazzi un uomo è molto basso. Un esperto ci dice che potrebbe attaccare un bambino in quanto il lupo lo vede alla stessa altezza. 

Insomma tra lupi e orsi è bene stare attenti. E magari non inseguire gli orsi con l’auto, terrorizzandoli, come è accaduto ieri nel tanto discusso Trentino. Due persone, ora denunciate, hanno filmato questa bravata e l’hanno messa nei social. Qui la paura è ancora tanta. Basta fare un giro per il borgo dove è morto il runner Andrea Papi, a Caldes. 

Sull’abbattimento dell’orsa Jj4, che ha aggredito Papi, e di Mj5, c’è attesa che il Tar si pronunci. La Corte dei Conti, in più, starebbe indagando sulla gestione dei plantigradi e l’ipotesi, se dovesse accertarsi una mala gestione dei progetto Life Ursus, è quella del danno erariale. Progetto pagato con i soldi pubblici, e che ha portato al ripopolamento di questo esemplare. 

In Slovenia, il 13 aprile scorso, il ministero delle Risorse Naturali ha approvato l’abbattimento di 230 orsi bruni. “Prima di prendere questa decisione – spiega il ministro Uroš Brežan alla Verità – il ministero ha preso in considerazione tutte le altre opzioni”. La proposta è stata fatta dal Servizio forestale sloveno e dall’Istituto per la conservazione della natura, con il parere di esperti della facoltà di Biotecnica dell’università di Lubiana. Una decisione, dice “difficile, ma accuratamente e sapientemente ponderata” soprattutto per “proteggere la salute e la sicurezza umana”.

Serenella Bettin

La Verità, 28 aprile 2023

Gli unici fascisti sono gli antifascisti

Sono stata qualche giorno distante dai social, ci sono rientrata un attimo il 25 aprile e mi è venuto il vomito. Ci ho trovato gente che berciava di qua. Gente che schiamazzava di là. Gente che gracchiava. Strepitava. Vocitava.
Agli italiani credo freghi poco nulla delle polemiche sul 25 aprile. I fascisti. Gli antifascisti. Cerimonie sì. Cerimonie no.
Una volta quando io andavo a scuola esisteva San Marco. E si festeggiava quello. Le polemiche sul 25 aprile sono nate dopo, quando la gente fondamentalmente ha iniziato a stare bene, dimenticando quello che è stato, fottendosene di tutto. E di tutti. Non esisteva “Bella ciao” sì, “Bella ciao” no. Questo sì. Quello no. E basta. Basta.
Qua gli unici fascisti sono gli antifascisti.
Io la conosco bene questa gente. Benissimo. Questi sono quelli che predicano libertà e democrazia e poi se non la pensi come loro ti mettono al gabbio, ti intrappolano, ti imprigionano. Vogliono reprimerti. Ostacolarti. Fanno così talmente tanti sforzi per far sì che il loro pensiero si incunei talmente tanto nella tua mente che solo una forza granitica della tua anima e dei tuoi valori può non soccombere ai loro deliri.
Lo provano quelle immagini vergognose dei ministri e del presidente Meloni appesi a testa in giù, che qui non pubblico perché altrimenti mi viene detto che incito all’odio, e per le quali sono stata travolta da un’ondata di disgusto. Quelli che si professano antifascisti usano gli stessi mezzi che i fascisti veri e propri e che ormai sono morti e sepolti, usavano.
Questi sono ancora fermi lì, al fascismo e all’antifascismo di ottant’anni fa. A quando in città sfilavano le camicie nere e i drappi rossi. Sono fermi a quando Mussolini dava l’olio di ricino, sequestrava la stampa, infiocchettava le città con la sua immagine, mandava in esilio i dissidenti. Robe di un’Italia fortunatamente dimenticata, visto che non mi pare esista nessun limite alla libertà di espressione dato che ogni giorno qualsiasi coglione può scrivere e dire idiozie in ogni dove. Gli unici limiti sono quelli che si impongono ai politicamente scorretti perché oggi se vuoi sopravvivere devi allinearti col pensiero unico, con il main stream, con l’obbriobrietà del politicamente correttissimo. Questo è il fascismo. Impedire agli altri di dire il proprio pensiero.
Considerare qualcuno omofobo, razzista, fascista e chissà che altro solo perché parla di famiglia tradizionale, di padre e madre, o perché vuole fermare l’immigrazione irregolare. Se non sei come loro, sei un personaggio da linciare. Da appendere a testa in giù. Da denigrare.
Su questo campano i finti antifascisti. Si reggono sui loro deliri. È il loro collante. La loro benzina. Quando non si hanno altri argomenti si scende in piazza sventolando bandiere e paventando pericolosi fasci inesistenti.
Ogni posizione scorretta viene bollata come fascista.
Ogni idea, che esca dal seminato di quello che pensano quattro neuroni di sinistra, diventa un mostro da abbattere.
In questo pollaio non so, a questo punto, chi siano i fasci.

#sbetti

Sostituzione etnica: la gente parla. Parla. Non sa di che cazz parla

Davvero non riesco a comprendere perché il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida sia finito nella macchina del fango del becerismo più rozzo per avere pronunciato le parole “sostituzione etnica”.
Certo ha usato una espressione infelice. Forse poteva essere più accorto ed evitare di porgere il fianco ad avvoltoi che non vedono l’ora di rievocare nazismi e fascismi morti e sepolti.
Lollobrigida intendeva dire, traduciamo per chi ancora stenta a capire, che in Italia a forza di far arrivare clandestini a destra e a manca, rischiamo una sostituzione degli italiani. Ora.
Questa espressione che in qualcuno ha evocato periodi bui del nostro Paese, pur non centrando nulla, in realtà è una formula per dire che in Italia la situazione è questa: i nati sono sempre meno, i giovani vanno all’estero, e qui importiamo manodopera a basso costo dove gli imprenditori italiani e stranieri sfruttano i migranti perché fa loro comodo. Orbene. Dinanzi a questa espressione si sono levati gli scudi. Apriti cielo.
Qualcuno ha paragonato le esternazioni del ministro alle teorie hitleriane, senza manco sapere cosa sia la “sostituzione etnica”, concetto inventato nel 2015 peraltro.
E in chi ci vede Hitler, la polemica non ha nemmeno ragione di esistere, perché se la mia memoria non mi inganna, in quegli anni il leader voleva propagandare e portare avanti il mito di una particolare razza. E non il contrario.
Qui l’espressione, invece, visto che ci sono tanti intelligenti, viene riferita a qualcosa che incombe non che il ministro vuole fare. Quindi anziché rievocare il nazismo le due parole sono piuttosto dovute a una ignoranza del ministro e a una ignoranza di chi lo attacca. Ma non è questo il punto.
Il punto è che, discrasie filosofiche a parte, Lollobrigida ha detto la verità.
In una recente inchiesta che ho fatto in alcune scuole, ho visto classi dove ormai gli stranieri da Ho Chi Min ad Alì, sono in netta prevalenza; classi dove ci sono due, tre bambini italiani a fronte di 24 alunni e scuole di 1200 studenti, dove i 2/3 sono immigrati o figli di immigrati. Non solo. Se vado in un ristorante a Jesolo, quest’estate, a servire e lavorare come muli trovo bengalesi e indiani.
Se vado al centro sud trovo più che altro ragazzi o ragazze dell’est. Anche se devo dire che ancora qualcuno di autoctono – lo posso dire vero? – c’è.
Ecco. Altra cosa. Ultimamente l’Istat ha dato alcuni dati. Mai così pochi nati. Le nascite nel 2022 sono precipitate sotto la soglia delle 400.000 (393.000). Ed è di questi giorni infatti la preoccupazione delle imprese a fronte del calo delle nascite. Negli ultimi 25 anni gli occupati con meno di 35 anni sono diminuiti di 3,6 milioni. Basta andare a parlare con qualsiasi imprenditore o albergatore che cerca lavoratori.
La popolazione italiana poi è calata a 58 milioni e 851.000. Nel 2014 eravamo 61 milioni.
Voi come la chiamate questa roba? Ora scusate ma a me ogni volta che sento queste polemiche, mi vengono in mente quelle scene alle scuole elementari, quando la maestra finiva di spiegare, c’era sempre il poveraccio che alzava la mano, “maestra ma lui mi ha tirato un calcio alla sedia”.

sbetti

Più che dell’orso, ho paura dei giudici

L’ennesima prova che la magistratura in Italia crei un ginepraio di danni immensi, la si è avuta il 14 aprile scorso, in diretta direttamente dal Trentino, quando il TAR di Trento ha sospeso l’ordinanza di abbattimento dell’orsa Jj4.

L’orso – scusate se uso il sostantivo maschile non me ne vogliano le femministe – colpevole di aver fatto l’orso, non sarà abbattuto. Che dire. Il tar ha accolto il ricorso degli ambientalisti e animalisti da salotto. Quelli che vanno in giro col telefonino sempre acceso, che mangiano tonno al posto del prosciutto e che per far sentire la loro voce organizzano proteste schizofreniche e se per caso arrivano le multe paga Pantalone. Da dire che già nel 2020 quell’orso aveva aggredito un uomo e suo figlio. E che già nel 2020, Fugatti, il presidente del Trentino, aveva emesso un’ordinanza di abbattimento. Fugatti vi ricordo in questi giorni viene ritenuto quasi più responsabile dell’orso.

Ecco in quell’occasione gli ambientalisti e gli animalisti da salotto fecero ricorso prima al Tar e poi al Consiglio di Stato. E anche in quella occasione i giudici diedero loro ragione. Ossia, come avviene per la stragrande maggioranza dei delinquenti, una volta che vengono presi vengono anche liberati. Questo, come possiamo appurare dalle accurate e petulanti cronache di questi giorni, accade sia con gli uomini. Che con le donne. E sia anche con gli animali. Nessuno è escluso. Del resto se si lascia libero uno stupratore. Non vedo il motivo per cui non si debba lasciare libero un orso incapace di intendere e di volere. Orbene. Dicevo. Già nel 2020 Jj4 aveva sguainato i suoi artigli. Ma i giudici pensarono bene di rimetterglieli dentro la fondina, concedendole la grazia. Il che vuol dire, se la conditio sine qua non non mi inganna, che se i giudici non l’avessero graziata, Andrea Papi a quest’ora sarebbe ancora vivo.

Sia chiaro che pur non essendo io un’ambientalista da salotto – a 18 anni finii su tutti i giornali perché difendevo la barbarie del tiro del collo a un’oca – io non sono per l’abbattimento dell’orso. Anche perché non vedo il motivo di abbatterne uno per educarne 100, dato che Yoghi non mi risulti possa capire. Ma visto che l’orso in questione era già stato segnalato come esemplare pericoloso mi chiedo perché non si sia più fatto niente in seguito. I giudici che tanto magistralmente avevano emesso il loro verdetto avrebbero anche potuto darci la soluzione. Ossia che fare di questo orso? Dove ce lo mettiamo? Disporne il trasferimento. Metterlo in uno zoo. Metterlo a casa di qualcuno. Inserirlo in un programma di recupero alla Jurrassic Park. Invece zero. Niente di niente. Del resto le toghe devono fare così. Il terzo potere. Quando non sanno cosa dire, si passano la palla tra di loro perché non possono intervenire nel merito. C’è un detto però che dice che sbagliare è umano. Perseverare è diabolico. Sperando non debba esserci un prossimo morto.

#sbetti

Eppure nessuno vuole abbattere i cani

Qualche tempo fa mi sono occupata di lupi. E mi avevano colpito le parole di un esperto che avevo intervistato sull’Appennino tosco ligure.
Mi aveva detto che ogni anno, in Italia, ci sono oltre 71 mila ricoveri per ferite provocate dai cani.
E che non per questo ci mettiamo a sterminare tutti i cani del mondo.
Una posizione abbastanza condivisibile soprattutto col fatto che alcune volte i padroni degli amici a quattro zampe sono quattro zoticoni impressionanti.
Mi riferisco a quelli che detengono i cani come allarmi di sicurezza per le loro egregie ville. Ultimamente, infatti, ne vedo di qualunque stazza liberi.
Liberi di girare in mezzo ai giardini frequentati dai bimbi. Liberi di andarsene a zonzo in mezzo ai campi e di correre per strada in mezzo ai runner. Sono cani aggressivi, dobermann, rottweiler. Che se proprio uno deve tenere un cane di queste dimensioni e con questa carica aggressiva, abbia almeno la compiacenza di tenerselo chiuso in casa, in giardino, al cesso, dove gli pare, ma non in giro. Per non parlare poi delle merde di cane che finiscono per strada e anche qui ci sarebbe un capitolo da aprire.
La vicenda dell’orsa Jj4 è più o meno la stessa cosa.
Purtroppo per una mia predisposizione innata nutro una IMMENSA scarsa fiducia nell’umanità intera. Gli esseri umani sono quattro zoticoni presuntuosi arroganti incivili e cafoni che credono di poter cambiare la natura perfino facendo nascere i bambini a destra e a manca.
Che credono di avere in mano le redini del mondo e invece non sanno nemmeno tirare la cordicella del water nei bagni pubblici (E forse nemmeno in quelli di casa).
L’orso, come qualche altro esemplare, in Italia è stato importato. Importato con quei grandi bei progetti, acchiappaturisti, di cui i politici e gli studiosi si riempiono la bocca.
Tutti piani finanziati con i soldi pubblici ossia con i nostri e che mancano di piani di contenimento. Ossia questi progetti funzionano così: si importano gli esemplari, li si immettono nell’ambiente, li si lascia liberi di pascolare, questi si riproducono e all’improvviso ci ritroviamo invasi e la situazione sfugge di mano.
Così una volta scoppiata l’emergenza, si dice così ora, l’essere umano cosa fa. Crede che per risolvere il problema basti abbattere un orso che ha avuto la sfiga di incappare in un runner che stava correndo in mezzo al bosco.
È accaduto con i lupi. I daini. Con qualunque animale creiamo, importiamo, partoriamo, facciamo arrivare perché ci crediamo padroni di poter rovesciare e manipolare la natura come ci pare e piace.
Ecco la vicenda dell’orsa in Trentino è proprio questo. Lo specchio della grettezza e della bassezza della nostra società. Che ti usa e poi ti getta via. Che ti sfrutta e poi ti ammazza. Che se ne serve e poi se ne disfa.
Che si crede lupo e invece è agnello.
Che si crede padrona del mondo e invece non sa nemmeno controllare le merde dei propri cani per strada.

sbetti

Con i soldi del Pnrr la transizione ecologica dei musei. Che roba sarà mai

Qualche tempo fa sono andata a indagare sulle opere che dovrebbero essere finanziate con il Pnrr. Questo piano di ripresa e resilienza e questa ultima parola che alla gente piace tanto, ma che a me fa proprio schifo. Resilienza.
Detto ciò.
Ci sono stata dietro settimane a questa roba e quando ho terminato – nel giornalismo non si termina mai – sono rimasta a bocca asciutta. Ossia. Ho iniziato a chiedere ai sindaci del territorio, come dicono quelli che vivono in un determinato luogo, quali opere avessero mai dovuto finanziare con questi soldi, questi benedetti 191 miliardi – che per chi ancora non lo avesse capito, non sono gratis, sono un prestito che dobbiamo restituire. Con tassi di interesse e vincoli.
Ecco dicevo ho iniziato a chiedere quali opere venissero finanziate, quali progetti avessero mai presentato dato che tutti si lamentano sempre perché non ci sono le strutture, perché non abbiamo le strade, i ponti, i treni ad alta velocità che arrivano puntuali, e in 15 giorni non ho trovato una cosa, dico una, che sia notevole e necessaria per i cittadini.
Uno mi ha risposto che devono rifare una statua “bellissima prestigiosa per il nostro territorio” a Santa Maria Stuarda. Un altro mi ha risposto che deve fare il Museo del Pane. Un’altra ancora che deve rifare i cappotti termici a una scuola dismessa dove non ci andrà mai nessuno, ma sai mai che non arrivi qualche migrante.
Un’altra che deve rifare il monumento in piazza perché “sa, quando arriva nel nostro Paese il monumento non restaurato non è proprio un bel biglietto da visita” – mai che si fossero preoccupati della vecchia caserma con i 400 migranti, quello sì che era un bel biglietto d’ingresso.
Un altro ancora mi ha detto che devono rifare il centro civico per l’accoglienza delle mamme da favola. Un altro ancora che devono fare il bocciodromo, per carità con tutto il rispetto per i vecchi e per quelli che giocano a bocce e vedono in tale pratica un dileggio.
Un’altra mi ha detto che deve provvedere alla “transizione ecologica dei musei”, che roba sarà mai questa poi non l’ho ancora capito.
A un sindaco di una città nota a cui ho chiesto: “Ma scusi eh, scusi, ci sarà un’opera importante e che serva veramente ai cittadini in tutti questi progetti presentati?”, mi ha risposto: “Non so. Senti tizia non ho seguito io la cosa”.
Cioè i fondi del Pnrr sono così talmente importanti che manco un sindaco di una città con 100 mila abitanti sa quali opere debbano essere finanziate nella sua città. Della serie non c’è nessun progetto importante che possa servire ai cittadini perché se ci fosse una strada che si allaga, un ponte necessario, un qualcosa che veramente serva come il pane allora forse se ne ricorderebbe. Un altro mi ha risposto che vorrebbe fare un nuovo bocciodromo con gli spogliatoi. Che non ho capito a chi servano, dato che chi gioca a bocce, la sera dopo il bianchetto e un giro di carte, in genere non si cambia e non si fa la doccia. Un altro ancora mi ha detto che deve rifare la biblioteca. E che poi i ragazzi non ci vadano più, perché entrare nelle biblioteche è come entrare ad Alcatraz, è un altro paio di maniche. E un altro mi ha risposto che deve fare la sede per la banda. Quella musicale. Un altro ancora i campi di padel.
Ora a me non pare che queste opere siano così interessanti e importanti, dal momento scusate che i dipendenti comunali possono anche stare senza termosifoni nuovi, ma mi sarei aspettata che il piano di resistenza e resilienza, quanto vi piace sta parola, avesse previsto qualcosa di diverso. Che ne so: un ponte? Una strada importante? Un ospedale. Le casette per i terremotati! Un qualcosa di un porco che potesse servire.
Invece ci ritroviamo con il bocciodromo e la transizione ecologica dei musei, che vorrei che qualcuno mi spiegasse che razza di roba sia.

sbetti

Con i nostri soldi. Alla faccia nostra

Io davvero non so cosa sarebbe accaduto se al posto della vignetta raffigurante un Salvini che fa il saluto romano e che viene sborrato in faccia dal membro di un ragazzo di colore, ci fosse stato un esponente del Pd o della sinistra o magari la neodiva magica Elly, raffigurati mentre partecipano a un’orgia tra gay o lesbo o quant’altro. Anche perché non si capisce se tale vignetta voglia prendere in giro Matteo Salvini o il membro del ragazzo di colore che sborra.

Lo schizzo, in tutti i sensi, questa immensa opera d’arte, ammesso che così si possa chiamare questa roba, è stato realizzato da Luis Quiles che in arte si fa chiamare anche Gunsmithcat, ed è stata esposta al Torino Comics che si è tenuto in questi giorni al Lingotto Fiere. Quest’anno come novità al Torino Comics c’era infatti la zona rossa, forse più per appartenenza politica, dove sono state esposte queste immagini, per così dire pruriginose, che fanno eccitare quelli che sono rimasti all’era in cui sfogliavano i giornaletti e si facevan le seghe sotto i banchi.

Difficile immaginare una immagine di così tanta e tracotanza bruttezza. Veramente qui sconfiniamo nella psichiatria assoluta. Una immagine disegnata anche male.

Dato che un bambino, bravo in disegno alle scuole elementari, avrebbe fatto sicuramente meglio.

La raffinatezza di codesta raffigurazione giunge all’essere umano nutrendolo di un benessere e di un appagamento dei sensi che è impossibile da descrivere. L’estasi di Matteo Salvini la si comprende tutta, nelle pieghe dell’abito nero, nel volto scolpito e disegnato dalla mano attenta ed efficace dell’artista spagnolo, e dal quel palmo di mano teso in avanti con quella proboscide che fuoriesce dal campo visivo e si innesta a gamba tesa in una prospettiva asimmetrica. Lo sfondo rosso poi contribuisce a incrementare la foga del tutto e l’estasi è perfettamente intesa.

Ora io non comprendo perché mai certe cose vengano in mente sempre a quella certa parte politica che ama definirsi democratica, ma che se non sei come loro ti castiga, e per quale motivo il bersaglio sia sempre la destra.

Prendi la Madonna sfregiata, il papà incinto, Babbo Natale che bacia un uomo.

E ora Salvini sborrato dal cannone.

Il tutto con il patrocinio della regione Piemonte. Della città di Torino. Della camera di commercio, e della commissione europea.

Enti che patrocinano, ovviamente, liquidi seminali in faccia alla gente. Con i vostri soldi. Alla faccia vostra.

#sbetti

Ho comprato un embrione congelato per 2 mila euro

La mia inchiesta per La Verità 👇

Vite sospese nel ghiaccio. Avanzi di gravidanze, sogni infranti, desideri che diventano diritti, interessi personali che sovrastano quelli delle piccole creature. La richiesta di consegna avviene in un sito internet a cui basta collegarsi. Un secondo e siamo dentro. Usiamo un nome di fantasia e ci mostriamo interessati a farci pervenire un embrione congelato dalla Polonia. Basta cliccare sul bottone giallo in alto a destra, quello con disegnato l’aeroplanino e il gioco è fatto. Si apre una schermata dove devi inserire: nome, cognome, indirizzo email, numero di cellulare, il Paese di provenienza e le informazioni sulla consegna. Clicchi il tipo di materiale che vuoi trasportare, se il criotrasporto di cellule come uova, sperma, embrioni, se la criospedizione del Dna o la se la criospedizione del sangue. Poi devi selezionare il Paese dove è conservato il materiale, quello dove dovrebbe essere consegnato e la data di arrivo che preferisci. Un controllo che ci sia tutto, una scorsa veloce e voilà, la richiesta parte.

Ordinare il trasporto di un embrione, ammesso sia una pratica consentita, è facile come prenotare un mobile all’Ikea. Lo puoi comporre, scomporre, scegliere il tipo di viaggio, puoi decidere anche se vuoi un book fotografico. Il sito è quello di una società che ha sede negli Stati Uniti ed è specializzata in criotrasporti per la riproduzione assistita. Non è l’unica. “Trasportiamo cellule riproduttive umane – ci scrive il nostro interlocutore – per cliniche della fertilità e singoli pazienti con fecondazione in vitro, sia che tu debba trasportare ovociti congelati, campioni di sperma o embrioni”. L’evento della nascita, della vita che esplode, diventa un mercato, una forma di shopping, coordinato da specie di agenzia viaggi con tanto di all inclusive. Se desideri avere altre informazioni, in basso a destra del sito si apre una finestrella. “Benvenuto”, ti scrivono, “scrivici la tua mail e il tuo nome”. Da lì parte una conversazione con un operatore. Chiediamo quanto costi far arrivare un embrione congelato dalla Polonia all’Italia. “I need a quote for the transport of a frozen embryo. The journey is from Poland to Italy – Avrei bisogno di un preventivo per il trasporto di un embrione congelato. Il viaggio è dalla Polonia all’Italia”. “The price starts from 2.000 euros – il prezzo parte da 2000 euro”, ci risponde l’assistente. Poi, nel giro di un’ora, veloce, veloce, via mail ci arriva un preventivo alquanto dettagliato e suddiviso in vari livelli.

Il primo livello prevede la consegna “porta a porta” e costa 2.000 euro. L’embrione arriva in un “serbatoio convalidato che mantiene la temperatura a -196°С”. In questo pacchetto forniscono anche la “supervisione personale da parte del nostro corriere umano durante l’intero trasporto (trasporto a mano)”. Al secondo livello invece, il prezzo sale a 2.300 euro; qui, oltre al “serbatoio convalidato che mantiene la temperatura a – 196° C”, alla consegna “porta a porta” e alla supervisione da parte del “corriere umano” ci sono il supporto clienti, il supporto legale, la polizza assicurativa e, attenzione, il report fotografico: un vero e proprio book che racconta il viaggio dell’embrione dal momento del ritiro al momento della consegna. La consegna deve avvenire tra due cliniche, l’embrione non può essere consegnato a casa, ci scrive Natalia, l’impiegata che ci ha mandato il listino. Procediamo nella lettura del preventivo e arriviamo al terzo livello. Qui il prezzo sale a 2760 euro e oltre ai servizi che vi abbiamo elencato prima, ci sono anche: il rimborso per la cancellazione, il “monitoraggio della spedizione 24 ore su 24, 7 giorni su 7, 365 giorni l’anno da parte del team di assistenza clienti”, “l’assistenza clienti su telegram, whatsapp, viber, messenger, email”, la fornitura dei “dettagli del corriere” con annessi “numero di cellulare, whatsapp, viber” e i dazi doganali fino a 100 dollari. Poi c’è scritto: “Gli oneri correlati superiori a euro 100 saranno fatturati separatamente”.

Eccerto. Queste sono le offerte. Sul sito poi, come avviene su Amazon, puoi anche tracciare il tuo pacco. “Tieni traccia del tuo ordine”, c’è scritto. “I nostri corrieri – ci scrive Natalia – ritirano personalmente i campioni di fecondazione in vitro dalle cliniche della fertilità utilizzando i più recenti caricatori secchi che sono riempiti con azoto liquido o vapori di azoto”. Gli embrioni congelati, infatti, sono quelli nati dall’incontro tra ovulo e sperma in vitro che, anziché essere subito impiantati nell’utero, vengono ibernati perché in esubero o in attesa di essere trasferiti. Il sito della Fondazioni Veronesi spiega come gli embrioni messi “in cassaforte” dalle coppie in attesa di pma e adatti al congelamento vengano stoccati a quasi – 200° centigradi e immersi nell’azoto liquido. “Durante il periodo di trasporto – continua Natalia – la temperatura interna viene misurata continuamente e puoi essere certo che il container verrà trasportato a mano e non verrà mai sottoposto a raggi X durante il controllo di sicurezza doganale dell’aeroporto”. In più, continua, “utilizzando i nostri rapporti consolidati con le principali compagnie aeree del mondo, possiamo garantire consegne rapide e puntuali, indipendentemente dalla destinazione o dai tempi ristretti”.

Avete capito? Farsi arrivare un embrione diventa quasi più facile che prenotare un viaggio alle Maldive. Ma questa pratica si può fare? Ufficialmente un privato non può ordinare il trasporto di un embrione conservato in una clinica all’estero, ma come vi abbiamo raccontato, stando comodamente seduti dal pc di casa questo divieto è facilmente aggirabile. Basta pagare. In Italia il trasporto può avvenire solo tra centri autorizzati dalla normativa europea. Ci sono centri italiani che si occupano di trasporto di gameti, embrioni e campioni a utilizzo clinico e il cui spostamento avviene con “mezzi e operatori specificatamente formati”. Per la spedizione dei campioni da un Paese estero è necessario richiedere al ministero della Salute un’autorizzazione di esportazione e sono sempre di più le coppie che si rivolgono oltre le frontiere dove è ammessa la “donazione” – si fa per dire – di ovociti, dietro compenso. Ma il punto è, tutti questi embrioni dove finiscono?

Una relazione del ministero della Salute al Parlamento (febbraio 2021 sull’anno 2018) parla di un arrivo di “3.060 criocontenitori provenienti da Spagna, Repubblica Ceca e Grecia”. Paesi dove la “donazione” – che donazione non è – di ovociti è ammessa. Se una coppia gay o se una donna in Italia non può aver figli, non fa altro che mandare lo sperma del marito o del compagno in una clinica all’estero, qui troverà qualche donna che donerà l’ovocita, si formerà l’embrione e questo in qualche modo tornerà in Italia, magari tramite le “agenzie viaggio” che organizzano last minute di embrioni in volo. La relazione del ministero della Salute al Parlamento, di settembre 2022, sull’attività dei centri di procreazione medicalmente assistita parla addirittura di “attività di import – export di gameti ed embrioni”. Sì. Dice proprio così. “Attività di import export di gameti ed embrioni”. Parole da far rizzare i capelli. Che sono anche il titolo dell’ultimo capitolo. Nel 2020, dati alla mano, quelli crioconservati erano 42.057 con una percentuale del 57,5% dei trasferibili e dei sopravvissuti. Da una tabella si legge che le importazioni di embrioni nei criocontenitori nel 2016 sono state 2.865. Nel 2018 arrivano a 3.060. E nel 2020, arrivano a 3989. Non solo. Da un documento di Camera e Senato scopriamo che nel 2018 “sono stati formati 98.673 embrioni trasferibili, ne sono stati trasferiti 54.725 (55,5%) e ne sono stati crioconservati 43.946 corrispondenti al 44,5%”. Nel 2020 invece “sono stati formati 74.871 embrioni trasferibili, ne sono stati trasferiti 32.339 (43,2%) e ne sono stati crioconservati 42.532 corrispondenti al 56,8% dei formati e trasferibili totali”. Embrioni che non possono essere distrutti. A fronte di questi dati le nostre fonti parlamentari parlano di un numero che si aggirerebbe oltre i 120 mila embrioni crioconservati totali, a cui vanno aggiunti quelli importati dall’estero.

In Italia, quindi, ci sarebbero oltre 120 mila vite sospese nel ghiaccio. Che fine hanno fatto?

Serenella Bettin

La Verità, 3 aprile 2023

La vittima dello stupro di Bologna trattata come vittima di serie B

Nel magico mondo fatato e inclusivo non c’è posto per lo stupro di gruppo avvenuto a Bologna alla Festa dell’Unità.
Nella notte tra il 17 e il 18 settembre scorsi, al Parco Nord, mentre si stava celebrando la suddetta festa, una ragazzina di 15 anni è stata violentata da un coetaneo immigrato africano, di seconda generazione, mentre il branco riprendeva lo stupro col telefonino.
Su questa vicenda è calato il silenzio.
Chi avrebbe dovuto, se n’è ben guardato dal proferire parola, mettendo in sordina tutto e facendo passare la vicenda come un triste caso di cronaca locale.
Il che sembra abbastanza contraddittorio e bizzarro.
Ossia, mentre sul palco della festa dell’Unità, si celebravano e si reclamavano i diritti di tutti, degli immigrati, di chi pretende di prendere a noleggio una donna per metterla incinta, appena poco fuori dal palcoscenico, a riflettori spenti, si consumava uno stupro.
La cosa è grave già di per sé. Lo stupro è uno dei maggiori squarci che una donna possa subire. Sia che lo subisca da parte di un italiano. Sia che lo subisca da parte di un immigrato. Non c’entra il colore della pelle. Non c’entra la nazionalità. Non c’entra la provenienza. C’entra il fatto che un uomo con il suo pene ha penetrato la femminilità di una donna senza il consenso di questa.
È il dipingere lo stupro con un colore politico che denota la rozzezza.
Ma. C’è un ma.
Perché il trattamento riservato alla vittima di questo stupro non è stato uguale, e nemmeno lontanamente simile e immaginabilmente simile, alle donne vittime delle presunte molestie degli Alpini. Quando l’anno scorso ci fu il raduno delle Penne nere a Rimini – e la sottoscritta era presente – ci fu tutta un’area appartenente al politicamente corretto che si stracciò le vesti per qualche commento di troppo. Per settimane andò in scena la caccia all’Alpino pur non avendo prove. Pur non avendo denunce, se non una, poi archiviata. E pur dipingendo tutta la categoria come una bolgia composta da infami, stupratori, molesti, violentatori, pedofili. Per settimane assistemmo a questo scempio, tanto che ora l’Associazione Nazionale Alpini per quest’anno ha pensato di dotarsi di un codice di comportamento. Quali screzi. Quali innumerevoli danni e drammi.
Eppure nel magico mondo fatato e inclusivo, che ci vorrebbe tutti integrati e buoni, accade anche che gli immigrati violentino le donne. Che gli italiani le maltrattino. Che le nostre città siano sempre meno sicure. E che i numeri delle denunce parlino. Stigmatizzare gli Alpini come esseri spregevoli non va bene. Così come non va bene appiccicare tali etichette agli immigrati.
Ma visto che siamo in tema Pasquale, quella parte del mondo buonista guarda la pagliuzza negli occhi dei fratelli, e non la trave nei propri.
Così. Giusto per dire.
Mi auguro abbiate passato una Buona Pasqua.

sbetti

La maternità non è un affare tra donne che si gestisce tra donne

Pezzo uscito su La Verità il 12 aprile 2023

La maternità non è un affare tra donne che si gestisce tra donne. È un dono. Un privilegio. Una ricchezza da cui germoglia e cresce la vita. Lo hanno capito alcuni imprenditori veneti, arrivando a concepire, appunto, che la maternità è anche affare loro. Se le donne non sono tranquille vivranno la maternità come un limite, un impedimento, come un qualcosa che ti intralcia il cammino e si mette di traverso, arrivando a vivere il miracolo della vita come un qualcosa a cui soccombere. “Benvenuta Cicogna” è il nome di un gruppo nato in Veneto e che raggruppa undici imprese. I titolari per far sì che le neo mamme vivano la maternità più serenamente possibile, hanno attivato alcune misure. È un club di imprenditori che oltre a credere nel fatturato, crede nel valore delle persone, uomini o donne che siano, consapevoli che laddove nasca una vita questa generi valore. Anche economico, inutile nasconderlo.

È di questi giorni infatti la preoccupazione delle imprese a fronte del calo delle nascite. Negli ultimi 25 anni gli occupati con meno di 35 anni sono diminuiti di 3,6 milioni. Del resto basta andare a parlare con qualsiasi imprenditore o albergatore che cerca lavoratori: “Ci sono soltanto stranieri, e questo è dovuto sì al fatto che gli italiani certi lavori non li vogliano più fare ma anche al calo demografico”. Mancano persone insomma. L’Istat questi giorni ha diramato alcuni dati. E l’inverno demografico ha fatto venire il gelo. La natalità in Italia non è mai stata così bassa. Le nascite nel 2022 sono precipitate sotto la soglia delle 400.000 (393.000). E la popolazione è calata a 58 milioni e 851.000.

Roberto Brazzale, titolare del burrificio di famiglia attivo ininterrottamente da 8 generazioni, dal 1784, già nel 2019, aveva dato vita al gruppo “Benvenuta Cicogna”. Gli imprenditori pagano di tasca propria bonus e congedi ai dipendenti che diventano mamme e papà. Brazzale ha fatto di testa propria scavalcando tutti, sindacati e istituzioni. “Il fine pratico – spiega Brazzale alla Verità- è di sensibilizzare gli imprenditori. Lo Stato è fallimentare, non capisce che alle neo mamme bisogna dar più tempo a disposizione e far sentire che il loro posto di lavoro è sicuro. In Italia i genitori incontrano mille difficoltà anche fuori dall’azienda. È un paese per vecchi, sembra quasi che la maternità sia una colpa, una vergogna, un limite. La mamma deve vivere la maternità in modo sereno e più considerata socialmente. Le donne hanno il terrore di essere ulteriormente penalizzate e il rischio c’è. Sono incazzato, siamo così presuntuosi che non copiamo le scelte dei paesi virtuosi e affidiamo spesso questi temi a sociologi senescenti senza figli incapaci di cogliere il senso del problema. Siamo destinati a estinguerci”. Brazzale per favorire i neo genitori ha potenziato la flessibilità dell’orario di lavoro, ha previsto un bonus, per ogni nato o adottato, di 1800 euro e ha allungato il congedo parentale fino a un anno oltre il termine previsto dalla legge, sobbarcandosi all’incirca 10.000 euro a beneficiario. “Nei Paesi dove le cose funzionano – incalza – i costi vengono sostenuti dal sistema previdenziale. In Repubblica Ceca il congedo parentale è fino a quattro anni, garantito il posto di lavoro con indennizzo di oltre 12 mila euro. Del Pnrr solo il 3% va agli asili, ma per costruire i muri, e poi chi li gestirà? È un aiuto all’edilizia, non ai genitori lavoratori. Qui si vede il fallimento totale dello Stato Italiano”. E Brazzale non è il solo.

Vinicio Bulla, il patron della Rivit di Calatrano, nel vicentino, per ogni bimbo nato o adottato si fa carico del rimborso delle spese d’iscrizione, delle rette, dei servizi mensa e scolastici. Più un bonus di 2.000 euro lordi per ogni dipendente a cui nasce un secondo figlio e di 3.000 in caso di terzo. Anche i fratelli Cestaro, titolari del Gruppo Unicomm, a Dueville (Vicenza), hanno aggiunto un mese in più ai cinque mesi di congedo obbligatorio. Qui, su 7.500 dipendenti, 5.000 sono donne. E sempre a Dueville, Pierpaolo Pozzato, il titolare della Scae, ha previsto il baby bonus di 1.500 euro. Paolo Vellar, della Vellar Claudio Srl di Asiago, ha introdotto una mensilità per tutti i lavoratori in procinto di diventare genitori. Poi c’è anche chi prevede buoni spesa, chi si fa carico dei pannolini. Per chi ancora non l’avesse capito, fare un figlio è un costo, se entrambi i genitori partono la mattina e rientrano la sera e con lo stipendio di uno ci paghi l’affitto, che ultimamente è pure alto, provvedere a tutte le esigenze dell’infante diventa difficile. Anche il presidente della Fondazione San Nicolò, Federico Pendin, elargisce 1000 euro a chi aspetta un bambino. E poi ci sono altri nomi: Andrea e Filippo Busin della Br Pneumatici (Vicenza), Camilla Cielo della Cielo e Terra Spa (Vicenza), Lionello Codognottodella General Membrane Spa (Venezia), Giuseppe Matticari di Joe And Co (Vicenza), Pierpaolo Pozzato della Scanni Scae Srl (Vicenza), Angelo Rossi della Clal Srl (Mantova).

“La famiglia è distrutta, da quando le donne lavorano”, diceva Ennio Flaiano nel Diario degli errori. 

Serenella Bettin

Quella calzamaglia messa al volo sul sedile posteriore dell’auto

La calzamaglia messa in fretta al volo sul sedile posteriore dell’auto perché fuori fa freddo. La tua borsa che diventa il tuo armadio. Il tettuccio della macchina che diventa un posto dove appoggiare il computer perché altrimenti “qui non prende”. Il marciapiede che diventa una sedia dove ci puoi lavorare, scrivere e mangiare, e ti pare sia la più bella. Quando lavori fuori, trovare un posto caldo, a volte è tutto. Oggi a Caldes era lutto cittadino per la morte del ragazzo azzannato dall’orso. Grazie a questo signore che ci ha aperto la sua locanda e ci ha dato da mangiare. Taverna del Sole Cassana TN…

sbetti

Simon Barletti Mattia Karro

Ci crediamo padroni di tutto e invece siamo padroni di niente

Era da un po’ che non seguivo i funerali. Quando facevo la cronaca locale i funerali erano all’ordine delle settimane.
Quanti morti. Giovani, meno giovani, morti improvvise, morti sulle strade. Malori. Incidenti. Omicidi. Arrivavi lì sul posto della cerimonia e ti sentivi quasi in difetto. La gente ti guardava strano. “Che diritto ho io a stare qui”, pensavo.
Che diritto ho io a cercare di impossessarmi e catturare il dolore degli altri. In una frase. In una lacrima. In un volto consumato dal pianto. In un fermo immagine. In un video. Era come quando arrivavi sul luogo di un incidente e vedevi quei teli bianchi a terra. Quanti strazi. Padri. Madri.
Ancora ricordo una bara di un ragazzo, sopra al mazzo di fiori c’era scritto: “Mamma e Papà”. In quei momenti trasalisci.
Così ieri mi sono trovata a seguire il funerale del ragazzo morto a Caldes, in Trentino.
Il ragazzo aggredito dall’orso. E ho riprovato le stesse sensazioni. Che diritto ho. Che diritto ho di stare qui e pretendere di condividere il dolore con loro. Quando attraversi la folla col microfono te li senti addosso quegli sguardi. Gli sguardi di chi quasi ti compatisce perché fai uno “sporco lavoro”. E gli sguardi di chi se potesse ti tirerebbe un pugno. Andrea Papi stava correndo in un giorno di sole. Era uscito per andare a correre. Un saluto a casa. Mamma. Papà. Sorella. Fidanzata. “Ciao ci vediamo dopo”. E quel dopo non è mai arrivato. Il dopo è quello che conosciamo. Il dopo è tutto quello che viene dopo che il destino maledetto ha scritto. Il dopo è un vortice di singhiozzi, silenzi maledetti e sguardi al cielo. Un paesino sconosciuto al resto del mondo, lì, sopra la Val di Non, che nel giro di un baleno diventa il centro dell’universo. Accade così. Andrea si fidava del suo territorio. Si fidava di se stesso. Amava il suo Trentino, la sua montagna, la viveva come qualsiasi altro ragazzo nato lì.
Li ho visti oggi gli occhi di quei ragazzi. Li ho visti. Li ho visti parlare con gli occhi. Li ho sentiti. Li ho sentiti che dicevano: “Ciao mister ci vediamo domani, stessa ora l’allenamento”.
In questi giorni ho sentito tanto parlare dell’orso. Abbattimento si. Abbattimento no. E varie volte mi sono chiesta se sia giusto. Se sia giusto abbattere un orso colpevole di aver fatto l’orso. Se sia giusto lasciare una famiglia senza risposte. Senza giustizia. Quali risposte poi. Qualunque domanda conduce sempre alla stessa risposta: “Andrea non c’è più”.
Ho sentito quel padre chiedere giustizia. Dire che si poteva evitare.
E non lo so se sia giusto abbattere uno per salvarne cento. Probabilmente al posto della famiglia io vorrei l’orso morto. Ma basta? Basterebbe a rendere giustizia? L’orso non capisce il perché viene abbattuto. Siamo noi che li abbiamo importati che avremmo dovuto capire fino a dove era possibile. Siamo noi che li abbiamo lasciati andare, che avremmo dovuto fare qualcosa.
C’è una linea sottile sottile tra chi si dichiara pro abbattimento. E chi no. E c’è anche una famiglia che vede la sua vita cambiare per sempre. E che spero tramuti la rabbia in una nuova forza.
Anche perché io in tutto questo ho capito solo una cosa: alla fine ci crediamo padroni.
E invece non siamo padroni di niente.

sbetti