Habemus Papam

“Habemus Papam”

Ci voleva la maestria, la bravura e l’eleganza di Nanni Moretti per fabbricare un film così. Non volgare, non offensivo, non ridicolo. Ripercorre perfettamente quel senso di inadeguatezza che può invadere l’essere umano e ne fa la sua forza. Siamo a Roma. Città del Vaticano. Conclave. Il Papa è appena morto e si sta per eleggere un altro pontefice. Dopo varie fumate nere, la fumata diventa bianca e la scelta ricade inaspettatamente su Melville, un cardinale che accetta l’incarico, seppur titubantemente. Tutti i cardinali sono pronti per il discorso davanti alla folla, il popolo dei fedeli è riunito, ma all’udire le parole “Habemus Papam”, il nuovo eletto ha una crisi e non se la sente di comparire davanti ai fedeli. Per i cardinali è una batosta, una sconfitta, uno smacco. Totale. Mai nella Chiesa era accaduta una cosa del genere. Il Conclave si ritira negli appartamenti e i fedeli rimangono in sospeso, con il naso all’insù, impazienti di attendere che dietro quella tenda rossa, mossa leggermente dal vento, compaia qualcuno a dir loro qualcosa. Ma il nuovo scelto non ce la fa, scappa e fugge dal Vaticano. L’addetto stampa allora ingaggia una guardia svizzera per camuffare la presenza di Sua Santità negli appartamenti. Deve solo scuotere un po’ le tende e passare ogni tanto la mano, così, come a far vedere che il Papa c’è. E così vedremo una guardia che si ingolfa mangiando da mane a sera; dei cardinali che per passare il tempo, umani come tutti gli esseri umani, giocano a carte, a scopa, e a sette e mezzo, vanno sulla ciclette, costruiscono puzzle e prendono sonniferi. Cardinali assuefatti dagli incubi a dimostrazione forse che la fede non è tutto. E cardinali, come quelli australiani, desiderosi, bramosi di vedere il mondo. Fino a che non interviene lui. Nanni. Nella fattispecie lo psicanalista più bravo di tutti, anzi “il più bravo di tutti” chiamato a risolvere la crisi del neo Papa. Per Nanni, costretto alla clausura da Conclave, comincia quindi una sorta di soggiorno negli appartamenti vaticani che affronterà con uno spirito e una ironia disarmanti, organizzando perfino un match di pallavolo tra cardinali. Alla fine, tra le attese del popolo, le sfide dei cardinali, le partite dei religiosi e le ansie di un Santo Padre in preda a una crisi di inadeguatezza, il Papa torna a casa e accetta di comparire dinanzi alla folla non per condurre però, come molti si aspettano, ma per essere condotto. Un velato colpo di scena che umanizza ancora di più la figura papale. Umanità, dolcezza e umiltà infatti che lo accompagneranno in tutta la pellicola quasi come a voler dire che noi siamo come loro e loro sono come noi e che a volte le migliori sfide si vincono, accettando di perderle.

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Pece e Oro. La storia di Frau Holle.

Questa è una fiaba ma è un esempio di come dovrebbe andare il mondo al giorno d’oggi.
C’era una volta una vecchietta che aveva due figlie. Una figlia legittima, brutta e pigra e una figliastra, bella e diligente. Quest’ultima doveva sempre filare filare e filare seduta all’orlo di un pozzo. Un giorno si punse e la conocchia del fuso volò dentro al pozzo. La figliastra allora dovette andare a recuperarlo, si infilò dentro al pozzo e ci cadde dentro completamente. Si ritrovò in un mondo magico, fatto di prati verdi e fiori. Giunta in quel posto magico incontrò un forno con dentro del pane che alla vista di lei, le disse: “Ahi ahi toglimi da questo forno. Sto bruciando”. Ed ella lo tolse. Poi incontrò un albero pieno di mele che esclamarono: “Siamo mature, scuotici scuotici”, ed ella le scosse talmente tanto che caddero tutte e sull’albero non ne restò neanche una. Cammina cammina, la figliastra bella giunse in una casa abitata da una vecchia con i denti aguzzi: Frau Holle. Alla vista della vecchietta, la giovane voleva scappare ma Madame Holle le disse: “Se resti con me sarai felice. Ti darò da mangiare e da dormire, tu devi solo ogni mattina rifarmi il letto e sventolare dalla finestra il mio piumone. Se lo sventagli bene sulla terra nevicherá”. Allora la figlioccia cominciò a fare e rifare il letto ogni giorno, sventolare sulla terra il piumone e pulire sempre tutto. Era molto diligente, i mesi passavano ma essa si sentiva sempre più triste. Un giorno disse alla vecchietta: “qui sto bene, ma sento nostalgia di casa”. La vecchietta la capì e la fece ritornare sulla terra. Prima però la cosparse d’oro e le disse: “Questa sarà la tua ricchezza”. Quando torno a casa dalla matrigna, il gallo la vide ed esclamò: “Ecco la nostra fanciulla d’oro”. La matrigna allora volle scoprire come la figliastra si era guadagnata quell’oro, si fece raccontare tutto e volle che anche l’altra figlia, quella legittima, si calasse nel pozzo. Calatasi in questo anche per essa si ripropose la stessa storia ma alla vista del pane che urlava perché stava bruciando essa rispose: “Non ti tiro fuori di lì, sarai matto, non vorrai mica che mi scotti”. Alle mele che volevano essere raccolte dall’albero rispose: “Non vi scuoto, sia mai che me ne cada una in testa”. Arrivò anch’essa da Madame Holle la quale le ripropose la stessa cosa che aveva proposto alla sorellastra: fare il letto e far nevicare. Ma la figliastra il primo giorno lo fece, il secondo un po’meno, il terzo cominciò a bighellonare e il quarto già non faceva più niente. La vecchia quindi la licenziò ma anziché riportarla sulla terra e cospargerla d’oro la cosparse di pece che le restò attaccata per tutta la vita. Oggi invece sempre più spesso abbiamo persone diligenti e volenterose cosparse di pece e nullafacenti cosparsi d’oro. Buona Epifania. Sbett
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La leggenda del Panettone o “Pan de Toni”

La leggenda del Panettone o Pan de Toni. Ecco perché. In realtà le versioni sono due, anzi tre. E’ la sera del 24 dicembre, siamo a Milano. Corte del Duca Ludovico. É il tempo del Ducato dei Visconti e degli Sforza. Tutta la corte é radunata per mangiare il dolce di Natale ma il dolce si brucia ed è la fine. Un piccolo sguattero, Toni che lavorava a quella corte allora reimpasta il dolce aggiungendovi per amalgamarlo uova, zucchero, un po’ di uvetta e cedro candito. Il risultato che ottiene è qualcosa di strabiliante. Da qui il “Pan De Toni”, tramutato poi in Panettone. Ma c’è un’ altra versione: sempre Toni. sempre la sera del 24 dicembre, Toni sta preparando il dolce di Natale ma nella fretta prendendo gli ingredienti un intero pacco di uvetta sultanina cade sull’impasto. Toni non sa che fare. Ormai è tardi per rifare il tutto. Decide molto coraggiosamente di cuocere lo stesso il dolce e servirlo così con l’impasto di uvetta. Ciò che ne risulta è un dolce squisito, ottimo, eccezionale, sorprendente. Il successo che ottiene è enorme tanto che da quel momento tutti vollero che il panettone fosse condito con uvetta, simbolo anche di fortuna, soldi e ricchezza. Ma c’è ancora un’altra versione, più simpatica. Suor Ughetta. Convento di Monache. È la sera della Vigilia, le monache hanno una povera focaccia fatta di burro uvetta e uova davanti a loro. La focaccia é bassa, quasi non si vede. Suor Ughetta, stanca di quella torta così povera e bassa, decide di incidere una croce sopra il dolce e voilà il dolce cuocendosi si gonfia, si gonfia e si rigonfia fino ad assumere la classica forma di cupola. Buon Natale.

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