La Pravda ci fa un baffo

La Pravda ci fa un baffo.
Il social media manager dei #Taleban due ore fa ha twittato che finalmente l’ultimo soldato americano alle 21 ha lasciato l’aeroporto di Kabul e quindi l’#Afghanistan diventa a tutti gli effetti un Paese libero e indipendente.
Beati loro!
Beati loro!
Loro possono twittare, ammazzare la gente, maltrattare le donne, uccidere i musicisti, vietare la musica, noi invece non possiamo condividere una foto di uno dei più grandi fotografi di nudo femminile.
Zabihullah muamar twitta ogni tre quattro ore e noi non possiamo vedere le foto di donne nude. Nasciamo nudi. Non si capisce quale sia il problema. Siamo carne. Carne. Due braccia. Due gambe. Due mani. Non c’è niente di cui sbavare per chi ha compiuto un salto culturale.
Insomma cosa accade.
Accade che in Italia alcune pagine della catena delle librerie Ubik siano state bloccate perché qualcuno di qualche libreria aveva semplicemente programmato (non postato) un post con una foto di uno scaffale di libri dove si vedeva un libro con una copertina di nudo.
I reggiseni invece in bella vista della Ferragni quelli li lasciamo perché stimolano le menti, aprono i cuori, stuzzicano gli appetiti.
La foto incriminata è una immagine del libro di Helmut Newton. Stiamo parlando di uno dei più famosi fotografi per gli studi sul nudo femminile.
Evidentemente il ritorno dei talebani non tarda a farsi sentire.
Ma già anni fa era successo. Quando avevano oscurato la Fontana delle Tette a Treviso o un qualche dipinto raffigurante qualche uccello galoppante. Addirittura nel 2016 avevamo coperto anche le statute per la venuta del presidente iraniano Hassan Rohani. La genuflessione. Il piegarsi. Il flettersi al politicamente corretto.
Un modo per dire che non siamo nemmeno più liberi di godere nel senso letterale del termine perché ti tolgono l’arte, la bellezza, la cultura, l’orgasmo culturale che si basa sui sensi, sui vapori, odori, colori.
Ci stanno così talmente imbruttendo che sono quasi ammesse le foto di quelle papere vestite da oche o quei barbuti che indossano tonache fino ai piedi o, peggio mi sento, le immagini di donne col volto coperto che non potranno mai più rivedere la luce.
Perché ti dicono che il tuo contenuto viola i parametri di decenza eccetera eccetera e invece una donna col burqa, quella è ammessa.
Ditemi ora chi viola la decenza.

#sbetti

Difendono il lavoro e boicottano chi lavora. Quattro coglioni

Il bidello precario che ha preso a pugni un giornalista e l’ha mandato all’’ospedale, anziché prendersela con i giornalisti dovrebbe riversare la sua frustrazione e prendersela con anni di governi fallimentari che hanno permesso il precariato anche se fai il bidello.
Perché a me questi no vax così violenti stanno cominciando a far girare i coglioni.
Che questi non fossero intelligenti lo sapevo.
Se parlo con qualche no vax mi sembra uscito dal pianeta delle scimmie. Colui che si informa dai social del Dio onnipotente.
Che fossero anche violenti lo sapevo un po’ meno.
Apro i giornali e leggo cose dell’altro mondo. Sembra di essere tornati agli anni di piombo. Gente ignorante. Zecche. Gente che non ha niente da fare.
Persone che si informano in qualche video apparso di qualche zoticone in pigiama che si improvvisa medico. L’altro giorno ne ho visto uno e mi veniva da ridere.
Questi se la fanno e se la menano a loro piacimento. Il punto è che poi, con quello che stiamo vivendo, occorre anche sguinzagliare poliziotti e forze dell’ordine per mantenere l’ordine pubblico onde evitare che le manganellate finiscano in faccia alla gente.
In giro c’è gente che per carità protesta anche pacificamente, ma tanto questo non porterà mai a niente, non riusciranno a fermare il corso dell’umanità, e poi c’è gente violenta, zotica, cialtrona, che adopera la violenza, ottenendo come risultato quello di fare la figura dei coglioni mediocri. E ci stanno riuscendo alla grande.
In questo universo di gente che andrebbe bene nemmeno a dar caccia alle mosche, ci sono no vax che aggrediscono giornalisti, medici, poliziotti.
(Tra parentesi ieri un poliziotto è morto all’ospedale di Mestre dopo aver contratto il covid in un centro “accoglienza” di Taranto. Non era immunizzato).
Domani sono previste manifestazioni e assalti ai treni in 54 stazioni.
È plausibile che qualche buontempone dall’alto della sua intelligenza che per certi aspetti invidio perché consente di vivere in un limbo di imbecillità acuta, si stenda sui binari per impedire lo scorrere dei treni. Nella chat che uso per andare al gabinetto, c’è anche chi ha proposto di collegare i binari con un cavo, facendo scattare il rosso e quindi dando sempre il segnale di occupato. Poi c’è anche chi vuole attaccare le sedi istituzionali e dei giornali definiti da chi sa tutto del virus “sedi leccaculo canali di manipolazione”.
Tutto questo impedirà a migliaia di persone di andare a lavorare.
Giungendo al paradosso per cui chi protesta dichiarandosi a favore del lavoro e dell’economia boicotta e intralcia il traffico a chi lavora.
Poi ditemi se non sono quattro coglioni.
Vi auguro buon pranzo.

#sbetti

La chat “Basta Dittatura” è un lassativo potente

È risaputo come io, soffrendo di stitichezza, debba ricorrere a rimedi naturali.
Ora ne ho trovato uno molto efficace, che è la chat su Telegram “Basta Dittatura”.
Ci sono iscritta anch’io perché mi aiuta a regolarizzare l’intestino.
L’altro giorno nella chat è stato annunciato l’assalto ai treni e il boicottaggio dei ristoranti che chiedono il Green Pass.
Il blitz clandestino nei treni e nelle stazioni è previsto per il primo settembre, giorno in cui il Green pass sarà obbligatorio anche nei trasporti. E fa riflettere come queste macchioline grigie di persone che predicano libertà sposino la tesi per cui: “se non parto io, non parti nemmeno tu”.
“Non ci fanno partire con il treno senza il passaporto schiavitù? Allora non partirà nessuno!”. Questo si legge nella chat che conta oltre 40 mila iscritti che io vedo come tanti invasati. Complottisti, vittime dei film degli elfi.
Leggendo la chat non ho ben capito quale sia la soluzione per loro, ma soprattutto rimango esterrefatta da gente che concorda con queste posizioni grottesche e primitive e durante la prima ondata diceva che la svolta avverrà con i vaccini.
Non ho sinceramente ben compreso cosa loro si aspettassero. Cioè era cosa evidente che essendo un virus nuovo, il vaccino dovesse essere inventato. Trovato. Scoperto.
Oppure se volessero vivere altri cinque anni nel lockdown perché evidentemente per bloccare i treni hanno tanto tempo da perdere e possono godere dell’apatia del dolce far nulla perché probabilmente godono di qualche sussidio statale, pensione, reddito di cittadinanza, bonus ad cazzum, incentivi, eccetera eccetera.
Anche perché in quelle macchioline grigie molti sono appartenenti al Movimento Cinque Stelle che hanno fatto delle sbordate di piazza il loro modus operandi e del reddito di cittadinanza il loro stile di vita. Percepire senza lavorare. Guadagnare senza fare nulla. Riscuotere senza fare una tega.
Perché è bene che lor signori sappiano che la gente con i treni ci lavora, raggiunge luoghi, uffici, incontra persone, gente, condivide idee, progetti, ambizioni, desideri, tutte quelle cose che chi invocava i vaccini durante il lockdown voleva continuare a fare, stemperando la noia mortale con qualche ridicolo canto dai balconi che andava bene per addormentare i polli.
Il bloccare i treni impedendo alla gente che deve andare a lavorare di salire, la trovo una cosa un po’ gretta e antidemocratica.
Degna di chi ha un quoziente intellettivo non abbastanza alto tale da affidarsi a qualche mago santone che se ne esce con il primo video in pigiama e di cui la gente non sa se è nemmeno un dottore. Se chiedi a un no vax se colui dal quale attinge le informazioni sia un medico oppure no, nell’85 % dei casi, facciamo anche 90, non ti sa rispondere.
In tutto questo il primo settembre saranno 54 le città interessate. “Ore 14.30 incontro davanti alla stazione – c’è scritto – alle 15 si entra e si rimane fino a sera”, si legge nell’annuncio.
Ora se qualcuno si azzarda a intralciare il mio cammino, io lo denuncio.
Liberi voi. Libera io.
Vi auguro buon pranzo.

#sbetti

Blitz dei No Vax contro il Giornale

Rimango alquanto esterrefatta e nutro anche una certa disforia mentale nel sapere che ieri qualche sparuto gruppo del movimento No Vax, molto più contento forse che il mondo torni al Medioevo, abbia attaccato la sede del Giornale a Milano in via Negri, con tanto di lancio di plichi di volantini contro il portone principale della redazione.
Addirittura ho letto che il Giornale è stato accusato di essere “servo del potere”. “Complice di chi supporta e promuove la necessità dei vaccini per debellare il Covid 19”.
Mi sono scese le lacrime. Il Giornale? Servo del potere? Un ossimoro che fa a cazzotti solo a guardarlo.
Ma quello che mi lascia ancora più basita. E colpita. È che proprio quelli che protestano contro la campagna vaccinale e che si riempiono le labbra di belle parole come libertà, diritti, Costituzione, diritto alla Salute, “il corpo è mio faccio quello che voglio”, poi sono i primi a minare queste libertà. L’informazione. La libertà di espressione. La libera manifestazione del pensiero.
E in qualche modo alquanto grottesco e rocambolesco pretendono di togliertela.
Ho anche letto un tizio che ha scritto in commento al tweet del direttore Augusto Minzolini che: “Una quota cospicua di lettori storici del “Giornale” (fra cui chi le scrive) giudica negativamente l’atteggiamento pro-vaccini aggressivo e senza contraddittorio del quotidiano e di Mediaset. E quindi contesta. Sembra di leggere “L’Espresso” (che infatti non c’è più)”.
Il direttore ha risposto “mi trovi un elemento aggressivo su quello che scriviamo. Le opinioni si rispettano, non si impongono. Io sono convinto che le sue valutazioni sul vaccino siamo errate, lei il contrario e lì finisce”.
Il tweet del direttore Minzolini diceva: “Protesta no-vax sotto IlGiornale. Non ci faremo intimidire: la nostra battaglia per un’informazione corretta e trasparente continuerà”.
Allora ai no vax volevo dire una cosa da persona razionale che non sceglie una sarta per andare a farsi riparare la macchina. O un ingegnere per farsi fare le unghie. E quindi mi affido alla scienza che una mano ce l’ha data per toglierci dallo stato primordiale e per fare quei “passi da gigante”.
Posso ricordare vari momenti della mia vita in cui ho capito che cos’è la libertà.
E li ho annotati tutti.
L’ho capita quando ho intervistato Gianluca Salviato tenuto in Libia prigioniero per 243 giorni da Ansar Al Sharia, una costola di Al Qaeda.
L’ho capita quando sono stata in Serbia, in Bosnia, in Kosovo, quando sono entrate nelle enclavi serve dove ancora si sparavano.
L’ho capita quando me l’hanno tolta. Quando un quotidiano schierato a sinistra mi impediva di scrivere su Facebook. Di dire come la pensavo. L’ho capita quando l’Ordine mi ha bloccato. Quando non potevo più scrivere. Quando non potevo più fare il mio lavoro. Quando ho rischiato di non poter più mangiare.
Ma soprattutto l’ho capita un mese fa.
Un giorno di fine luglio quando ero in Trentino e all’albergo dove alloggiavo mi sono vista arrivare davanti una ragazza.
Aveva la pelle ancora scottata dal sole. I capelli ancora bruciacchiati dai raggi solari. L’ho vista lì, venirmi incontro, mangiare un toast con le mani, accendersi una sigaretta e salutare tutti, che lì per lì mi sono detta: “ma questa non ha paura del virus?”.
La vedevo bella soave in compagnia di tutti. Stare in mezzo alla gente. Le persone. Parlare. Che mi sembrava così surreale rivedere un comportamento del genere dopo tanto tempo. Pare sia passata un’eternità. Quella di prima sembra un’altra vita.
Così la sera parlandoci assieme mi ha detto: “io il vaccino l’ho fatto. Ho fatto entrambe le dosi, sono a posto”.
Lì ho capito. Io che dovevo ancora fare la prima dose. Ho capito che cosa fosse la libertà ancora nel momento in cui ho visto una persona fare festa. Stare in mezzo alla gente. Rimanere a galla. Starsene qui ad annusare gli odori, i sapori, condividere le gioie e i dolori. Stare a contatto con la vita vera, reale. L’ho capito in quell’esatto istante che non c’è altra arma se non quella della vaccinazione. I no vax ignorano che la scienza ha dato al mondo intero gli strumenti per progredire avanti. Sulla base di cosa sono convinti che il vaccino faccia più danni del Covid?
Vi auguro buona domenica.

#sbetti

Quella bimba col vestito rosso. Biloslavo: “Kabul Addio”

Questa sera ero in piazza a far l’aperitivo quando mi arriva un messaggio. Erano le 20.22.
Fausto Biloslavo in onda alle 20.45 con il suo servizio da Kabul.
Per un attimo ho pensato: “ok, quando torno a casa mi riguardo la puntata”.
Ma poi. Poi mi sono guardata attorno. Ho visto la gente che rideva, mangiava, cicchettava e faceva festa e all’improvviso mi sono sentita fuori luogo. Così ho salutato tutti, ho fatto su le mie cose, e senza dare tante spiegazioni me ne sono andata. Ho detto “voglio vedere il servizio del mio collega sull’Afghanistan, vado a casa”. “Ma non dovevamo andare a cena?”, mi ha chiesto un amico.
“Dovevamo”, appunto.
Arrivata a casa, mi sono messa davanti lo schermo e quando è stato il turno di Fausto mi sono bloccata. Vedevo queste immagini che mi passavano davanti, bambini in lacrime, soldati con in braccio i bimbi, donne in fila all’aeroporto, le schiene ricurve in avanti, col peso del dolore, della sofferenza, della fine atroce, di un fardello che non se ne andrà mai.
A un certo punto senza renderme conto mi sono scese le lacrime.
Avevo gli occhi lucidi. Ho visto il volto di una bimba e ho pensato che potevo essere io, essere me, tu, lei, mia nipote, mia sorella, la mia vicina di casa, che ha avuto solo la sfortuna di nascere sul posto sbagliato. Questa è veramente gente che scappa dalla guerra.
Aveva il viso tenue tenue dolce dolce calmo calmo. Gli occhietti piccoli che sembravano olive nere in ammollo e quel caschetto che le accarezzava il volto. Ho pensato chissà se quella bimba vedrà mai la luce. Chissà se troverà mai pace. Chissà che futuro avrà. Che destino avrà. Se sopravviverà. Se ricorderà mai questi momenti.
Poi un’altra, quella dietro al cancello. Quella che Fausto ha detto che anche dopo 40 anni che racconta guerre, quella bimba col vestito rosso che chissà se si metterà mai in salvo, è una pena sul cuore. “L’Italia ha fatto l’impossibile – ha detto – ma non siamo riusciti a salvare tutti come la bambina con il vestito rosso nella foto. Una pena nel cuore anche per chi ha raccontato le guerre per 40 anni”.
E poi ho visto quelle immagini dei militari con i mitra spianati. Quei profughi afghani dormire per terra. Quel profugo che teme che i talebani lo prendano perché lo uccideranno. E quelle resse di persone ammassate fuori dall’aeroporto o dentro agli aerei dei nostri militari.
E lì, mi sono detta. Dio mio che siamo. Dio mio che brutto che è il mondo. Dio mio quanto siamo cattivi. Da quando è nata questa sfera rotonda che si dipinge del colore dell’acqua o della terra con l’andar del Sole e della Luna, non c’è stato un giorno in cui sia stata in Pace. Da qualche parte del mondo, e Fausto, con altri suoi colleghi, lo sa, da qualche parte c’è sempre stato un Paese o un popolo in guerra. Predichiamo pace e non l’abbiamo mai nemmeno conosciuta. Anzi. Chi ce l’ha nemmeno la apprezza.
Perché non è vero che tanto è l’Afghanistan.
Siamo noi. Siamo loro. Siamo tutti quanti.
E allora stasera mentre fumavo la mia sigaretta dal terrazzo chiedendomi chissà come la vedono i bambini la luna in Afghanistan, ho scritto a Fausto. Gli ho chiesto se quella bambina riuscirà mai a salvarsi.
Mi ha detto: “no non penso. L’ evacuazione degli italiani è finita. The end”.
Poi l’ho ringraziato, per quello che fa.
Perché questo è il giornalismo che ho sempre sognato. Quello che dà un senso alla vita.
Quello che volevo vedere da piccola quando avevo pochi anni e al di là dell’Adriatico si ammazzavano.
E gli ho detto che mi sono scese le lacrime.
Questi bambini nati nel posto sbagliato.
E noi così fortunati.
Ma così ingrati alla vita.
E lui mi ha risposto: “Esatto.
Noi così fortunati”.

Vi consiglio di guardarlo questo servizio (minuto 27)👇
https://mediasetplay.mediaset.it/programmi-tv/staseraitalia_SE000000000111

#sbetti

C’è chi scambia la condizione delle donne afghane con i nostri “femminicidi”

L’altra sera a rete veneta sono rimasta stordita da una cosa. Praticamente una signora ospite, tale Rosa Poloni che lotta per i diritti di tutti, ha detto che il problema delle donne afghane è sostanzialmente uguale al problema che aveva sua madre con suo padre cinquant’anni fa.
Ho anche tentato di fermarla dalla brutalità dell’affermazione ma non mi ha ascoltato.
Ora.
A me pare un tantino diversa la cosa. Cioè mi pare un po’ diverso vivere in un Paese dove se ti metti lo smalto o se scopri il volto ti linciano, rispetto a un Paese evoluto dove le donne comunque ora ma anche prima, vanno in giro con pantaloncini talmente corti da far intravedere lembi di carne da culo, a volte nemmeno belli.
Questa è la conquista della nostra civiltà. Cioè fare come ha fatto la Ferragni che si è seduta a tavola con il reggiseno. Per questo abbiamo lottato.
Ma mi sembra un tantino diverso paragonare il mondo afghano dalle chiare usanze primitive e tribali con il mondo nostro di cinquant’anni fa. Insomma in Afghanistan non ci vanno certo per le leggere, nonostante il social media, tale portavoce Zabihullah Mujahid che ogni volta che twitta mi vengono i capelli dritti, dica alla stampa che “sì ok la musica è proibita nell’Islam, ma noi puntiamo al fatto che riusciremo a persuadere la gente senza dover ricorrere a pressioni”. Ecco le pressioni per i barbuti del Corano sono le frustate a chi beve alcolici, le lapidazioni per le donne adultere, il divieto di usare ombretti smalti cosmetici gioielli, il divieto di ridere, perfino quello di indossare i tacchi perché altrimenti fanno rumore, e stilare una lista delle vergini e delle single di modo da darle in spose a qualche talebano che ricorderà alla sua sposa come ci si deve comportare a suon di frustrate. Per non parlare poi delle donne segregate in casa dalla prima mestruazione o del fatto che una donna in sostanza sia un animale.
Ora.
A me, ripeto, pare che questa roba sia un tantino diversa, rispetto alla posizione inferiore o alle violenze subite dalle donne cinquant’anni fa o anche adesso. Ma non perché sia minore o maggiore. Ma perché è semplicemente diverso.
Nel nostro caso si chiama devianza.
Nel caso dell’Afghanistan è la regola.
E mi meraviglio di come chi lotti per pace amore e libertà non l’abbia ancora capito.
Vi auguro buon pranzo.

#sbetti

Perché un libro sul covid

Ho presentato il mio libro appena uscito sul coronavirus a Castignano (Ascoli Piceno) e mi hanno chiesto perché un libro sul #covid.
Perché. Perché quel giorno, quando è scoppiato il covid in #Veneto sono subito partita per andare a documentare quello che stava succedendo. Con i miei genitori preoccupati che mi telefonavano e mi chiedevano: “ma dove vai? Non puoi stare a casa. Stai attenta. Cosa vai a fare?”.
“No – ho risposto loro – non posso stare a casa. È il mio lavoro, devo andare. Voglio andare”.
Ma soprattutto un libro sul covid perché il giorno dopo, quando ero sotto la doccia al mattino, lì in piedi, mentre l’acqua mi scivolava addosso e mi chiedevo se tutto quello avesse un senso, un pensiero mi è balenato nella testa avvolgendola ed eliminando il resto.
E il pensiero martellava più o meno così: “non avrei mai pensato di scrivere di una pandemia (già si vociferava lo fosse), abbiamo la fortuna di essere testimoni di un cambiamento epocale”. E quindi da quel momento ho iniziato a scrivere tutto.
L’intervistatore Andrea Fioravanti mi aveva detto che è un testo molto duro. Nudo. Crudo. “Testo doloroso – mi aveva scritto – a tratti ho sofferto”. Poi mi ha chiesto perché a forma di diario.
E anche lì in un baleno gli ho risposto.
Perché il giornalismo è un mestiere immediato.
Vive in quel momento. E tu lo devi fotografare. Illustrare. Riprendere. Descrivere. Raccontare. Ripigliare. Farci l’amore.
Così com’è. Nudo. Crudo. Come avviene in quell’esatto istante senza mezzi termini. Senza convenevoli. Senza compromessi. Senza tanti fronzoli.
È per questo che ho scelto questa forma. Perché credo sia quella più immediata. Più vera. Più fedele. Più leale. Quella che più descrive quegli attimi e qui momenti, a volte terribili, altre volte confortanti.
In queste pagine trovate la fotografia di quello che era in quel determinato istante. Con le ansie. Le angosce. Le paure. Le rabbie. Le sterzate. I sentieri scoscesi. In salita. In discesa. Asfaltati. Sterrati. Pieni di rovi. Pieni di rami.
È un libro dove c’è un pezzo della nostra piccola storia. Catapultato lì sulla carta.
Perché in qualunque cosa faccio lascio sempre un pezzo dell’anima.

#sbetti

Lo trovate in libreria. Online. Su Amazon. E sul sito della casa editrice Male Edizioni.

Fabio Polini Il Giornale Monica Macchioni Raffaella de 🌹

Trova le differenze. Di Maio in spiaggia mentre il funzionario italiano salva i bambini

La prima foto è quella del nostro ministro degli Esteri Luigi Di Maio che in questi giorni ha gestito la crisi in Afghanistan direttamente dalla spiaggia.
La seconda invece è di Tommaso Claudi, marchigiano, mio compaesano anche, che è l’ultimo funzionario dell’ambasciata italiana rimasto all’aeroporto di Kabul dopo che i Talebani si sono ripresi il Paese. Ora nella prima foto si vede il nostro ministro visibilmente abbronzato stremato e sfibrato dalla gestione di una gravissima crisi internazionale, completamente spiaggiato.
Nella seconda invece si vede il funzionario con caschetto a tracolla, giubbotto antiproiettile che si china davanti a un bambino per portarlo in salvo e farlo arrivare dall’altra parte dove c’è l’aeroporto. Il bambino è in lacrime. Magro. Provato. Il nostro funzionario è energico, trasmette fiducia. Con quelle mani afferra il bambino e accovacciato fa pressione sulle gambe per non perdere l’equilibrio.
Ma Tommaso Claudi ha un curriculum di tutto rispetto. Vanta due lauree, una in Linguistica a Pavia, la seconda in Relazioni Internazionali alla Cattolica di Milano.
Poi una volta superate prove diplomatiche, nel settembre del 2017 viene nominato Segretario di legazione in prova alla carriera diplomatica, confermato in ruolo dal 5 giugno 2018. Nel gennaio 2019 invece arriva come secondo segretario commerciale a Kabul.
Luigi Di Maio invece dopo il liceo prima si iscrive a Ingegneria, poi passa a Giurisprudenza. Poi non si sa. Nel 2007-2008 riveste la “carica” di Consigliere di Facoltà e Presidente del Consiglio degli Studenti. Non solo. Tra le esperienze altamente qualificanti nel suo curriculum c’è l’aver fondato, con alcuni studenti del primo anno, l’Associazione studentesca studentigiurisprudenza.it, un’associazione indipendente attiva ancora oggi che si occupa di tutelare i diritti degli studenti.
Ora fa il ministro degli Esteri. Ma ha fatto anche il ministro del Lavoro, senza aver mai lavorato.
L’altro giorno su Facebook ha postato la foto del funzionario che porta in salvo il bimbo scrivendo: “A Kabul, davanti a una situazione drammatica, il nostro Console Tommaso Claudi è fino all’ultimo secondo utile in prima linea per aiutare il popolo afghano, insieme ai nostri militari.
L’Italia non vi volterà le spalle. Grazie Tommaso, siamo tutti orgogliosi di te, del lavoro che stai facendo senza sosta, con amore e dedizione”.
Certo Luigi.
C’è chi lo fa sul fronte.
E chi dal mare.

#sbetti

La madre dei coglioni è sempre incinta

La madre dei coglioni è sempre incinta. Allora questa scritta è apparsa sulle mura della signorile città di #Treviso qualche giorno fa.
Probabilmente è opera di qualche imbecille che anziché studiare e lavorare e costruire il proprio futuro se ne va in giro a imbrattare le mura storiche con scritte che denotano una grave inferiorità psicologica oltre che una certa preoccupante dipendenza fisica.
Mi spiace per il bullo di turno evidentemente così gravemente disagiato da non trovare nessuno che glielo succhi a tal punto di doverlo scrivere sui muri.
Mia madre, insegnante in pensione, di vecchia guardia, mi ha sempre detto che bisognerebbe fare scuola prima ai genitori e poi agli alunni.
Ed è molto vero.
Il sindaco Mario Conte si è già espresso in merito scrivendo su Facebook: “Le mura cittadine deturpate da una porcata indicibile. Queste menate, vandaletti imbecilli e decerebrati che non siete altro, scrivetevele sul naso, non sui monumenti della nostra Città.
I calci nel sedere vi sono mancati, eccome!
Ma non è mai troppo tardi”.
E infatti. Non è mai troppo tardi per fare scuola ai genitori e poi agli alunni.
Soprattutto a fronte dei recenti fatti di Viterbo dove diecimila imbecilli hanno occupato i terreni di un privato, facendoli diventare un grande bordello, nel vero senso. C’erano droga, fumi di alcol, la sezione dedicata al fumo, cani morti, gente nuda che dormiva uno sopra l’altro.
Il tutto con il più completo benestare di Luciana Lamorgese che probabilmente andrebbe bene a gestire la viabilità delle sagre della zucca anziché ricoprire una posizione di comando al Viminale.
Ma soprattutto anche dopo, non meno gravi, i fatti di Riccione.
Dove un gruppo nutrito di ragazzi ha devastatato e imbrattato le vie cittadine, distruggendo auto e vetrine della città romagnola, perché il concerto del loro rapper Baby Gang è saltato.
Uno di quelli che parla di “Rapine e spaccio (hey), Il resto non parlo (hey), Ho acab nel braccio (hey), Gli sbirri sul Cazzo”.
Hey! Il nuovo fronte della musica.
Colui anche il quale per favorire il buon esempio ha detto che essendo saltato il concerto andrà in spiaggia a zanzare – tradotto derubare – i turisti.
Un esempio, non c’è che dire, encomiabile.
Ora chiedo ai genitori, possibile che non vi accorgiate di niente?
O ci siete solo per andare dagli insegnanti a dire che i compiti sono troppi?

#sbetti

Guardo i miei capelli, penso alle donne afghane e mi sento morire

“Ma non avevi i capelli corti?”. “Sì. Ma sono cresciuti”. L’amico con cui mi incontro oggi al mare mi chiede se avevo i capelli corti.
È un amico di quelli del mare, di quando rimembri i bei tempi andati.
Io gli rispondo che sì, che sono cresciuti. Che ora ce li ho dalle spalle ma oggi li tenevo raccolti. Troppa sabbia. Troppo vento. Troppa voglia di tenerli intrappolati ancora per poi scioglierli di nuovo al rientro in città.
“E non erano neri?”. “Sì ma ora sono biondi”.
Il mio amico mi guarda con aria sbalordita.
“Ma quanto cambi?”
Ho sempre cambiato varie e spesse volte il colore e la lunghezza e la forma dei capelli. Passo dal corto al lungo, dal lungo al corto, dal moro al biondo, dal biondo al moro in un batter d’occhio.
Mi vedo bene con tutto. Non sto lì a pensare. Taglio, faccio, brigo, coloro, assaporo, mi ci immergo, se non piace cambio di nuovo. Adoro il cambiamento. Aiuta a sentirmi viva, presente, ad avere ben saldi i miei punti di riferimento quando tutto intorno cambia scorre ed evolve continuamente.
Ho avuto i capelli lunghi fino a sotto il sedere. Li ho tagliati a maschio col ciuffo corto davanti. Li ho fatti ricrescere. Li ho rispuntati, lavorati, trattati, curati, ho dato loro da bere, da mangiare, ho donato amore cura e attenzione. Sono stata in grado di passare dal corto al lungo, dal lungo al corto, in un batter di ciglia. Li ho tagliati da sola. Li ho fatti tagliare. Due volte me li hanno tagliati due amiche. Li ho tagliati col caschetto. Ho fatto il bob parigino. Li ho scalati. E tagliati di nuovo.
Ho avuto i capelli neri come il carbone, biondi come il sole, rossi come il fuoco, viola come le melanzane, blu e verdi come il mare. Li ho avuti lisci, ricci, mossi, con le trecce, i codini, le code. Li ho avuto dei colori pastello, il sottobosco, il marrone caldo d’inverno quando fuori fa freddo. Li ho visti impallidire per lo stress, accorciarsi durante il lockdown, li ho visti scottati e bruciati dal sole, attorcigliati e attorniati dal vento.
Lo faccio non a seconda delle relazioni sentimentali, di quando li tagliavo perché al liceo il moroso ti aveva lasciato.
Ma perché adoro sentirmi libera. Libera di scegliere. Libera di cambiare.
Allora oggi quando mi ha detto questo, mi sono sentita morire.
Ho pensato a tutte quelle donne che non hanno mai potuto e che non potranno tagliare i capelli perché soggiogate da una cultura che le rende schiave. Tutte quelle donne che non potranno farsi more bionde, rosse, castane, sfoggiare i propri colori, far vedere anche quello degli occhi.
Quando noi ci lamentiamo per le minchiate a me devasta pensare che una donna non possa fare quello che per noi è normale.

#sbetti

Chiedetevi perché gli italiani non fanno figli

Allora chiedetevi perché gli italiani non fanno figli. Chiedetevelo. Se abbiamo bisogno degli stranieri per raccogliere i pomodori!
L’altro giorno in un gruppo su whatsapp si discuteva sul perché gli italiani non fanno più figli. Pochi a dire la verità ne discutevano. Alla gente non interessano certi argomenti. La gente parla solo di covid e vaccini. E di polenta e ossetti.
Allora dicevo si discuteva sul fatto che il tasso medio di fertilità delle donne è dell’1,3 %, quando invece ci vorrebbe il 2,1% per salvaguardare l’equilibrio demografico.
Ora, a parte il fatto che mi fa rabbrividire il fatto che ci sia un tasso di fertilità delle donne come se la donna dovesse servire solo da contenitore per mettere al mondo figli e garantire così la prosecuzione della specie, ma chiediamoci perché gli italiani non fanno più figli.
Chiediamocelo. Chi glielo fare agli italiani fare figli se poi per ogni cosa è un problema. In Italia è un problema per fare tutto. E io a 37 anni mi sento così tremendamente vecchia in un Paese vecchio dove non c’è posto per i giovani, dove la gente non combatte e si lamenta sempre, dove le cose diventano difficili, impossibili, complicate, dove si parla solo di privacy diritti e non si capisce quali siano i problemi veri.
Mi sento vecchia in un Paese che usa i giovani solo per le campagne elettorali trattandoli come esseri inferiori dementi con quella finta pena che dovrebbe impietosire. Io non voglio avere la pietà di nessuno.
Mi sento già vecchia in un Paese dove gli amministratori dall’alto dei loro colletti di seta e da quelle poltroncine con gli schienali di velluto e i braccioli in tinta mogano ti dicono che bisogna investire sui giovani. Che i giovani sono il futuro.
No cari miei. No. I giovani sono il presente. Il presente.
Andate. Andate a farvi un giro in mezzo ai giovani per vedere come ci si sente. Giovani a 20 anni. Come a 30. Come a 40. Come la mettiamo con quelli che non riescono a comprare nemmeno un divano figuriamoci a mettere su famiglia. Qualcuno mi ha detto che basta l’amore. No. L’amore non basta. Ai figli va tracciata la strada per avere un futuro. Poi magari se la asfaltano da soli. Ma devono ripercorrere quei passi tracciati dai loro padri. Magari cambiando sentieri. Ma pur sempre avendo una guida. Un punto di riferimento. Vedo giovani allo sbando. Senza sogni. Speranze. Desideri. Vedo giovani senza progetti. Senza la fame di apprendere. Senza la sete di imparare. Vedo giovani senza voracità, gli occhi spenti, va bene tutto. Tutto è diventato liquido. Vedo giovani che fanno figli solo perché bisogna metterli al mondo. Per risollevare matrimoni ormai traditi, ormai piegati dall’arroganza e dalla presunzione. E vedo giovani e padri e madri incapaci di garantire un futuro ai figli perché vittime di uno Stato che va bene come macchina per tritare l’acqua. Come la mettiamo con quei padri che non arrivano a fine mese. Con quegli imprenditori che chiudono. Con quelli che si sono tolti la vita.
Con quelle famiglie sul lastrico. Con quei giovani che non hanno voglia di studiare. Di fare. Di approfondire. Che si sentono già arrivati ma poi dove.
Sono tutti laureati. L’Italia ha bisogno degli stranieri per andare a raccogliere i pomodori. Per andare a venderli. Ha bisogno degli stranieri per servire negli aeroporti. Nei bar. Nei ristoranti. I giovani sono stati dimenticati anche durante il primo lockdown credendo che loro fossero più forti. Come la mettiamo quando ti senti rispondere che per i giovani non c’è posto. Che diventa impossibile fare tutto. Che non puoi chiedere un mutuo. Un finanziamento. Un progetto. Che devi dimostrare di avere esperienza quando ti impediscono di farla. Come la mettiamo con quei giovani che non vengono considerati, che attendono la paga settimanale e vogliono sempre di più ancora, che quando saranno grandi attenderanno il reddito di cittadinanza, che non hanno voglia di studiare, di lavorare, perché cresciuti nel Dio del benessere incapace di garantire loro un futuro. E come la mettiamo con quelle donne discriminate nel lavoro, quando la gente pensa che tutelarle sia la garanzia delle quote rosa. Come la mettiamo con quelle donne imprenditrici che se rimangono incinta a 30 anni non hanno nemmeno la maternità riconosciuta. Come la mettiamo con le donne della vita vera, quelle che devono aspettare mesi per un esame, quelle che hanno i salari peggiori d’Europa e le tasse da pagare.
Come la mettiamo con i quarantenni ancora precari, con quelli che sei laureato ma non sei ancora abbastanza formato. Con le madri costrette a portare negli asili privati i figli perché non ci sono quelli pubblici. Stando ai programmi di illustri personaggi politici, quelli soprattutto a sinistra che garantiscono diritti a tutti, sembra che i giovani verrano trattati con i guanti, che cresceranno nel mondo perfetto. Ma chi lo vuole il mondo perfetto. Queste sono le storie di vita vera. Della nostra Italia. Del nostro Paese dove se fai il cameriere sei sfigato ma se lo fai a Londra sei figo. Queste sono storie di vita che vive la gente ogni giorno. “Non è l’inferno”, cantava Emma. No. Non lo è. Abbiamo la fortuna di vivere in pace e non sappiamo farla fruttare.
Poi chiedetevi perché i giovani non fanno figli.

Scusate ma dal mare in dieci minuti non ho nemmeno riletto. Spero sia chiaro.

#sbetti

“Dialogo serrato con i talebani”, Conte era meglio se stava zitto

Non ho capito se quando li arruolano nel Movimento Cinque Stelle li facciano diventare idioti o cosa. Questi secondo Conte, sono quelli con cui l’Italia e il mondo intero dovrebbero cercare un “dialogo”. “Serrato” mi raccomando.
Le immagini arrivano da una giornalista iraniana. Cioè uno si trova con i talebani in casa, sul tetto, armati di Kalashnikov, con rastrellamenti e torture a nastro e l’Italia dovrebbe cercare un modo per dialogare con loro.
Magari offrendo loro cappuccino e biscotti tanto per addolcite gli animi.
Forse Conte non sa chi sono i talebani. Non sa cosa sia la Sharia. Non sa chi siano i terroristi. Forse crede ancora che i talebani siano buoni. Caritatevoli. Altruisti.
Che abbiano degli occhi di riguardo per le donne. Magari crede ancora nelle favole. A Babbo Natale. All’orso che è morto per il freddo.
Viene da pensare che prima di diventare premier non abbia nemmeno mai letto un giornale. Forse non era nemmeno presente l’11 settembre. La giornalista scrive su Twitter: “Per coloro che credono a ciò che il portavoce dei talebani ha dichiarato sul rispetto dei diritti umani, guardate questo: è accaduto mercoledì 17 agosto. Stanno passando casa per casa e arrestano le persone. Molte persone in Afghanistan che hanno lavorato per il Governo, ora vivono nella paura”. Secondo Conte invece tutto ok. “Dobbiamo coltivare un dialogo serrato – ha detto – con il nuovo regime talebano che appare, almeno a parole, su un atteggiamento abbastanza distensivo”. Distensivo? Secondo Conte salire sopra i tetti, entrare dentro le case, colpire chi ha lavorato con gli occidentali, cancellare le immagini delle donne dalle pareti, assassinare la gente, fare la lista delle single e delle vergini (fanno anche quella), e respingere la gente a suon di kalashnikov, è assumere un atteggiamento distensivo.
Mi chiedo cosa avrebbero dovuto fare per essere giudicati ribelli, forse lanciare qualche mina nucleare. Poi però Conte non contento, ha anche corretto il tiro.
Cioè lui non intendeva dire che dobbiamo cercare un dialogo serrato ma che tutta la comunità internazionale debba esprimere una compatta pressione sui talebani affinché siano costretti ad accettare condizioni e garanzie per i diritti della popolazione. Anzi, conscio forse di avere fatto una figura tapina, quando ormai era troppo tardi ha inveito contro chi, secondo lui, ha strumentalizzato queste parole e ha tuonato:
“Di fronte al disastro umanitario che è in corso in Afghanistan, dove sono in pericolo i più elementari diritti fondamentali, è vergognoso che in Italia ci sia chi gioca a strumentalizzare fatti e dichiarazioni per biechi fini di polemica politica”.
Già. Era meglio se stava zitto.

#sbetti

I talebani sono moderati e la sinistra ha il prosciutto sugli occhi

Mi chiedo come possano aver stuprato il cervello di alcuni beccafichi che hanno creduto nell’arrivo dei talebani moderati.
Allora a scanso di equivoci, per coloro che credevano che i talebani fossero tornati sobri razionali carini e tolleranti, questa è una foto che ritrae un negozio di abiti da sposa a Kabul.
Ci sono alcuni addetti ai lavori che stanno cancellando le foto di donne in abito da cerimonia perché temono l’arrivo dei talebani.
Talebani che sia chiaro, hanno detto durante una conferenza stampa che sembrava il programma elettorale di uno di sinistra, che non ci sarà nessuna discriminazione con le donne, che saranno garantiti i diritti di tutte e che potranno andare a scuola e all’università e fare anche vita politica, magari con qualche marchetta a favore di qualche barbuto tagliagole.
Una conferenza stampa, quella degli adulatori di Allah, ineccepibile, non c’è che dire, che se non fosse stato per la presenza di uomini con turbante dotati di kalashnikov in mano, poteva pure somigliare a una di quelle conferenze del Pd che si appresta a garantire diritti e pace per tutti.
E poi quando c’è da garantire la libertà di espressione ti tappano la bocca.
E infatti qualche sempliciotto un po’ gonzo c’ha pure creduto, credendo che i talebani fossero tornati ma non aggressivi come prima, ma moderati, pacifisti, inclusivi, caritatevoli, altruisti, con qualche riguardo anche per le donne che saranno rispettate a patto che rimangano sottomesse alla legge della Sharia. Che è come dire: entra pure nella tana dello stupratore, se fai la brava non ti ammazza.
Così fatta la legge, trovato l’inganno.
Ieri infatti alcuni cittadini di Jalalabad hanno anche provato a scendere in piazza per i diritti; e i talebani, convertiti al buonismo, li hanno invitati a stare zitti a colpi di mitra, ammazzandone 35.
Non tanto a colpi di ramoscelli d’ulivo come avevano creduto i polli.
Eppure basterebbe un tantino informarsi per capire cosa sia la Sharia.
Le bambine che fino a dieci anni le vedi andare in giro “tranquille”, poi con la prima mestruazione le chiudono in casa, coprendole con orribili sacchi neri. La loro visuale viene grattugiata da una rete, e le donne non potranno andare al mare – se non coperte – non potranno guidare, fare attività politica, lavorare, studiare.
Per i seguaci della Sharia la donna è e rimane una pezza da piedi data in sposa già bambina a qualche guerrigliero violento.
Anche i cinesi hanno detto che i talebani sono più moderati sobri e razionali, ma si sa che la Cina sull’Afghanistan ha ben altre mire. Vedi le grande e grosse miniere.
Ora in tutto questo i talebani si sono ripresi il potere. E l’hanno fatto in quattro e quattr’otto. Quando lasci un Paese nel caos, il caos si riprende i suoi spazi. L’hanno fatto con le motociclette, gli spari, le armi, salendo sulle giostre dei bimbi, abbattendo le statue, dando pennellate di colore bianco per coprire i volti delle donne.
Sono bastati 4 giorni perché i talebani tornassero a essere quello che erano prima.
Anzi, lo sono sempre stati.
Non capisco come la nostra sinistra non se ne sia accorta.
Ah in tutto questo, femministe tutte zitte.
Mi raccomando. Scendete in piazza solo quando il capo vi tocca il sedere.
Vi auguro buon pranzo.

#sbetti