Il giorno dopo Parigi, le origini dello Stato Islamico

 

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Il giorno dopo gli attentati di #Parigi, la #Francia conta i morti.

E lo fa con il più grande dolore che una città possa fare.

Lo fa con il dolore delle madri che hanno perso una vita e una parte di sé.

Lo fa con il dolore dei padri sopravvissuti ai figli e con il dolore dei figli usciti un normale venerdì sera per bere qualcosa e ascoltare buona musica. La musica degli Eagles of Death Metal.

Il gruppo al momento dell’attentato stava cantando “Kiss the Devil”, bacia il demonio.

Un demonio vestito di nero, incappucciato, che ha imbracciato un kalashnikov e ha cominciato a sparare. Nel giro di pochi attimi si è scatenato l’inferno e qualcuno all’inizio ha creduto che gli spari fossero dei petardi, che facessero parte della coreografia. Poi all’improvviso il sangue.

“Un corpo mi è caduto addosso – racconta un ragazzo, come scrive Gian Antonio Stella nell’inserto speciale del Corriere della Sera – Mi sono trovato il suo sangue sulle gambe. Ricordo una ragazza con il viso insanguinato, ma era viva. Il mio vicino, un uomo sulla cinquantina, è stato preso da un proiettile in piena faccia. Pezzi del suo cervello mi son finiti sulle lenti degli occhiali. Le pallottole fischiavano da tutte le parti. Fissavo il pavimento, era una pozza di sangue”.

E infatti per chi ha potuto vedere la foto dopo la strage, prima che la polizia francese pregasse di toglierla dai sociale, ha visto l’orrore.

Corpi ammassati per terra. E sangue che scorreva, come lava di un vulcano.

All’indomani dell’11 settembre francese la gente ha paura a uscire nelle strade, si esce solo per donare il sangue, alle persone è stato imposto di rimanere nelle proprie abitazioni. “Ci hanno detto di rimanere chiusi in casa- ci dice una ragazza veneta che vive a Parigi da ormai due anni e che si trovava a pochi metri dal luogo dell’attentato – la prefettura di Parigi ci dice di uscire solo in caso di emergenza. Tutti gli edifici pubblici sono stati chiusi e io ora sono da mia sorella nel 18esimo arrondissement”.  Lei ieri sera era al cinema, una serata come un’altra, tranquilla, quando all’improvviso i colpi e “la gente ha cominciato a uscire dalla sala”.Ora la paura che gli assassini possano colpire di nuovo è grande, talmente grande da paralizzare un’intera città.

Paura a uscire nelle strade, nei parchi, nei giardini.

Paura ad andare nei musei.

Paura a prendere la metro.

Quello che era normale diventa asfissiante, impraticabile.

Soprattutto quando non si conosce il nemico che, nonostante vicino, è più estraneo che mai.

Un punto di domanda che porta a chiedersi cosa spinga questi fanatici assassini ad ammazzare così.

É un problema di religione? Qualcuno dice sì, qualcuno dice no.

Obama si è sempre schierato dalla parte di chi dice che la religione non c’entra ma qui  la religione c’entra tutta. L’Isis interpreta i simboli e le predicazioni.

Li porta all’ennesima potenza, squarciando il Velo del bene per far entrare il male.

E una volta che il velo si è squarciato, non si capisce più quale sia il confine. Tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, tra ciò che è fede e ciò che non lo è.  Così si finisce con il legittimare tutto. Tutto.

Ma cos’ha questo a che vedere con l’ Islam?

Ripercorriamo la storia.

Colui che rivelò per primo la religione islamica fu Maometto.

Maometto in arabo محمد  nasce il 20 aprile 570 a Mecca. La sua predicazione inizia nel mese di Ramadan nel 610 quando secondo la tradizione del Corano, l’arcangelo Gabriele sarebbe apparso al Profeta che gli disse: “Leggi, in nome del tuo Signore che ha creato, che ha creato l’uomo da un grumo di sangue. Leggi nel nome del tuo Signore il più generoso, che ha insegnato per mezzo del calamo, che ha insegnato all’uomo quello che non sapeva” (Il Corano, sura 96, trad. di Alessandro Bausani, Firenze Sansoni, 1961).

Anche nel Nuovo Testamento però appare l’arcangelo Gabriele che annuncia a Zaccaria la nascita del figlio Giovanni Battista e a Maria di Nazareth la nascita di Gesù Cristo (Luca 1:11-20).

Maometto però credeva di aver sognato e solo dopo dieci anni comincia a predicare in pubblico una dottrina monoteistica. Egli predicava un Dio unico: “Allah“.

Nel 623 intanto a Yathrib, città-oasi dominata da una tribù e da una comunità ebraica, Maometto si allea con gli ebrei e fonda la Umma, la comunità dei musulmani, ossia “assoggettati” (a Dio), quindi “credenti” (in Allāh). Fonda una moschea fuori città e sancisce i principi fondamentali dell’Islam, come la preghiera verso Gerusalemme. La città poi cambia nome in Medina. Da qui parte l’espansione diretta verso le zone circostanti, verso la Mecca stessa, la penisola arabica e oltre.

L’8 giugno del 632 (lunedì 12 rabīʿ II dall’Egira) Maometto muore a Medina. Lascia 9 mogli e una sola figlia sopravvissuta, Fāṭima. Medina diventa la capitale del nascente Califfato islamico. Il primo successore infatti di Maometto e “luogotenente” di Dio in terra era il califfo che ora per Obama sembra essere l’unica forza da estirpare, se si vuole sconfiggere l’Isis.

La predicazione di Maometto attecchiva particolarmente nelle tribù beduine, mosse dal desiderio delle vendette tribali. Una primaria forma di società, molto arcaica, strettamente collegata alla vita nomade, alla razzia dei greggi, al possesso dei pozzi. I beduini si affidarono totalmente alla fede islamica dando a essa carta bianca e nel giro di pochi decenni si costruì un vero e proprio impero.

Nasceva la jihad (“sforzo nella direzione gradita a Dio”), che aveva come fine non la conversione, ma l’assoggettamento degli infedeli, tramite il riconoscimento della superiorità islamica e il pagamento di un tributo. Che a pensarci bene è quello che ora Daesh chiede ai popoli sottomessi.

La religione islamica imponeva una ferma condanna del politeismo.

Ma appena dopo la morte di Maometto ci si divide.

Sunniti da una parte e sciiti dall’altra.

I Sunniti si richiamavano alla tradizione, la Sunna e quindi credevano che il successore di Maometto doveva essere uno scelto tra i migliori fedeli. Sostenevano Abu Bakr, ritenuto il migliore amico di Maometto.

I secondi, cioè gli sciiti credevano che la successione si tramandasse per famiglia e quindi sostenevano il cugino e genero di Maometto, Alì.

Ed è qui che nasce il conflitto. Una guerra di successione, nella religione.

Il dissenso scoppia nel 656 quando il califfo Uthman viene ucciso e il suo posto passa al genero di Maometto, Ali. Poi in seguito a una guerra civile anche Alì viene ucciso e il califfato torna agli eredi di Uthman. Da allora il partito di Ali, la Shia (sciiti) considera la Sunna, il partito della tradizione, (sunniti) come una banda di usurpatori. I  sunniti comunque sono circa l’ 80/90% del mondo musulmano e hanno governato anche dove il paese era prevalentemente sciita.  Del resto pieno è il mondo di guerre dove ci si scontra per questioni di successione al trono. Quando questo accade all’interno della religione, non è molto diverso. Provoca lotte, caos, disordini interni che sfociano molte volte in fratture irreparabili e sanguinosi conflitti.

Quello che sta succedendo ora nel mondo islamico.

Ma non è ancora finita, perché gli sciiti secondo varie correnti di pensiero, sono considerati eretici, i peggiori nemici dell’ Islam. Ebbene, loro infatti si dividono in altre sette, a volte estreme, esoteriche o iniziatiche. Come i drusi o gli alauiti in Siria o gli ismailiti o ancora i zayditi nello Yemen. Oggi quelli più diffusi sono gli imamiti che si basano sulla successione di dodici imam – duodecimano. Gli imamiti però accusano i sunniti di aver alterato il Corano.

Insomma il caos nel caos.

Allora cosa succede.

Accade che alcuni si staccano e impongono un ritorno alla tribalità per una differente interpretazione del testo sacro.

Questi sono i salafiti che vogliono un ritorno alle origini, alla purezza dell’insegnamento dell’ Islam dicono loro. Secondo Ahmed Karima, professore di diritto islamico all’ Università di Al – Azhar e membro del Consiglio supremo per gli affari musulmani “i salafiti – dice in un’intervista rilasciata al quotidiano Mcn direct – sono i principali portatori delle idee dei Takfiri, cioè coloro che combattono contro i falsi musulmani, e della violenza intellettuale”. Alla base quindi del terrorismo “islamico” ci sarebbero loro. E per Karima è proprio da questo movimento integralista e scismatico dell’ Islam sunnita che sono nati Al-Qaeda, i Talebani e ora l’ Isis. Ma non chiamiamolo Isis, chiamiamolo Daesh che sta per al Dawla al Islamiya fi al Iraq wa al Sham cioè Stato Islamico dell’ Iraq e del Levante. In arabo Daesh significa portatore di discordia e in afghano viene usata in senso dispregiativo, ecco perché ora si preferisce parlare di Daesh anziché di Isis cioè di uno Stato. Il Daesh con lo Stato non ha niente a che vedere. É uno stato di terroristi, di pazzi assassini. Lo scopo dei salafiti è quello di voler ricreare le condizioni in cui visse e predicò Maometto. Un ritorno alle origini. In più dai salafiti nasce anche una corrente sviluppatasi tra le due guerre mondiali e guidata dal religioso Muhammad al-Wahab. Da qui nasce il movimento wahabita, cioè un movimento fondamentalista fortemente legato e collegato alla casa regnante sunnita dell’Arabia Saudita.

I salafiti e wahabiti sostengono una nuova interpretazione (ijtihad) autentica della Sunna, la tradizione etica e giuridica dell’Islam. Il movimento predica la Jihad (Guerra Santa contro gli infedeli) che si fa con la spada, la parola o la guerra. Ma è su base volontaria e quindi ci sono scuole libere (non laiche) in cui si fa una propaganda spietata. Anche qui i richiami alle dittature del XX secolo non mancano. La cultura wahabita poi si schiera letteralmente contro il sistema sociale secondo loro errato e perverso dei vizi. No quindi all’alcol, alla prostituzione, alla carne, al suono del violino. Va contro l’equiparazione tra uomo e donna. Prevede inoltre la legge del taglione per i ladri, la pena di morte per l’adulterio e una netta intolleranza verso le altre religioni. Il salafismo quindi si contraddistingue per essere l’espressione più estrema del fondamentalismo radicale. E c’è il rischio che questi paesi diventino degli Stati confessionali, perché legittimano le loro sporche azioni sulla religione, applicando la Sharia nel modo più barbaro e integralista possibile.

Cos’è la Sharia? La Sharia è il complesso di norme religiose, giuridiche e sociali fondate sulla dottrina coranica e sui Detti e fatti del Profeta Maometto. Sharia significa, alla lettera, “la via da seguire”, ma si può anche tradurre con “Legge divina”.  Ed è questa che i villaggi tribali intendono applicare. “Letteralmente – spiega un islamista in un intervento al Corriere, Sergio Noja Nosed – significa “la via degli animali verso l’ abbeveratoio”: è una parola araba antichissima, che affonda le radici in una società dedita alla pastorizia, per la quale la retta via era appunto quella del bestiame che va a bere».

In Occidente questo termine fa subito pensare a punizioni corporali, al taglio della mano per i ladri e alla lapidazione delle adultere. Ma per i musulmani è l’insieme delle norme che Allah ha rivelato a Maometto tanto che in alcuni paesi islamici è vera e propria fonte di diritto, è vera e propria legge. E si sa che una legge per renderla viva basta applicarla. Il passo è breve, come lo è quello sull’orlo dell’abisso in cui stiamo sprofondando.

#sbett

#terrorismo #jihad #isis #islam #francia #maometto #parigi #statoislamico #daesh #guerre #religione #musulmani

 

 

 

No alla copertura delle staute: togliamo i veli alla cultura

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L’articolo apparso su Il Gazzettino, Venezia Mestre l’ 8 febbraio 2016

“La spensieratezza va stroncata fin dalla nascita”. Comincia così lo spettacolo “Fratto_X” di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, al Teatro Metropolitano Astra di San Donà di Piave (Venezia) venerdì sera. Un teatro pieno per uno spettacolo grandioso. Taumaturgia la chiamano, dal greco θαῦμα, thaûma, “miracolo, meraviglia” e ἔργον, érgon “lavoro, opera”. Una cosa meravigliosa, degna di essere vista.

La sua capacità di guarire un pubblico che rideva anche mentre Rezza non c’era. Emblematica la scena dove lui impersona Mario e correndo con un triciclo scompare. In lontananza si sente la sua voce, le sue grida, il suo eco che continuano a far ridere. Un legame questo che ha unito il pubblico con l’attore dall’ inizio alla fine. Addirittura durante gli sketch finali anche lo spettatore diventa parte teatrale. Rezza dotato di uno specchio riflette la luce accecando i volti della buia platea, fa alzare le persone e per comporre la scenografia le fa sedere da un’altra parte.

Perché Rezza è questo che sa fare, lui attore novarese sa catturare, sa trasportare, sa far ridere. Una comicità che supera la dimensione del reale, ma che si rifà a cose estremamente concrete. “Ognuno ci vede quello che vuole – dice Rezza – ognuno ha una sua deduzione. Noi lavoriamo sul potere, sulla realtà drammatica a volte vera, sulle scappatoie esistenziali. Sull’esercizio del potere legato al dominio, dove uno comanda e l’altro subisce”. Dall’ansia fatta persona che come un falco posa su di te fin da piccolo, alle pressioni psicologiche dei genitori, alle assurde liti tra marito e moglie, al famoso Fratto X che elimina l’uomo. “Si muore per la troppa semplificazione”.

Un Rezza che mette alla prova il pubblico, come quando parla e si allontana dalla scena illuminata. Lo spettatore segue l’attore che cammina nel buio fino a che lui non scende dal palcoscenico e scrollando un signore seduto in prima fila ricorda a tutti che la scena da guardare è quella sopra il palco, quella illuminata, non quella buia. Un invito a non perdere mai la concentrazione, a ridere di sé e ad avere immaginazione.

Un’immaginazione che però non è servita quando Rezza giocando con i suoi innumerevoli teli e saltando su sé stesso ha messo in mostra per tre volte, per mezzo secondo – il tempo della sospensione in aria – la parte più intima di sé. Una parte coraggiosa, che fa ridere il pubblico. Perché è arte, è splendore, è libertà.

“Non è una sorpresa – dice Rezza – tutti sanno cosa c’è sotto. Il nudo è il vestito di partenza, noi partiamo nudi. Il non accettarlo è un malessere culturale”. Un malessere che è vivo in questi giorni dove ormai ci premuriamo di coprire tutto, dalle statue dei Musei Capitolini per non turbare il presidente iraniano Rohani a Facebook – è della settimana scorsa la notizia – che censura una foto di nudo artistico di Helmut Newton per la mostra alla Casa dei Tre Oci a Venezia. “Anche nel 400 coprivano le statue romane con le foglie di fico – dice Flavia Mastrella che ha creato l’habitat dello spettacolo – ma noi siamo testardi nella nostra opinione che è quella che la bellezza deve andare in giro. La bellezza è naturale e il nudo è molto naturale”.

Già, e dopo la copertura delle statue dei Musei Capitolini e dopo del nudo artistico di Newton, l’esposizione al pubblico dell’organo maschile è un invito a riprenderci la nostra libertà, la nostra arte, la nostra cultura.

Soprattutto all’ interno di un teatro.

#sbett

 

Parigi e Bruxelles: le buche di una tremenda partita a flipper

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Scrivo questo il 14 gennaio 2016. Parigi. Esattamente due mesi dopo.

Lo aggiorno il 26 marzo 2016. Bruxelles. Quattro giorno dopo, 131 giorni dopo il Bataclan.

Ma che fine ha fatto Parigi? Nessuna.
È sempre lì. Lo spettro di quello che è accaduto nella città dei Cafè, delle baguette, dei tavolini agghindati e delle sedie floreali; nella città degli Champs Elysees , di Montmartre, di Pigalle, vive in noi.
Lì. Presente.
Solo che ha spostato il suo raggio d’azione e ora come un flipper rimbalza di qua e di là, trovando alla prima distrazione una buca utile per poter esplodere.

Si alla prima distrazione o alla prima mancanza di controlli visto che io per entrare in tribunale devo passare sotto il metal che suona anche con la cavigliera ai piedi  e questi invece sono riusciti a entrare imbottiti di esplosivo dentro un aeroporto. Cose folli. Assurde. Che non dovrebbero accadere in uno stato di emergenza, di guerra, di panico. Di terrore.
Così dalla Siria, alla Turchia, dall’ Egitto, a Parigi, da Bruxelles, alla Russia, fino alla Tunisia, si fanno esplodere, ammazzano, trucidano. Ovunque nel mondo.
Questo si divertono a fare. A farci giocare.
Una tremenda partita a flipper, mortale. Ma i giocatori sono i nostri leader. E le palline sono i terroristi che ovunque passano spazzano via noi. 

Le abbiamo sganciate e adesso ci fanno correre di qua e di lá. 

Avanti di questo passo perderemo il controllo di questo schema del terrore.
Bombe piazzate a nord, a sud, a est e ovest. Ma non basta una mano, un colpo di stanghetta. Serve qualcosa di più. Non basta come ha detto il nostro premier Matteo Renzi un apparato che sconfigga la mafia. Perché lo Stato Islamico ha dimensioni sovranazionali, è molto di più. 

Però a Parigi, come a Bruxelles la vita va avanti. Come andrà avanti a Hurghada, a Istanbul e in qualche altra parte del mondo dove qualche pazzo ha deciso di farsi saltare per aria e di ammazzare decine, centinaia, migliaia di civili. La vita va avanti ma si dimena nel terrore.
Il mondo sta diventando un campo minato e le buche, ora, saranno sempre più facili.

Colonia è ovunque se ci facciamo Colonizzare

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Io ricordo ancora quel faccia da genitale che mi palpò il sedere in centro a Treviso. Era maggio o forse giugno di un soleggiato sabato pomeriggio. Un normale sabato da teenager passato tra amiche. Quando ancora ci si sedeva sugli schienali delle panchine e i tuoi genitori non sapevano che fumavi.
Così quando andavi a casa impiegavi più tempo per toglierti il fumo di dosso che per farti lo zaino del giorno dopo.
Quel giorno indossavo pantaloni bianchi, belli, attillati. Maglia nera, larga come piaceva a me e Buffalo ai piedi.
Ero ferma a parlare con le mie amiche quando passa un tizio che poggia la sua mano sul mio sedere. Mi girai e il mio istinto fu di mandarlo a fanculo. Ma lo fissai con disprezzo, schifata da un gesto così animale.
Stetti male.
Per un giorno.
Ma era un semplice palpeggiamento, nulla di grave, si sopravvive. Qualche testa di minchia che non avendo altro da fare, si divertiva evidentemente a usare ciò che non poteva avere.
Era il 2001. E 15 anni sono passati. Lui era un marocchino.
Stazione di Treviso, ai tempi poi di Gentilini che aveva rimosso anche le panchine per non far sedere gli immigrati.
Cos’è cambiato rispetto a quegli anni? Niente. Nulla. Anzi peggio.
Le città sono sempre meno sicure e i malintenzionati sono sempre di più.
Ma può succedere ovunque, Roma, Milano, Trieste, Londra, Parigi, Colonia.
Già. Colonia.
Quello che è successo a Colonia è grave. Ma anche quello che succede nelle nostre piazze è grave. Anche quello che accade nelle nostre case è grave. Italiani e non.
E le donne non sono una razza debole in via di estinzione.
E’ sempre stato nella bassezza dell’istinto dell’essere uomo che la donna può essere palpata, corteggiata pesantemente e abusata. E anche questo è grave. Ma è anche stato nella altezza della donna ritenersi inguardabile. Perché se qualcuno ti fa un sorriso per strada non vuol dire che sia uno stalker. Detto questo, purtroppo, anche nei posti di lavoro, negli uffici, a più di qualche donna è arrivata la palpatina.
O l’inseguimento notturno, quello che ti fa ansimare quando passeggi da sola con i tacchi nel centro di una città.
Anche questo è Colonia. O quando metti una minigonna e quello che potrebbe essere tuo nonno ti guarda come se non avesse mai visto due gambe di donna. Anche questo è Colonia.
O quando vai a un colloquio e ti chiedono se hai intenzione di avere figli. Quando ti dicono che quello é un mestiere da maschi. O quando ti siedi alla stazione a bere un caffè alle dieci di sera e ti guardi attorno e capisci che qualunque direzione tu possa prendere potrebbe essere pericolosa.
Anche qui siamo a Colonia ‪#‎Colonia‬.

Colonia è ovunque se ci facciamo Colonizzare.

#sbetti

Magdi Cristiano e la mia paura

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I giardini tirati a lustro, i lampioni che illuminano il viale e le luci accese di un albergo senza altezza.
Incontro Magdi Cristiano Allam in un hotel di Abano Terme. Il mondo sembra essersi fermato.
Appena si entra nella hall si ha subito la percezione di pace, di quiete, di tranquillità. E infatti non appena volto lo sguardo una coppia di anziani sembra venirmi incontro.
Lui ha un accappatoio grigio, con le ciabattine ai piedi; lei un accappatoio rosa antico con le scarpette intonate.
Tutto luccica all’interno dell’albergo. Anche il bagno dove per errore mi intrufolo dentro quello degli uomini. Quando esco sei occhi mi guardano sbigottiti, quasi sconvolti da una presenza femminile nel loro spazio vitale. Mi faccio forza e rispondo loro che a casa propria non hanno i bagni divisi per sesso.
Sorridendo ovviamente, mi conquisto la simpatia di due. Uno rimane schivo e si lava le mani.
L’atmosfera è pacata nell’albergo, chi gioca a burraco, chi a biliardo. Anche le palle che cadono in buca hanno il tocco lieve, lì dentro. Chi gioca a carte, chi beve un cocktail prima di cena.
Chi parla, chi ride ma non troppo. Chi passeggia.
Penso che qualche giorno lì dentro servirebbe a scrollarmi di dosso le tensioni di una vita frenetica.
Detto questo, cerco di non farmi trasportare dalla quiete e penso che tra non molto farò un’intervista.
Un’intervista a cui tengo molto. Dopo aver passato la notte a leggere e sviscerare un libro fondamentale.
“Islam, siamo in guerra” di Magdi Cristiano Allam. E infatti è proprio lui che devo incontrare.
Sembro una studentessa ai primi esami universitari. Sono tesa, mi faccio portare un caffè, penso continuamente al caffè e alla sigaretta, ma il caffè rimane lì. La sigaretta, per la prima volta in vita mia, anche.
Continuo a percorrere il corridoio di una stanza piena di persone senza tempo per varie volte, su e giù, su e giù. Stritolo il libro tra le mani. Ripercorro alcuni passi per me importanti e attendo.
D’un tratto mi volto, Magdi è arrivato. Lo intravedo da lontano con i suoi occhialini color tartaruga. Dopo qualche istante mi viene incontro. Mi presento, ci stringiamo la mano e lui mi saluta. “Ciao Serenella”.
Ho sempre adorato chi al primo incontro ti chiama con il nome di battesimo. É un segno di apertura, di tranquillità.
Ha un fisico asciutto Magdi. Ci sediamo e cominciamo l’intervista. Lo presento come Magdi Allam e lui subito mi interrompe “Magdi Cristiano Allam prego”.
É un particolare naturale e significativo ma ai registi non va bene e mi fanno ricominciare. A me rimane impresso. Cominciamo a parlare dell’ Islam e delle sue connessioni con il mondo occidentale. Nel libro lui afferma che il sodalizio Monti – Chiesa Cattolica ha prodotto una sfiducia dei cattolici nei confronti della Chiesa. Gli chiedo se questo possa voler dire in qualche modo che sempre più persone decidono di seguire l’Islam. “Un ragionamento ardito” risponde lui.
Poi parliamo della situazione economia italiana, della diversità della finanza italiana con quella islamica. Dell’importanza di avere una nostra moneta. Una moneta che non è l’Euro.
Fa strano vedere lui, nato al Cairo nel 1952 e con i contorni egiziani, sentire parlare di Nostra moneta. Magdi infatti era musulmano, ha creduto per 56 anni in un Islam moderato, fino a che non è stato condannato a morte dai terroristi islamici.
Nel 2008 riceve il battesimo del Papa Benedetto XVI e al suo nome aggiunge Cristiano. Io non sono Magdi Allam.
Sono Magdi Cristiano Allam.
Lui non crede in un Islam moderato. Nel suo libro proprio nell’introduzione scrive “la radice del male è l’islam”.
Ma un’intervista non basta. Ce ne vorrebbero molte di più. Ci vorrebbe capire cosa possa aver spinto un uomo a condannare così la religione di nascita.
E in parte, il cosa può averlo spinto lo si scopre leggendo il libro. Sentirlo parlare affascina, incanta, un sapere oltre ogni aspettativa. Un monito sempre più forte per difendere la nostra civiltà. 
Lui è stato il primo giornalista a subire un procedimento per islamofobia da parte dell’ Ordine Nazionale dei Giornalisti e a vincerlo. Si può quindi criticare l’islam.
Le sue posizioni sono molto nette, radicali, l’islam moderato non esiste. E credere di avere la presunzione di mettere in discussione le sue parole è da stolti.
Perché lui sa di cosa sta parlando, ha vissuto in quei Paesi. Io no. La maggior parte di noi, no.
Continuando a restare qui, capirne qualcosa è impossibile. E ora questo desiderio di capire è forte. Più forte che mai.

‪#‎Sbetti‬

Intervista a Magdi Cristiano Allam

A Sanremo ControCorrente gli incontri de il Giornale delle idee
Foto Palli Fabio/LaPresse09-09-2013 Sanremo, ItaliacronacaA Sanremo ControCorrente gli incontri de il Giornale delle ideeNella foto: Magdi Allam

“Siamo arrivati al punto di negare ciò che siamo per consentire la realizzazione di accordi commerciali e questo è il comportamento di chi arriva a svendere la propria anima pur di disporre del denaro”

Sono le parole di #Magdi Cristiano Allam in relazione anche alla visita del presidente iraniano Rohani ai Musei Capitolini. Visita in cui ci si è premurati di coprire le statue.

Questa è l’intervista girata in un hotel di Abano Terme per #Telefisco e mandata in onda su Telecittà giovedì 28 gennaio alle 14.30.

“Magdi Cristiano, c’è un passaggio interessante nel tuo libro “Islam siamo in guerra” in cui parli di un sodalizio tra Monti e la Chiesa cattolica. I cristiani sono sfiduciati. Può essere che questo comporti un aumento dei seguaci della fede islamica?”

“C’è da dire che Monti quando nel novembre del 2011 assunse la carica di Capo del Governo era nel gruppo dirigente della più grande banca d’affari al mondo, la Goldman Sachs, così come era ai vertici di una delle grandi istituzioni che determinano il Rating nel mondo. E faceva parte del gruppo Bilderberg. Inoltre era il presidente europeo della commissione trilaterale che era un altro salotto buono di chi conta nella finanza internazionale. Il fatto che la Chiesa abbia indicato per la prima volta dei suoi ministri all’interno del Governo Monti ha lasciato perplessi, proprio per la specificità di questo Governo che ha incarnato in Italia l’avvento del potere della finanza speculativa globalizzata. Ci sono dei passaggi che indicano bene questa connivenza a Milano. La Milano di Pisapia dove abbiamo assistito all’ acquisto dei grattacieli di Porta Nuova da parte del Qatar con un investimento di due miliardi di euro. Dove l’amministrazione di Pisapia è il frutto del sodalizio tra i comunisti.

Tutto questo ci fa comprendere che ci sono intrecci preoccupanti. Poi se tutto questo possa portare a un’ accelerazione della conversione all’ Islam è ardito sostenerlo. Sicuramente fa riflettere e ci avere un atteggiamento critico nei confronti della Chiesa”

 

“Nel tuo libro parli degli intrecci tra gli istituti di credito occidentali e i fondi bancari islamici. Quali sono?”

“L’ Italia è entrata anche essa a far parte del novero dei Paesi che investono in questi fondi islamici in Europa. Londra è la capitale della finanza islamica. É una realtà legata agli interessi generali nel mondo del petrolio, nel mondo del gas, nell’accesso ai mercati arabi e nella vendita degli armamenti. Tutto questo ci ha portato ad assecondare una visione della finanza islamica che almeno nominalmente risulta diversa dalla finanza tradizionale, poi nella sostanza le cose divergono leggermente. Sicuramente la finanza islamica si è salvaguardata dalle conseguenze negative degli istituti occidentali che operano nel libero mercato, che si sono intossicati con dei titoli fortemente a rischio, i titoli derivati. Nel contesto della finanza islamica questo non è accaduto perché è una finanza che è sostanzialmente legata all’economia reale. Strettamente legata ai beni e ai servizi reali.

 

“La finanza islamica quindi non avrebbe questi prodotti tossici con cui la finanza occidentale si è indebitata?”

 “Esatto. E questo ci deve far riflettere su una degenerazione che ha subito la finanza nel mondo della libera economia, anche per quello che è il risvolto nell’economia reale. Oggi all’insegna della finanziarizzazione dell’economia, che altro non è che il sopravvento della dimensione virtuale della moneta rispetto alla dimensione dell’economia reale, noi stiamo assistendo sia alla devastazione delle imprese che producono beni e servizi reali, sia al crescente impoverimento della popolazione. Questo paradossalmente per il venire meno della massa monetaria in circolazione rispetto alle necessità di chi produce e di chi consuma. Questo ci obbliga a riflettere in modo approfondito sulla realtà della moneta, sulla realtà dell’ euro, della Bce che si riverbera sul livello di tassazione che grava sui cittadini italiani.

 

“Infatti tu parli di una terza guerra mondiale combattuta con le armi e con il denaro”

 Oggi i popoli vengono effettivamente sottomessi . C’è un indebitamento crescente; in Italia considerando il debito dello stato, il debito delle famiglie, il debito delle imprese e il debito delle banche si superano i 5mila miliardi di euro. Che ogni anno si traducono in circa 230 miliardi di interessi sul debito. Se consideriamo che il Pil italiano è di 1600 miliardi e che il costo della pubblica amministrazione è di 800 miliardi, partire con meno 230 miliardi che sono interessi sul debito significa non disporre delle risorse necessarie per favorire lo sviluppo. Dobbiamo pertanto porre un argine a una deriva che da un lato ci obbliga a indebitarci sempre più per risanare il debito e dall’altro porta lo Stato a imporre un livello di tassazione sempre più alto per ripianare gli interessi sul debito. Abbiamo il più alto livello di tassazione al mondo. L’unica via d’uscita è quella di riscattare la nostra sovranità monetaria. Cioè rimettere lo Stato nella condizione di poter emettere moneta senza creare nuovo debito con le banche. Questo significa uscire dall’ Euro, disporre di una nuova valuta nazionale che se promulgata ed emessa a parità di condizione con l’ Euro, di valore uno a uno, e salvaguardando la finanza italiana dalla speculazione borsistica, noi possiamo arrivare concretamente a una situazione dove l’ Italia disporrà delle risorse necessarie per lo sviluppo eliminando il debito”

 

“Tutto questo con l’ Islam cosa c’entra?”

“C’entra perché con la disponibilità di risorse per promuovere dei progetti per la messa in sicurezza del territorio nazionale, con il renderci autonomi sul piano energetico, ci consentirà di non dipendere dal petrolio, dal gas. Di non dipendere quindi da quei mercati. É  necessario realizzare l’autonomia alimentare che l’ Italia aveva e potremmo fare delle scelte sui desideri reali degli italiano e non scelte condizionate da dicta e imposizioni così come continua ad accadere. Ne abbiamo avuto una dimostrazione nel corso della visita ufficiale del presidente iraniano Rohani dove l’ Italia si è premurata di assumere una serie di iniziative per non urtare la loro suscettibilità, come quella di velare delle statue, di non presentare il vino a tavola. Siamo arrivati al punto di negare ciò che siamo per consentire la realizzazione di accordi commerciali e questo è il comportamento di chi arriva a svendere la propria anima pur di disporre del denaro.

 

 “Non si tratta quindi di un compromesso?” 

“No, siamo noi che svendiamo la nostra cultura per cercare di andare d’accordo con loro. Ma un buon accordo è un accordo che avviene tra pari sulla base del reciproco interesse ma se si arriva a sottomerci a casa nostra pur di realizzare l’accordo significa che non siamo pari, significa che siamo subalterni. Questa subalternità è dovuta al fatto che disponiamo di una moneta sovrana che ci consentirà di poter rialzare la testa. Che ci consentirà di non dover subire l’arbitrio di chi in cambio del denaro ci impone dei comportamenti, che violano la nostra libertà”

 

“Quindi il solo modo per alzare la testa è avere una moneta nostra?” 

“E’ l’inizio, dobbiamo avere una moneta sovrana. Riscattare la nostra sovranità legislativa, pervenire a una sovranità alimentare, energetica e recuperare sul piano della sicurezza e della difesa . Lo stato ha tagliato sulla sicurezza. Ma dobbiamo aumentare la sicurezza dei cittadini e intervenire sulla sicurezza delle nostre frontiere. Servono più soldi, ma questa situazione monetaria non ce lo consente perché l’ Europa ci impone dei rigidi parametri per quello che riguarda il rapporto tra la spesa pubblica, il Pil e il debito complessivo. Solo in un contesto dove la moneta tornerà a essere accredito e non addebito, in un contesto dove potremmo liberamente operare delle scelte per promuovere lo sviluppo e per creare il bene degli italiani allora le cose potranno cambiare”.

 

Magdi Cristiano Allam è nato al Cairo nel 1952. Era musulmano, ha creduto per 56 anni in un Islam moderato, fino a che non è stato condannato a morte dai terroristi islamici.
Nel 2008 riceve il battesimo del Papa Benedetto XVI e al suo nome aggiunge Cristiano.
Lui non crede in un Islam moderato. Nel suo libro proprio nell’introduzione scrive “la radice del male è l’islam”.

E’ stato il primo giornalista a subire un procedimento per islamofobia da parte dell’ Ordine Nazionale dei Giornalisti e a vincerlo.

 

 Servizio di Serenella Bettin

 

Abano Terme, Padova – 27 gennaio 2016

Ufficio Stampa, Il Faro – economia in luce