Torino

Una valigia preparata in un quarto d’ora. Alla radio Marylin Manson, un’auto che macina asfalto sotto le nostre ruote e un’autostrada verso Torino, dritta davanti a noi.

Ogni volta che arrivo in una città, quando vedo il cartello della città che mi accoglie, ho sempre un certo timore a entrare. La città é aperta, ti spalanca le porte. Se ne sta lì e ti dice “prego entra, si può”. Ti offre tutto quello che ti può offrire. Bellezza, bruttezza. Pregi, difetti. Spero sempre di non deluderla, quando me ne vado. Di non violarla, anche semplicemente con il pensiero.

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Arriviamo a Torino quando il sole ormai sta calando. Dentro di me un solo desiderio : vedere la Mole Antonelliana. È da 14 anni che spero di vedere la Mole Antonelliana. Da quando facevo il liceo e rincasando alle due del pomeriggio pranzavo, con la sigla di Cento Vetrine. Mostrava sempre quest’opera monumentale tra una pubblicità e un inizio di puntata. E così ci mettiamo in cammino. Anzi in auto. Di corsa, c’è poco tempo. Passiamo il centro della città di Torino, i negozi stanno per chiudere, le pasticcerie sfrecciano via, le luci dei lampioni si dissolvono.

Siamo in piazza Vittorio Veneto. Gente che cammina, auto che corrono. Se penso che nei centri abitati dei paesi di campagna si fanno polemiche per le auto che sfrecciano in piazza e qui nella piazza delle piazze, nella piazza della piena Capital D’Italia no, mi viene quasi da sorridere. È bella Torino. Imperiale Torino. Alta, maestosa. Ti risucchia nella sua maestosità e con il pensiero ti riporta indietro nella storia. Il rumore del caos delle auto, la nebbia dello smog, il riverbero dei semafori e le luci dei lampioni non hanno cancellato il ricordo di quella Torino. Inevitabilmente ti porta a quando c’era il Re, ancora si avverte la sua presenza. Se ne sta lì a vegliare su questa città e con due enormi braccia sembra avvolgerla. Contenerla. Proteggerla. 

Anche i palazzi a Torino sono imperiali. Le luci accese nella case alle sei di sera fanno pensare al tintinnio delle tazze da tè e dei bicchierini di caffè. Quelli con i merletti. Quelli che a impugnarli i i polpastrelli si toccano l’un con l’altro. E poi finalmente arriva lei, con la sua Mole. Si staglia incastonata in mezzo alle case e ai palazzi di questa ormai bellissima metropoli e più ti avvicini e desideri vederla interamente più ti accorgi che è impossibile. Perché lei, sicura di sé, se ne sta in mezzo ai cinema, in mezzo ai negozi, in mezzo alle pasticcerie. Si erge per 167, 5 metri ed è un cubo di  chissà quanti metri cubi che si slancia in altezza. La ammiri da lontano e ne scorgi metà ma lei sa di essere bella , e più ti avvicini più si nasconde. Ti richiama, ti risucchia. E così corri, ci giri attorno, ti incanali in viette sconosciute per vederla ma lei sempre più vigliacca pretende che tu ti avvicini sempre più. Fino a che non ci sbatti davanti e il tuo sguardo immediatamente sbalza verso l’alto, per seguirla su, fin dove arriva il cielo e ti rendi conto che mai lei sarà tua. Mai si farà vedere interamente perché lei è bella così e sa di esserlo. Gentile, si concede per metà. Delicata, ti invita a salire per poterla ammirare. Un’ora di coda per accedere a uno dei monumenti simbolo, più belli d’Italia.

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Convinta che non ci sia tempo (i miei viaggi ultimamente sono toccata e fuga) prendiamo l’auto e arriviamo al Lingotto. Lì c’è un’ altra auto che mi sta aspettando. Scendo da una vettura per salire su un’altra chiedendomi che “ne so io della vita tranquilla”. Percorro le vie del centro come fosse la cena di San Silvestro e arrivo in un appartamento. Bello. L’ aperitivo è con birra e olive taggiasche. Scendendo le scale del palazzo, uno di quelli dove se non stai attenta quando rincasi la sera, di sicuro qualcuno ti si intrufola in cortile, mi accorgo che la finestra del condominio è bloccata con un cucchiaino. Un cucchiaino…Anche in questo, penso, i torinesi sono delicati. Un cucchiaino da tè per bloccare una finestra. Mica scotch, gugliette di legno o carte vetrata. No un cucchiaino d’argento.

E poi, poi ci sono i torinesi. Anche se a Torino ci racconta un uomo, la sera finché siamo a cena, di torinesi ce ne sono cinque, di cui uno è il nostro interlocutore. Sono delicati i torinesi. Gentili. Educati. Garbati. Signori ma non quelli arricchiti pieni di soldi. Gentili nei modi. Gentili nella forma. Conosco anche la classica signora piemontese. Due orecchini di perla, un caschetto biondo antico, una collana con medaglietta d’argento e una blusa bluette. La classica parlata della signora ottocentesca. Barocca, sfarzosa ma con la sua semplicità. 

Dopo la cena, altro giro, altra corsa. Mi trasportano in piazza Vittorio Veneto, detta semplicemente dai torinesi, Piazza Vittorio. E’ il centro di Torino, la piazza più bella delle città. Qui di notte si riversa la gran parte dei giovani. Si parcheggia sotto terra e si risale in superficie. Bar. locali, ristoranti, pub, musica, cocktail, bicchieri di vino e sigarette sempre accese. Anche i sinistroidi ci sono a Torino, torinesi. Rasta e capelli raccolti. Maglie larghe, tabacco ma contezza nei comportamenti. Perfino la tipa che porta a spasso il cane si premura di pulirlo perché dice “dalla patatina gli esce la pipì”. 

Una sigaretta fumata nel freddo gelido di Torino e poi a letto, aspettando il domani del tour piemontese. Perché girare per Torino, se non la conosci, stai sicuro che o ti perdi o se hai paura di perderti, resti sempre fissa nello stesso punto, godendo solo a metà. Così armati di due amici, di guida, zaino in spalla, macchina fotografica, sciarpa e guantoni, il giorno dopo siamo andati alla scoperta di questa città.

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E così scopri l’altra parte di Torino. Quella fatta di ristoranti e di cafè antichi. Quella fatta di vie impenetrabili, di souvenir, di barboni che dormono per strada accanto all’entrata dell’ Università e di libri e giornali venduti sui marciapiedi. Poi quella dei negozi, della gente chic, dello shopping, delle profumerie e librerie.

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E poi, poi c’è la Torino con i suoi monumenti, con i suoi palazzi. Esemplare è quello che tutti chiamano “La Fetta di Polenta”, anche se per me sembra una forma di formaggio Emmental. E’ una delle costruzioni più insolite della città, in corso San Maurizio. Sono 27 metri di altezza e di lunghezza. Largo su un fronte 5 metri e solo 70 centimetri sull’altro.

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Poi c’è la Torino con il Primo Parlamento, con il Museo Nazionale del Risorgimento a Palazzo Carignano, con la torre fascista, con la Biblioteca Nazionale Universitaria di Piazza Carlo Alberto, con la Grande Madre di Dio che: guarda Torino, conversa con la Mole, scambia qualche parola con la statua di Vittorio Emanuele I di Savoia, ai piedi della scalinata, tiene d’occhio la città e quando può si rimette a dormire.

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Per finire, un’autostrada buia, un’auto che ci riporta a casa, una cena consumata sul cruscotto, un caffè, sigaretta tra le labbra e alla radio una canzone dei Placebo di cui ora non ricordo il titolo.

Ricordo però che Torino è una città bella, immensamente bella, una città che in 24 ore ti entra dentro. Ti penetra le ossa per il freddo e ti scalfisce l’anima per la bellezza.

#sbetti

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