#Nassiria: quattordici anni dopo 


#NASSIRYA: QUATTORDICI ANNI DOPO 

Quando sono tornata dal #Kosovo e raccontavo della mia esperienza, dei miei incontri, di come si svolge la vita all’interno della base, alcuni mi dissero: “I militari lo fanno solo per i soldi, alla fine è un lavoro come un altro”. Ricordo la mia rabbia nell’udire queste parole. Era così tanta che esplosi. Le parole mi uscivano dalla bocca ininterrottamente. La gente parla rozzamente dal divano di casa, guardando le immagini scorrere sul televisore e l’unica fatica che fa è pigiare un bottone sul telecomando per cambiare canale. 

Come ricordo ancora la mia rabbia quando il 18 novembre del 2003 durante i solenni funerali ai #Caduti di Nassirya, qualcuno dall’alto della sua intelligenza disse: “Sono normali cittadini, morti facendo il loro lavoro. Non vedo perché così tanto cine”. Qualche altro sempre dall’alto della sua intelligenza disse anche: “Alla fine è un lavoro come un altro”. Eh no caro. Non è un lavoro come un altro. Non lo è. Non lo è se finché stai lavorando da un momento all’altro potrebbe esploderti una bomba sotto il sedere. Non lo è se apprezzi ogni minuto, ogni secondo della tua vita perché sai che può essere l’ultimo. Perché Nassirya, Nassyrya non si dimentica. 

Città dell’Iraq a maggioranza sciita e capoluogo della provincia di Dhi – Qar. Qui il 12 novembre 2003. alle 8.40, ora italiana un’autocisterna blu imbottita di esplosivo, devastò la base italiana Maestrale, una delle due sedi dell’Operazione Antica Babilonia: la missione di pace italiana in #Iraq, avviata con tremila uomini, di cui quattrocento carabinieri. Il bilancio fu devastante. L’autocisterna esplose all’interno della base, causando 28 morti, di cui 19 italiani e fra questi 12 carabinieri della #Msu (Multinational Specialized Unit). Morti anche cinque militari dell’esercito che facevano da scorta alla troupe del regista Stefano Rolla che era a Nassiriya per girare uno sceneggiato sulla ricostruzione. A morire anche due civili di una troupe che stavano lavorando a un film. Uccisi anche nove iracheni e feriti una ventina di italiani, tra militari e una donna carabiniere. L’esplosione fece crollare gran parte dell’edificio principale, mentre fu gravemente danneggiata una seconda palazzina dove aveva sede il comando. I vetri delle finestre dell’edificio andarono in frantumi. Molti mezzi militari presero fuoco. In fiamme anche il deposito munizioni. 

Ecco cosa vuol dire fare questo lavoro. Ecco cosa vuol dire fare, secondo voi, un lavoro come un altro. Vuol dire vedere scorrere quelle immagini di donne e familiari che piangono i loro cari, morti per mano delle mani degli uomini che si contendono i fili del mondo, e vuol dire piangere diciannove uomini italiani caduti in una terra lontana per aiutare una popolazione lacerata e martoriata dalla guerra. 

#nottesbetti

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