Martina avrebbe dovuto scrivere la sua storia. Martina avrebbe dovuto imprimere sulla carta i suoi racconti. A lei, il padre aveva affidato i suoi pensieri. Le sue tribolazioni. Le sue gioie. Cos’è un padre senza figli. Senza memoria.
Perché Martina è morta.
Martina Rossi è morta per mano della cultura maschilista che ancora si incunea nei nostri territori. È così talmente radicata che solo un cambio radicale di mentalità può scardinare.
Ed è la cultura che vede la donna oggetto da commentare, da denigrare, da non rispettare, al punto che le sue volontà e i suoi desideri sono interpretati come capricci. Come i No per esempio. Serviranno anni di lotte per far capire che un No deve rimanere No.
Andrebbe cambiata la testa ad alcuni uomini che si sentono padroni e non sono nemmeno padroni di loro stessi.
È agosto 2011 e Martina è in vacanza con le amiche a Palma di Maiorca in Spagna. Una notte, nella stanza d’albergo dove alloggiava, per sfuggire a uno stupro scappa dalla terrazza e precipita di sotto. Il 3 agosto 2011 Martina muore. Per i fatti vengono condannati Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, oggi più che trentenni, residenti a Castiglion Fibocchi (Arezzo). La difesa ha sempre sostenuto che Martina si fosse suicidata. Dopo una prima condanna a sei anni, assolti in appello, la cassazione il 7 ottobre 2021, dieci anni dopo, li ha condannati a tre anni per tentata violenza sessuale. L’altra fattispecie, morte in conseguenza di altro reato, si è prescritta.
E da ottobre scorso i due sono già in semilibertà.
Noi di Grazia ci siamo messi in contatto con il padre. Bruno rossi, 83 anni. Ancora combattivo, il cuore in mille frantumi, gli occhi lucidi e la voce che si fa roca, tanto è ancora il dolore.
Bruno, hanno mai pagato veramente queste persone?
“No. Mai. Abbiamo chiesto il risarcimento dei danni, ma non vogliamo un centesimo perché nulla potrà ridarci indietro Martina. Vogliamo solo che i responsabili di questa tragedia paghino davvero e daree le risorse a chi ne ha bisogno grazie alla associazione che aiuta le donne che subiscono violenza. Vogliamo riuscire ad avere un po’ di giustizia”.
Esiste questa giustizia?
“Non credo si faccia molto per tutelare le donne. C’è una buona attenzione nel mondo femminile e del volontariato, ma ci sono donne che subiscono torti tremendi e hanno un grande bisogno di aiuto”.
Com’è cambiata la società secondo lei? Questi stupri e femminicidi sono sempre più frequenti. “La famiglia è condizionata negli aspetti economici. Io sono stato sindacalista al porto di Genova, lo so bene. Ora sempre meno gente riesce a lavorare. Uno lavora per due, di conseguenza la famiglia è poco strutturata, sempre più allargata, ma ha reciso le radici. Si trasferiscono pochi valori, non si parla, non ci si conosce, si dà poco affetto alle persone. Proprio ieri sentivo questo padre che ha dimenticato la bimba in auto. Pensi quale strazio sta vivendo questa famiglia. La società ha bisogno di medicine, di momenti di affetto, di dolcezza, di obiettivi da raggiungere”.
Secondo lei la donna a volte non denuncia perché non ha la dipendenza economica?
“Certo, noi lavoravamo tutti e due. Io quando mi sono sposato, telefonavo a Franca e le chiedevo come si butta la pasta. Ho capito che la vita era cambiata e ho imparato che prima si butta l’acqua e poi la pasta. Martina era arrivata tardi ma cresciuta in fretta, con tanto affetto”.
Quanti anni aveva lei quando è nata?
“Cinquanta, adesso ne ho 83. Ora avrebbe 33 anni. Si rende conto… 33. È morta a 20, cosa sono vent’anni? Niente. Avrei voluto essere nonno. A Martina piacevano i bambini”.
Sta seguendo il caso di Giulia Tramontano?
“Sì. Lui, Impagnatiello è la incarnazione delle persone che non sopporto. Uno così è semplicemente cattivo. Passi sulla vita della persona con cui hai fatto un figlio. Con il figlio in pancia. Ma come fai? Ma che padre aveva questo bambino? Una pena adeguata non c’è. Usando il buon senso, non servirebbe nemmeno il processo. Gli devi dare l’ergastolo. È automatico. Poi in carcere è giusto che lavorino. Ma che facciano lavori come quelli che fanno i portuali di notte al freddo, come facevo io. Quelli che hanno fatto del male a Martina ora lavorano dal padre e vanno a dormire in prigione. Come è possibile?”.
Già, come è possibile?
“Perché se hanno un avvocato bravo, non vanno in carcere. Non è più un processo sulla morale ma è un fatto tecnico tra avvocati. A volte mi viene voglia di partire per andare a vedere se dopo il lavoro tornano a dormire in carcere davvero. La morte di Martina si è già prescritta, come si fa? Ma la morte non si prescrive mai. Per chi perde un figlio, la vita finisce. Martina poi… era così bella”.
Com’era? “Una meraviglia. Nei suoi comportamenti, nella sua riservatezza, nel suo modo di scrivere, di disegnare. Era in gamba. E poi è finito tutto. Durante il processo hanno cercato i momenti più stupidi, tipo quante volte ha bevuto Martina”.
Si fa il processo alla vittima e non agli aguzzini?
“Sì, esatto”.
Come è cambiata la sua vita? “Vado nelle scuole a cercare di portare un messaggio per rompere questa catena infinita di omicidi. Si spezza solo con la cultura. Ma si è interrotto tutto, tutto non ha valore. Ti tolgono un figlio e ti manca la terra sotto i piedi. Mi piaceva tanto giocare a scacchi, ma da quando è morta lei non li ho più toccati”.
Serenella Bettin