Io e mia nipote facciamo colazione

Dal diario di Facebook 22 giugno 2019

Questa mattina, prima di partire per il Salone Nautico, sono passata un attimo dalle mie parti, sapete com’è ogni tanto torno in base e io e mia nipote ci siamo trovate a fare colazione al bar. Sì, siamo come quelle ragazze grandi in carriera che non hanno tempo di vedersi e parlare e si incontrano al bar. E allora io ho bevuto il caffè americano e lei mangiava una pappetta che le aveva preparato la mamma. Poi però siccome era attratta da tante cose nuove allora la mamma le ha fatto assaggiare la marmellata che ci sta dentro alle brioche. Quelle buone. Quelle che di prima mattina ti riempiono le narici del profumo del pane appena sfornato. E allora le piaceva la marmellata. Le piaceva un sacco. Se la gustava tutta mentre la mamma la imboccava. Poi con la linguetta acciuffava quello che era rimasto intorno alla boccuccia. Le piacciono le cose nuove. Quelle colorate. Quelle belle. Quelle che trasmettono vita. L’altro giorno per dire mi ha visto con il vestito blu e mi guardava dalla testa ai piedi. Dai piedi in su. Rimane estasiata quando vede nuovi colori. Quando prova nuovi sapori. Ieri mia madre aveva un fermaglio rosa in testa e lei a quello deve arrivare. Lo guarda. Lo mira. Poi con un scatto come di un felino mentre sta in braccio alla nonna tenta allunga le manine e tenta di afferrarlo. Poi se vede che non ci riesce, ti guarda e si mette a ridere. E ride. Ride. Ride. Dio come ride. Ma mica si scoraggia sapete. No. Dritta come una piccola guerriera ti studia. Ti scruta e poi ci riprova. Ma è bella mia nipote. E quando vede che tutto intorno l’ambiente è diverso diventa ancora più bella. E così stamattina attorno a lei ci stava il suo mondo, e poi, poi si guardava attorno. Le sedie. Le pareti colorate. I lecca – lecca sul bancone. Il colore della marmellata. Insomma tutti tutti tutti i colori del mondo. E poi. Poi finché guardavo mia nipote che secondo dopo secondo esplora il mondo, il telefono contava i minuti, le lancette passavano e io dovevo andare. Sempre così la mia vita. Non faccio in tempo ad arrivare, e me ne devo andare. Ma riesco a catturare tutto perché non voglio perdermi niente. E allora ho salutato mia nipote. Le ho dato un bacio. Poi come le ragazze grandi ci siamo fatte un selfie e ci siamo messe a ridere. E allora sono partita per il Salone Nautico, il mondo del mare, il mondo delle barche, quel mondo che solo chi è nato al mare sa cosa vuol dire, e così, così le ho detto che un giorno le farò conoscere il mare. E le farò vedere quali meraviglie ci regala la vita.
E così in treno, in un attimo rubato a questo lavoro così frenetico e pieno, ve lo volevo raccontare.
Con l’amore di una zia.

ziasbetti

#sbetti ❤️

Castelnuovo del Garda, giugno 2020

Di ritorno da Gardaland, mi sono fermata a scattare questa meraviglia

#sbetti

“Tranquillo, a meno che non ammazzi la prof, quest’anno non vieni bocciato”

“A meno che non ammazzi la professoressa, tranquillo, quest’anno non vieni bocciato”.
L’altro giorno stavo in piazza. Stavo camminando, quando a un certo punto sento il vociare di alcuni ragazzini dietro di me. Sono in due. Sento il vento spostarsi per il loro avanzare. Erano in bici e sfrecciavano via veloci. I copertoni delle ruote si confondevano con l’asfalto e i pedali giravano a più non posso. Lo spostamento dell’aria, misto a quelle catene e ingranaggi, era percepibile, lo si sentiva tutto. Ragazzini a picco sul mare con un’estate davanti.
Ma il discorso nel mentre passavano l’ho sentito tutto. Uno dei due stava preoccupato perché a scuola ha alcune materie sotto. Si dice sotto quando in genere vai sotto il sei.
L’altro ragazzino gli diceva: “ma vai tranquillo, a meno che non ammazzi la professoressa, quest’anno sei salvo, lo dicono tutti”.
Interessante. Questa è la scuola ai tempi del covid. Questa è la scuola ai tempi di quelli che voi mentecatti politici da quattro soldi dite essere la fucina del futuro. Il nostro divenire. Investire sui giovani. L’innovazione. Il progresso. La didattica a distanza. Questa è la scuola che i giovani li vuole tutti una banda di sbandati e squilibrati che cannano le lezioni online, che fingono di non avere connessione, che sotto hanno ancora il pigiama e sopra una maglia messa al contrario in fretta e furia perché si sono svegliati cinque minuti prima che la lezioni iniziasse. Che quella campanella che suona a vuoto da mesi suonasse.
Questa è la scuola per la quale avete sempre fatto riforme, nuove norme, direttive, finanziamenti, progetti, mai condivisi, sempre illustrati e mai portati a termine.
Questa è la scuola che sforna i nostri mastri, che vuole insegnare la matematica, l’arte, la filosofia, la geometria, la storia, la geografia e non è capace di infondere sete, fame, voglia di sapere, di conoscere, di spaziare.
E la colpa non è sempre degli insegnanti. Anzi.
La colpa è di chi ha i genitori mentecatti che dicono ai figli che puoi anche fare a meno di studiare, tanto quest’anno ma chi se ne frega, ti danno il Nobel. La colpa è di questi sapientoni, come i coglioni che hanno imbrattato la statua di Indro Montanelli e di chi fa le riforme senza lavorare nel mondo della scuola. Di chi prende le decisioni ed è convinto che i ragazzi siano imbuti. Di chi non vuole rogne, problemi, incombenze e crede che l’unico modo per ovviare alla mancanza di didattica sia la videochiamata, la conferenza online, le lezioni in piattaforma, il distanziamento in plexigas, non capendo, che ci sono delle cose che nessuna tecnologia sostituirà mai. Il contatto. Il tatto. Lo sguardo. L’esperienza sensitiva. Il confronto. La fisicità. Il coraggio. La paura. Quella stizza che ti piglia il culo quando non hai studiato e la prof scorre il registro con il dito.
Anche quella ci vuole per imparare ad andare a scuola. Per farsela sotto e non cadere mai. Non quella che “stai tranquillo, a meno che non ammazzi la prof, quest’anno non vieni bocciato. Lo dicono tutti”.
Sì. Soprattutto gli asini.
#sbetti

Scrutinio finale

Lo scrutinio finale finisce così. Affondandolo in una poltrona. L’altro ieri ho assistito allo scrutinio finale di mia madre. Gli scrutini nella scuola iniziavano alle due. Un’ora ciascuno. Un’ora per classe. Impossibile sgarrare. Ma già chi arrivava alle 15 non è riuscito a cominciare in orario lo scrutinio. Colpa dell’insegnante che doveva arrivare prima ma che siccome stava impegnata con l’altro scrutinio non poteva inserirsi nello scrutinio successivo. Ci sono docenti che hanno più classi. Insomma lo scrutinio per mia madre iniziava alle 15. Arrivo da mia madre alle 14.30 e la trovo che sta spazzando il portico. Bene ho pensato, si rilassa. Entro dentro casa e vedo già la postazione pronta. Il tablet in piedi sulla custodia a leggio, l’iPhone carico a mille ma già sotto carica, sia mai si scarichi. La prolunga per ricaricarlo pronta all’uso. Il carica portatile. La penna. I fogli. Il registro. L’agenda. I giudizi stampati. La sedia già pronta per sedersi. Alle 14.55 mia madre è lì che attende di cliccare sulla parola “partecipa”. Lo scrutinio ai tempi del Covid avviene all’interno di una piattaforma, dove ci stanno i docenti tutti quanti connessi, si condividono i voti, i risultati, si condividono i giudizi finali, ma non ci si può vedere, non ci si può guardare. Non ci si può nemmeno parlare sopra o confrontare o scartabellare voti per aria perché nel momento in cui parla uno, non può parlare l’altro, il microfono diventa muto e se non lo vuoi più muto devi riattivarlo e nel momento stai guardando lo schermo condiviso dalla collega ti scompare l’immagine dell’insegnante con cui stavi parlando e mentre tenti di farla ricomparire clicchi per sbaglio sul tasto rosso e devi ricominciare tutto. Alle 15 e 10 la piattaforma su cui stanno lavorando tutti i docenti si blocca, ha un down, come usano chiamarlo quelli che parlano inglese perché non sanno l’italiano e quindi rimane solo una cosa da fare: aspettare. Le insegnanti iniziano ad andare in tilt, gli insegnanti pure. I messaggi su whatsapp dopo saranno 250. Soprattutto perché chi doveva firmare a fine scrutinio, per la redazione del verbale, ma non riusciva a farlo. Il problema è generale hanno iniziato a dire, rimandiamo a domani. Ma passa mezz’ora e gli scrutini si fanno. E si fanno oggi. Mia madre che doveva iniziare lo scrutinio alle 15, ha iniziato alle 16.10. Finendo alle 17.09. In ritardo di oltre un’ora. Per firmare però non è bastato il tablet. La piattaforma di cui si è avvalsa la scuola per compilare lo scrutinio, si vede che non l’hanno adattata a tutti i dispositivi, la parte relativa alla firma non te la faceva vedere. Lo schermo finiva prima. Provavi a farlo scorrere verso sinistra e rimbalzava verso destra. Provavi a farlo scorrere verso destra e rimbalzava verso sinistra. Come a essere beffardo. Come a prenderti per il culo. Come a farti vedere che lui non è stupido, che alla fine se vuole, ti fotte anche solo per mettere un voto. Dopo un po’ mia madre prende il computer, lo apre, e mantenendo la calma, accede al sistema che era stato aperto sul tablet. Nome utente. Password. Tutto scandito con una calma nervosa. Aperto il pc, qui lo schermo si vede tutto. Sono quasi le cinque e mezza. Mia madre firma. Le altre colleghe anche. Mia madre avrebbe dovuto finire un’ora e mezza prima. Chi aveva dopo un altro scrutinio, slittato uno di un’ora e poi di due, e poi di due e mezza, e poi di tre, ha finito alle nove di sera, dalle 18 che doveva finire. I due scrutini di ieri invece sono durati dalle 14 alle 18.30. Due. Questa è la scuola di uno Stato che tra i diritti fondamentali annovera il lavoro e l’istruzione, dimenticandosene altamente. Uno dei capitoli, quello della scuola, che durante l’emergenza di questo coronavirus, è uno dei più brutti che sia mai stato scritto. Del perché i docenti, senza alunni, non siano potuti tornare in classe anche solo per parlare, per discutere dei voti, per fare gli scrutini, a noi comuni mortali non è dato saperlo. Il Governo non ha mai risposto.

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#Coronavirus

#Storie2020

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Il ground zero del Veneto

Dal Giornale, 8 giugno 2020

💪🎉💪 È il “ground zero” del #Veneto. Il Veneto ce la fa. Una delle regioni più colpite. Qui il 21 febbraio scorso scoppiò tutto. Qui ci fu la prima vittima italiana di Coronavirus. Adriano Trevisan, il pensionato di 77 anni di Vo’Euganeo. Ancora ricordiamo quel giorno. Quando partì tutto, le misure drastiche, il panico della gente, i medici chiusi dentro l’ospedale di Schiavonia, Vo’Euganeo blindata, l’arrivo dei militari, l’esercito, sembrava la guerra. Il #Giornale andò subito a documentare. Mesi difficili, tosti per tutti, neri, cupi, angosciosi. Ma ieri. Ieri i numeri del Covid erano a quota zero. Zero morti. Zero positivi. Uno: quello del giorno prima. Che ci avesse visto giusto Luca Zaia quando disse che se i dati epidemiologici e i numeri si fossero mantenuti come quelli di una settimana fa allora eravamo sulla buona strada, nessuno può negarlo. Una regione tra le prime a riaprire sostanzialmente tutto. A fine aprile qui il 40% delle aziende lavorava: misure di sicurezza, visiere, mascherina, distanziamento, controllo temperatura. Le strade cominciarono a riempirsi e il rumore era diventato un piacere. Lo è ancora. Solo che ora è più grosso. Si sente. Fa baccano. La gente corre. Due le parole d’ordine: ricostruire e ripartire. Il 26 aprile con un’ordinanza regionale, il Veneto riscoprì la libertà. Con l’apertura di bar e gelaterie, ma solo per asporto, le piazze si riempirono di famiglie in coda per il gelato. Il giorno dopo, un altro strappo, Zaia autorizzò lo spostamento all’interno della regione, per chi avesse seconde case o imbarcazioni fuori del comune di residenza. Autorizzò anche l’attività motoria all’aria aperta, da soli, a piedi o in bicicletta con l’obbligo di indossare guanti e mascherine. Di fatto qui è da fine aprile che si vive. Le città e i paesi iniziarono a riempirsi. Solo Venezia rimase deserta. Il 18 maggio si autorizzarono anche gli spostamenti tra le provincie confinanti tra le regioni, e quindi Friuli Venezia Giulia, Emilia, Trentino. Non sono mancate le polemiche. Gli attacchi. I cittadini, come li definisce il «governo», irresponsabili. Quando riaprirono i locali la movida divenne un incubo. Molti salutarono il lockdown annacquando mezzo bicchiere di alcol, mezzo di prosecco, Aperol e Campari, in coda verso il mare o in piedi nelle piazze. E poi via l’obbligo della mascherina dal primo giugno, ma solo all’aperto. Tanto che il governatore ha chiesto di poter usufruire dei mezzi pubblici nella loro capienza totale, ossia occupando tutti i posti, ma indossando la maschera. Insomma un Veneto che vede la luce e che ieri per la prima volta non ha visto crescere i numeri del contagio e nemmeno dei morti. I positivi rimangono fermi a 19.183, 1.085 quelli attuali. I decessi tra morti ospedalieri e non sono 1954. Nelle terapie intensive ci sono 16 persone, di cui soltanto uno è Covid. «I veneti sono stati bravissimi – ha detto Zaia – il virus lo abbiamo sconfitto anche grazie ai loro comportamenti». La Protezione civile nazionale in serata ha dichiarato che in Veneto ci sarebbero stati 1 positivo e 5 deceduti. Ma dal report aggiornato alle 8 del mattino di ieri, i positivi erano 0 e i morti anche. L’assessore regionale Gianpaolo Bottacin, contattato al telefono, ha così commentato: «È un dato statistico che non dice nulla, la Protezione civile nazionale non so cosa dica e non mi interessa». Con questo clima, Zaia si prepara per aprire le fiere, e per far andare i cittadini a votare. Intanto il 15 giugno il primo concerto d’Italia. Red Canzian in piazza dei Signori a Treviso. La mascherina obbligatoria solo al chiuso. E per i plexiglas a scuola? Non se ne parla.


SUL GIORNALE
LEGGI IL PEZZO 📙👉 https://www.ilgiornale.it/news/politica/niente-contagi-n-vittime-ground-zero-veneto-1868734.html

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La campanella è suonata ma i banchi sono vuoti

La campanella è suonata. Ma i banchi sono vuoti. L’altra sera mia madre mi ha chiamato. Mi fa: “una mia collega mi ha detto che su YouTube c’è un video con il suono della campanella, riesci per favore a spiegarmi come posso trovarlo? Perché volevo metterlo durante la video chiamata dell’ultima lezione”. Mia madre ha una quinta elementare. E’ la prima volta in 44 anni di insegnamento che non sente il suono della campanella suonare. Quella dell’ultima lezione. Quella che ti spalanca le porte e ti getta a picco sul mare, l’estate, le vacanze, i libri nuovi da leggere, quelli che sanno di carta profumata che ti accompagneranno in spiaggia. Le ho spiegato allora che doveva prendere il tablet, aprire YouTube, cliccare sul pallino che somiglia a una lente di ingrandimento, e posizionarsi sulla parola “cerca”. Cerca. Scrivere: “suono campanella scuola” e attendere il caricamento dei video. Abbiamo ripetuto l’operazione quattro volte. Spegneva YouTube. Lo riapriva e ripartiva. “Bene così?”, mi chiedeva. Sì certo. Sei bravissima. Il giorno dopo mi ha mandato un messaggio su whatsapp e mi ha scritto “suono della campanella andato, tutto ok”, me l’ha scritto con una emoticon che trionfa vittoria. Quanto è stato duro il suono di quella campanella. Quanto responsabilità in queste insegnanti che quest’anno il fischio di fine l’hanno suonato loro. Mentre mi scriveva, stavo attraversando un parco e su una panchina ho visto un gruppetto di ragazzi. Avranno avuto sì e no quattordici, quindici anni. Consumavano una bottiglia di birra e fumavano una sigaretta. Ecco cos’ha prodotto per alcuni, tenerli a casa, ho pensato. Il suono della campanella loro l’hanno vissuto da qui. All’ombra di un salice, con una birra in mano. I ragazzi di mia madre alcuni non se ne sono nemmeno accorti che sia finita la scuola. Hanno passato mesi a svegliarsi al mattino e vestirsi per andare in salotto, che non fa molta differenza. Il giorno dopo sono passata dai miei per la colazione. Mia madre era fuori sotto al portico che compilava i registri. Metteva i giudizi. Era lì dalle cinque e mezza del mattino. Ha alzato lo sguardo e mi ha detto: “per fortuna ora ho finito”. Mia madre ha deciso di andare in pensione.

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