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In Italia la donna vale quanto un semifreddo

L’altro giorno passavo davanti a una macelleria e affisso sulla vetrina ci stava un cartello: “Oggi per la festa della donna, fantastici involtini di carne in padella con sughetto”.
Wow, mi sono detta. Che bello.
Che bello che la festa della donna si celebri con fantastici involtini di carne in padella con sughetto. Del resto se a Genova hanno avuto la brillante idea sfociata in una rilevante figura di merda di celebrare la giornata delle mimose con tre gusti di gelato.
Non ci credete?
Sì. A Genova, il comune ha deciso di onorare l’unicità delle donne inserendole in tre varianti di gelato così talmente buone da leccarsi i baffi.
Il Val d’Oro e Ibisco, con agrumi e un infuso di tè rosso e ibisco; il Women, un sorbetto di mirtilli e spumante con variegatura di passion fruit e buccia di limone grattugiata e la Primavera Rosa, un semifreddo striato con purea di frutti di bosco e decorato con pan di spagna. Ebbene sì.
Mentre gli altri Paesi lottano per dei diritti seri – vedi la Francia – sì l’aborto è un diritto- qui la donna ha lo stesso valore di un semifreddo.
E poco importa se da inizio anno ci sono stati 18 femminicidi, poco importa se nel 2023 ce ne sono stati 120, l’importante nel 2024 è avere il macellaio sotto casa che ti offre fantastici involtini di carne.
O come quella fantastica proposta di far entrare le donne gratis – per la giornata dell’ 8 marzo – in musei, parchi archeologici, complessi monumentali, castelli, ville e giardini storici e altri luoghi della cultura.
Prego animali in via di estinzione, acculturatevi, oggi donne entrate tutte gratis.
Ma torniamo alla macelleria.
Stavo per prendere a testate la vetrina ma alla fine ho optato per una sigaretta e mi sono calmata.
Tempo dieci minuti e mi arriva un messaggio. Sono quei messaggi boiate immense che ti arrivano dai famosi pr della zona che cercano di raccattare su un po’ di disperati per fare serata.
Il messaggio fa più o meno così: “Donne questa sera serata speciale ingresso libero”. Anche qui mi sta girando immensamente quello che Dio non mi ha dato. E penso che ci debba essere veramente tanta tristezza in giro se l’obiettivo è uscire la sera dell’8 marzo incelofanate con dei sacchi a pelo di paillettes per entrare in un locale gratis pieno di palloncini rosa che giuro se li avessi davanti li esploderei a uno a uno.
O come quel bar.
“Oggi per la festa della donna due caffè e il terzo ve lo offro io”. Giuro mi stava venendo il vomito.
Questo è lo stesso che faceva lavorare le ragazze d’estate senza aria condizionata e quando una di loro si lamentò lui la lasciò a casa. E questo è anche quello, mi dicono, che chiede a una donna se ha famiglia, se ha il ragazzo, se ha intenzione di trovarsi il moroso – come se trovarsi il ragazzo fosse qualcosa che programmi tramite app del telefono – perché sai io qui ho bisogno di gente che lavora – anche i sabati e le domeniche – e se ti prendo e poi mi resti a casa e io ti metto in regola io ci perdo.
Ecco, queste sono le battaglie che andrebbero condotte. Perché non ci perde il datore di lavoro, ci perde la donna costretta a scegliere tra casa e lavoro lavoro e famiglia e qualora tu scelga la carriera sei una snaturata perché lasci i figli dalla mamma o perché li vedi così talmente poco che a sto punto potevi fare a meno di farli. Se invece per caso i figli non li fai direttamente – sì è un diritto anche questo – sì sono libera se farli o meno – si mi vergogno quando sento che la missione principale di una donna debba essere quella di sfornare pargoletti – sì quelli che ci dicono di fare figli sono quelli che hanno le famiglie più disastrate al mondo – ecco se decidi di non farli i figli verrai sempre etichettata come quella che i figli non li ha fatti.
Come quella egoista. Come quella che non vuole responsabilità.
Ma soprattutto come quella che non ha ancora capito il vero significato della vita.
Mi auguro allora lor signori lo abbiate compreso voi il significato della vita. Voi.
Voi che offrite involtini scrausi andati a male che sanno di rancido. Voi che offrite biglietti gratis.
Voi che offrite caffè.
Ma soprattutto mi auguro l’abbiano capita quelli che celebrano la donna con tre palline di gelato, chissà che il gusto limone grattugiato con l’avanzar dell’estate non possa rinfrescarvi in qualche altro posto.

#sbetti

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“Se mi lasci ti rovino”

Bologna centro

“Se mi lasci ti rovino”.

Sta scritto in una via centrale di Bologna.

L’ho visto sto cartello per puro caso mentre dopo aver girovagato per ore, cercavo un bar dove poter andare in bagno e dove bere un caffè che non mi facesse dormire.

Ci sono venuta a Bologna per raccontare il tentato stupro di quella ragazza studentessa universitaria che la notte del 6 febbraio scorso è stata aggredita in pieno centro da un richiedente asilo somalo che ha tentato di violentarla. Lui poi l’hanno rilasciato ma siccome la figura di merda era tanta, allora hanno deciso di rimetterlo dentro.

“Se mi lasci ti rovino”, sta scritto nelle nostre strade dove le donne vengono aggredite.

“Se mi lasci ti rovino”, sta scritto nel bel mezzo di una strada a caratteri cubitali su sfondo rosa.

In un mondo dove ogni settimana ormai contiamo un morto. L’ultima a Padova, si chiamava Sara Buratin. Anche lui non “accettava la fine della relazione”. Come il caso delle altre due donne, madre e figlia, a Cisterna di Latina.

Come se la fine di una relazione debba essere accettata.

Ancora questa grave mancanza di rispetto delle parole. Come se la fine della relazione implicasse quasi una sorta di benestare, di nulla osta, di accettazione.

Lui non accettava la fine della relazione. E lui ha fatto fuori la madre di lei, la sorella, e ha risparmiato la sua ex.

Era un maresciallo della guardia di finanza Christian Sodano. “La faccia da bravo ragazzo”, hanno detto. Quale bravo ragazzo.

Dietro a queste storie si nascondono mostri, fantasmi, maniaci, pazzi criminali. Dietro a queste storie si celano le più grandi turbe dell’essere umano incapace di bastare a se stesso e di stare da solo.

Lui prima ha ucciso la mamma della ex, Nicoletta Zomparelli, poi non contento ha finito con due colpi di pistola la figlia di Nicoletta, ossia la sorella della ex, Renée Amato, “perché – ha detto – si muoveva ancora e non volevo che soffrisse”. La sua ex invece l’ha risparmiata perché si è chiusa in bagno. Ma lui, una furia vivente, ha tentato di raggiungerla anche in bagno. Lei è fuggita allora in camera della sorella, è uscita dalla finestra fuggendo in mezzo ai campi. Nel frattempo madre e sorella erano già morte. L’altro giorno un servizio al telegiornale faceva così: “Lui non ha pianto”. Grazie. Ci mancherebbe.

“Lui non accettava la fine della relazione”. “Lui aveva la faccia da bravo ragazzo”.

“Se mi lasci ti rovino”, sta scritto nelle strade di questo pianeta quando ogni giorno raccontiamo storie di donne ammazzate o maltrattate. Quando ogni giorno raccontiamo storie di donne che per essersi ribellate o per voler essere libere pagano con la vita il prezzo della loro libertà. Anche a Cisterna di Latina.

Lui era uno di quelli: “Se mi lasci ti rovino”.

#sbetti

Il messaggio sbagliato dell’ultimo appuntamento

La Ragione – 13 giugno 2023.


Il consiglio dato dal pubblico ministero Letizia Mannella sul caso di Giulia Tramontano, la ragazza di Senago (Milano) incinta al settimo mese e ammazzata dal suo compagno, rischia di far arrivare un messaggio sbagliato. Ossia. La pm ha consigliato alla donne di non andare all’ultimo appuntamento. Ma quale sarebbe esattamente l’ultimo appuntamento? Questo consiglio, seppure nella sua saggezza, è pericoloso perché sposta l’asse della colpevolezza sulle donne. La colpa sarebbe di quelle che ci sono andate all’ultimo appuntamento.

Ora il problema, di per sé, non è l’ultimo appuntamento. Il tormento è che i rapporti sono sempre più fragili. Si fondano su personalità problematiche. Ci rapportiamo, a volte, con persone così talmente deboli e concentrate solo su se stesse che le volontà dell’altro diverso da me, passano in secondo piano. Questo accade sia da parte degli uomini che delle donne. Il caso di Giulia Tramontano è di una bruttezza immonda. Di una brutalità efferata. Ma fortunatamente non si chiamano tutti Alessandro Impagnatiello. Ci sono violenze che si ripetono nel tempo, largamente e consapevolmente sottaciute. Come le aggressioni delle donne verso gli uomini. Di queste non si parla minimamente. “Nel 2021 – scrive l’Istat – gli omicidi risultano in lieve calo, ne sono stati commessi 303 (315 nel 2019, 286 nel 2020). In 184 casi le vittime sono uomini e in 119 sono donne. Si arresta il calo degli omicidi di donne e sono in lieve aumento quelli di uomini, che erano invece diminuiti nel 2020 (170)”. Letto così uno pensa quindi che gli omicidi delle donne siano in calo. La differenza però è che quei 184 uomini sono stati uccisi non solo da donne ma anche da altrettanti uomini. E infatti poi l’Istat continua. “Le vittime uccise in una relazione di coppia o in famiglia sono 139 (45,9% del totale), 39 uomini e 100 donne. Il 58,8% delle donne è vittima di un partner o ex partner”. Questo a prova del fatto che ormai la violenza in famiglia dilaga ovunque. Tra le violenze psicologiche denunciate dall’89% degli uomini-padri, al primo posto figurano le azioni o la minaccia di azioni finalizzate alla sottrazione dei figli in seguito alla separazione e non mancano episodi di stalking. Non solo, da parte delle donne è molto diffuso il ricatto economico. Quando la vittima è la donna, se denuncia non trova tutela, protezione. Il problema è quel famoso: “dobbiamo coglierlo con le mani nel sacco”, dove in genere quando lo colgono significa che dentro al sacco ci sei finita tu.Dinanzi a questi meccanismi perversi, non sarà un mancato appuntamento a risolvere i problemi. Se qualcuno vuole farti fuori prima o poi ti raggiunge. Uomo o donna che sia.

Serenella Bettin

La mia intervista al papà di Martina Rossi. “Me l’hanno ammazzata e sono liberi”

Martina avrebbe dovuto scrivere la sua storia. Martina avrebbe dovuto imprimere sulla carta i suoi racconti. A lei, il padre aveva affidato i suoi pensieri. Le sue tribolazioni. Le sue gioie. Cos’è un padre senza figli. Senza memoria.

Perché Martina è morta. 

Martina Rossi è morta per mano della cultura maschilista che ancora si incunea nei nostri territori. È così talmente radicata che solo un cambio radicale di mentalità può scardinare.

Ed è la cultura che vede la donna oggetto da commentare, da denigrare, da non rispettare, al punto che le sue volontà e i suoi desideri sono interpretati come capricci. Come i No per esempio. Serviranno anni di lotte per far capire che un No deve rimanere No. 

Andrebbe cambiata la testa ad alcuni uomini che si sentono padroni e non sono nemmeno padroni di loro stessi. 

È agosto 2011 e Martina è in vacanza con le amiche a Palma di Maiorca in Spagna. Una notte, nella stanza d’albergo dove alloggiava, per sfuggire a uno stupro scappa dalla terrazza e precipita di sotto. Il 3 agosto 2011 Martina muore. Per i fatti vengono condannati Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, oggi più che trentenni, residenti a Castiglion Fibocchi (Arezzo). La difesa ha sempre sostenuto che Martina si fosse suicidata. Dopo una prima condanna a sei anni, assolti in appello, la cassazione il 7 ottobre 2021, dieci anni dopo, li ha condannati a tre anni per tentata violenza sessuale. L’altra fattispecie, morte in conseguenza di altro reato, si è prescritta. 

E da ottobre scorso i due sono già in semilibertà. 

Noi di Grazia ci siamo messi in contatto con il padre. Bruno rossi, 83 anni. Ancora combattivo, il cuore in mille frantumi, gli occhi lucidi e la voce che si fa roca, tanto è ancora il dolore. 

Bruno, hanno mai pagato veramente queste persone?

“No. Mai. Abbiamo chiesto il risarcimento dei danni, ma non vogliamo un centesimo perché nulla potrà ridarci indietro Martina. Vogliamo solo che i responsabili di questa tragedia paghino davvero e daree le risorse a chi ne ha bisogno grazie alla associazione che aiuta le donne che subiscono violenza. Vogliamo riuscire ad avere un po’ di giustizia”.

Esiste questa giustizia?

“Non credo si faccia molto per tutelare le donne. C’è una buona attenzione nel mondo femminile e del volontariato, ma ci sono donne che subiscono torti tremendi e hanno un grande bisogno di aiuto”.

Com’è cambiata la società secondo lei? Questi stupri e femminicidi sono sempre più frequenti. “La famiglia è condizionata negli aspetti economici. Io sono stato sindacalista al porto di Genova, lo so bene. Ora sempre meno gente riesce a lavorare. Uno lavora per due, di conseguenza la famiglia è poco strutturata, sempre più allargata, ma ha reciso le radici. Si trasferiscono pochi valori, non si parla, non ci si conosce, si dà poco affetto alle persone. Proprio ieri sentivo questo padre che ha dimenticato la bimba in auto. Pensi quale strazio sta vivendo questa famiglia. La società ha bisogno di medicine, di momenti di affetto, di dolcezza, di obiettivi da raggiungere”. 

Secondo lei la donna a volte non denuncia perché non ha la dipendenza economica?

“Certo, noi lavoravamo tutti e due. Io quando mi sono sposato, telefonavo a Franca e le chiedevo come si butta la pasta. Ho capito che la vita era cambiata e ho imparato che prima si butta l’acqua e poi la pasta. Martina era arrivata tardi ma cresciuta in fretta, con tanto affetto”.

Quanti anni aveva lei quando è nata?

“Cinquanta, adesso ne ho 83. Ora avrebbe 33 anni. Si rende conto… 33. È morta a 20, cosa sono vent’anni? Niente. Avrei voluto essere nonno. A Martina piacevano i bambini”.

Sta seguendo il caso di Giulia Tramontano?

“Sì. Lui, Impagnatiello è la incarnazione delle persone che non sopporto. Uno così è semplicemente cattivo. Passi sulla vita della persona con cui hai fatto un figlio. Con il figlio in pancia. Ma come fai? Ma che padre aveva questo bambino? Una pena adeguata non c’è. Usando il buon senso, non servirebbe nemmeno il processo. Gli devi dare l’ergastolo. È automatico. Poi in carcere è giusto che lavorino. Ma che facciano lavori come quelli che fanno i portuali di notte al freddo, come facevo io. Quelli che hanno fatto del male a Martina ora lavorano dal padre e vanno a dormire in prigione. Come è possibile?”. 

Già, come è possibile? 

“Perché se hanno un avvocato bravo, non vanno in carcere. Non è più un processo sulla morale ma è un fatto tecnico tra avvocati. A volte mi viene voglia di partire per andare a vedere se dopo il lavoro tornano a dormire in carcere davvero. La morte di Martina si è già prescritta, come si fa? Ma la morte non si prescrive mai. Per chi perde un figlio, la vita finisce. Martina poi… era così bella”. 

Com’era? “Una meraviglia. Nei suoi comportamenti, nella sua riservatezza, nel suo modo di scrivere, di disegnare. Era in gamba. E poi è finito tutto. Durante il processo hanno cercato i momenti più stupidi, tipo quante volte ha bevuto Martina”. 

Si fa il processo alla vittima e non agli aguzzini? 

“Sì, esatto”. 

Come è cambiata la sua vita? “Vado nelle scuole a cercare di portare un messaggio per rompere questa catena infinita di omicidi. Si spezza solo con la cultura. Ma si è interrotto tutto, tutto non ha valore. Ti tolgono un figlio e ti manca la terra sotto i piedi. Mi piaceva tanto giocare a scacchi, ma da quando è morta lei non li ho più toccati”. 

Serenella Bettin

Sul numero di Grazia settimanale, del 15 giugno 2023

Il papà di Martina Rossi: “me l’hanno ammazzata, sono già in semilibertà”

Bruno Rossi è da un po’ che non parla. Dentro al cuore conserva un macigno tremendo sigillato a vita in seguito alla morte della figlia. Mi metto in testa che voglio intervistarlo. C’è il caso di Giulia Tramontano e la sua testimonianza può essere importante. Recupero il contatto. Lo chiamo. Ma la prima telefonata non lascia ben sperare. Non mi do per vinta e ci riprovo.
Bruno Rossi ha 83 anni ed è il padre di Martina. Quella ragazza strappata alla vita a 20 anni perché voleva sfuggire a uno stupro. I condannati sono già in semilibertà.
Era agosto 2011. Martina è in vacanza con le amiche a Palma di Maiorca in Spagna. Una notte Martina scappa dalla terrazza dell’albergo dove alloggiava per difendersi da uno stupro e precipita di sotto. Dopo qualche giorno Martina muore. Per i fatti vengono condannati Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, oggi più che trentenni, residenti a Castiglion Fibocchi (Arezzo). La difesa ha sempre sostenuto che Martina si fosse suicidata. Dopo una prima condanna a sei anni, i due vengono assolti in appello, ma la cassazione, il 7 ottobre 2021, dieci anni dopo, li condanna a tre anni per tentata violenza sessuale. L’altra fattispecie, morte in conseguenza di altro reato, si è prescritta e da ottobre scorso i due sono già in semilibertà.
Quando ho parlato con il padre ho visto un uomo distrutto dal dolore. La voce roca. Che si fa flebile. Il cuore in frantumi. E quel dolore che non si rimargina. Non passa. Non si placa. Si esacerbera in una lenta e pacata consapevolezza e rassegnazione. Come la sabbia che si deposita sopra la duna. Come un dromedario senz’acqua che cammina da mesi nel deserto. Rimane lì impresso nel cuore. Bruno lo coccola. Lo culla. Fa in modo che il dolore sia meno doloroso possibile.
Martina era la sua unica figlia. Lei avrebbe dovuto scrivere la sua storia. Lui le aveva affidato le sue memorie. Quelle di un padre. E di un gran lavoratore. Voleva diventare nonno. Ma gli hanno tolto anche un figlio. Quando l’ ho intervistato a un certo punto, parlando delle donne che lavorano, mi ha detto: “Noi lavoravamo entrambi. E quando è nata Martina e mia moglie non c’era, io la chiamavo per sapere come si facesse la pasta. Li ho capito che andava buttata prima l’acqua”.
Come in tutte le cose della vita i passaggi sono fondamentali. Ma è molto inutile continuare a parlare di giornate contro la violenza sulla donna se non si vogliono cambiare le leggi. Se in Italia abbiamo leggi caotiche confuse interpretabili permissive. Se la morte si prescrive e i condannati possono uscire prima di galera. È molto inutile dire alle donne che devono denunciare se ancora non abbiamo fatto un salto culturale. Quello per cui un No deve rimanere no. Quello per cui se vengo a cena da te non vuol dire che ci stia. Le donne continueranno a essere uccise. E chi le ha abusate, con un buon avvocato uscirà di prigione. Prima l’acqua. Poi la pasta…
La mia intervista a Bruno Rossi su Grazia di questa settimana 👇

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Basta! Ribellatevi! Non avete bisogno dell’accompagnatoria

Ho il cuore in frantumi. Ho così talmente tanto schifo addosso che non so da dove cominciare. In questi giorni non riesco nemmeno a scrivere. Forse partirei da quei babbei che si sono proposti di accompagnare le donne all’ultimo appuntamento. Forme di marketing. Pubblicità gratuita. Complici i giornalisti che si sono prestati a scrivere certe assurdità.
Non è che la donna è una specie in via di estinzione, un appartenente al genere protetto, un panda che ha bisogno dell’accompagnatoria, e che debba essere accompagnata all’ultimo incontro perché rischia di incappare in un pazzo malato di mente o in qualche imbecille vestito da salame al quale non è stato insegnato che una donna va rispettata anche quando le sue volontà non combaciano con le tue.
Il caso di Giulia Tramontano è di una bruttezza immonda. Di una bestialità assoluta. E più passano i giorni e più emergono particolari inquietanti. Mi sento così inorridita e ho quasi un po’ paura. Cosa scatta dentro la testa di una persona per arrivare a commettere simili atrocità?
Chi dice che questo è l’effetto del patriarcato. Chi dice che ogni volta che succede una cosa del genere tutti gli uomini passano per violenti stupratori assassini. Chi bercia di qua. Chi grida di là. Ma credetemi a me fanno schifo tutti. La storia della Tramontano ha riacceso l’annoso problema sui rapporti tra uomo e donna. Questo essere diversi. E il volere a tutti i costi essere uguali. Questo non rendersi conto che la parità dei diritti non si conquista con le A al posto delle O, con le E al posto delle I. Ma si conquista con la cultura, la bellezza, il rispetto, il lottare ogni giorno per i propri diritti, le proprie libertà e quando le si è conquistate mai darle per scontate, nemmeno quando si mangia, quando si dorme, quando si fa l’amore. Del resto purtroppo mi tocca ammetterlo è molto vero. Ci sono alcune mentalità così talmente retrograde che faticano a concepire la donna come altro diverso da sé. In alcuni ambienti la donna viene ancora considerata come qualcosa con due gambe e due braccia dove svuotare qualsiasi tipo di commento. E non solo. Ti salvi solo se hai avuto la fortuna di crescere in una famiglia, come la sottoscritta, che ha trasmesso sani valori e sani principi, che si è contaminata con altri, e che ha fatto del lavoro uno dei principi cardine della vita. Altrimenti, nei bassi latifondi non ti salvi. E non mi riferisco ai titoli di studio. Ci sono uomini che hanno un rispetto da mettere sotto la suola delle scarpe, a cui sputerei in faccia e che considerano le donne come oche da zittire. Sono piena di esempi del “femena tasi”. E ci sono donne che ovviamente stanno al gioco. Perché fa comodo. Perché molto meglio farsi mantenere che andare a lavorare. Appena trovano la preda, magari con un bel po’ di soldi in banca, non ci pensano due volte a stare a casa, ritenendo che i compiti principali dell’essere femminile siano quello riproduttivo e quello di cambiarsi lo smalto in tinta con il colore delle tende. Ma le donne devono lavorare! Lavorare! Altrimenti sono soprammobili. Non solo.
Una volta mi è capitato di assistere a una discussione dove il compagno della mia amica le diceva: “stai zitta tu che di auto non capisci niente”. Lei sottomessa ha taciuto e ha cambiato stanza. Altro esempio, una sera sono andata a cena a casa di amici e il maritino bello bello che si vanta di aver tre quattro figli in giro per il mondo, non ha alzato un dito per aiutare la sua compagna a portare in tavola le pietanze. A un certo punto siccome mi sentivo a disagio e non volevo contribuire a quella forma di sfruttamento, ho preso e me ne sono andata, spiegando alla mia amica che se avesse voluto vedermi ci saremmo incontrate fuori. Non vi basta? Ci sono anche quelli che commentano ogni cosa che tu faccia. Il tuo lavoro. Le tue amicizie. I tuoi problemi. Le tue passioni. Quelli a cui devi dire cosa fai, dove vai, quando torni. Per non parlare di quelli che lavorano solo loro e l’impiego della donna passa in secondo piano. O tipo quei coglioni che un giorno mi chiamarono perché per adempiere alle quote rosa avevano bisogno di un relatore donna. Li mandai a fareinculo. E che dire invece di quel demente di ex amministratore che mi diede della paffutella. Commenti non richiesti. Giudizi non invocati. E qui mi fermo perché potrei andare avanti all’infinito.
Voi credete veramente che cambi qualcosa? Io no.

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La nuova frontiera del politicallycorrect. Il sessismo al contrario

Come al solito non si riesce a tenere la barra dritta e ci si sbrodola da tutte le parti.
Non ho infatti ben compreso per quale motivo, quando un immigrato violenta una donna dobbiamo stare molto attenti a non far passare tutti gli immigrati per stupratori, condendo le parole con tutte le cautele e tutele del politicamente corretto del caso, e invece se un italiano ammazza una donna possiamo tranquillamente dire che il tipico maschio bianco occidentale è un rozzo assassino mostro violento. Davvero non lo capisco.
E il dibattito dal divano andrebbe riportato nei suoi crismi.
Non riesco a comprendere a quale inceppo sia soggiogato il cervello di una persona per non arrivare a capire che come non si può generalizzare con gli immigrati allora non si può generalizzare nemmeno con gli italiani.
Quanti mariti e uomini ci sono che riescono a non odiare le donne? Guardatevi attorno. Forse conoscete più uomini che condividono, magari a malincuore perché questi sono i sogni infranti, le loro vite con le gentili signore anziché uomini che imbracciano i coltelli da cucina.
Anche perché scusate, ma a parte qualche raro caso di troglodita di una rara bruttezza o di misogino che mi è capitato di incontrare nella vita, tipo quello che mi aveva dato della paffutella, a me risulta che molti stupri e e violenze nel mondo siano perpetrati anche da immigrati. Sapete cos’è l’infibulazione? È quella pratica per cui nei Paesi arabi asportano il clitoride alla donne, anzi alle bambine, recidono le piccole labbra, cuciono le grandi e lasciano una fessura per fare pipì.
La maggior parte delle volte queste pratica orrenda di castrazione femminile viene compiuta con ago, filo e forbici.
Molti immigrati addirittura vengono in Italia cosicché possano delinquere meglio. Ma non è questo il punto. Il punto è che non possiamo fare di tutta l’erba un fascio solo quando pare ai talebani del politicamente corretto.
O lo si fa sempre. O non lo si fa mai. Che diamine. A leggere certi commenti mi sembra di stare a sentire la gente al bar che non riesce a scavallare. Ad andare oltre. Che non riesce a mettere i pensieri in fila. E si fa prendere dalla pancia.
Ora che alcuni uomini abbiano problemi con le donne e che alcune donne abbiano problemi con gli uomini, su questo non ci piove. Ma da qui a dire che tutti i maschi occidentali ammazzino le donne e il loro bimbo in ventre, ce ne passa. Fortunatamente non tutti sono assassini. Violenti. E carnefici.
I problemi nascono o quando uno ha problemi mentali, o perché si è fatto troppo affidamento sull’altro. Al punto da credere di averne diritto. Perché si è pensato troppo a mamma casetta e quando mamma casetta crolla il soggetto va in tilt.
Non si riesce più a star da soli. E non si riesce più ad accettare che l’altro abbia una vita all’infuori di me. Ma anche qui le generalizzazioni fanno male. Aprono le porte del sessismo al contrario. Della discriminazione. E della emarginazione.
Davvero non comprendo perché una persona dotata di intelletto non possa rendersene conto. E poi altra cosa che merita una riflessione. Mi spiegate perché ammazzare un feto di sette mesi non può essere considerato omicidio?

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Ma qual è l’ultimo appuntamento?

Ho letto il consiglio dato dal pm, Letizia Mannella, che sta seguendo il caso di Giulia Tramontano, ossia “donne non andate all’ultimo incontro”.
Consiglio saggio. Ma quale sarebbe l’ultimo incontro? Chi lo stabilisce qual è l’ultimo appuntamento?
C’è una data sul telefono? La sveglia sul cellulare? Come fa uno a stabilire quale sia l’ultima volta. Ci sono storie che si trascinano. Che non finiscono mai. Che si esauriscono su se stesse.
Questo monito fa passare un messaggio sbagliato. E cioè che la colpa è nostra. “Cretina tu che ci sei andata. Che sei andata all’ultimo incontro. Che hai voluto vederlo all’ultimo appuntamento”.
Un preconcetto che mi ha sempre mandato in bestia. Una volta me ne andai da una cena, facendo volare i tovaglioli da sopra la tavola, perché un trozzalone, in riferimento a uno stupro che stavo seguendo per lavoro, aveva asserito: “Cosa vuoi, se l’è cercata”.
Ora. Che alcune donne si caccino nel pericolo questo è molto vero. Ma che la linea di confine tra un individuo e l’altro sia sempre più labile, anche questo è molto vero. Purtroppo la strada da fare è ancora tanta. Ci rapportiamo a volte con persone così talmente deboli e concentrate solo su se stesse che le volontà dell’altro diverso da me, rimangono cose di secondo piano.
Alcuni non arrivano a comprendere che un NO deve rimanere no. Che se salgo in casa tua o nella tua auto non significa automaticamente che ci sto.
Questo ancora, da alcuni esseri di questo mondo a cui quella volta il Signore ha dato gambe e cervello, non viene ancora compreso.
Continuare a dire: “Lui non accettava la separazione, lui non voleva”, apre le porte, le spalanca nell’abisso di una sorta di giustificazione, come se la separazione debba in qualche modo essere accettata. Ma è il matrimonio che richiede due volontà. La separazione ne richiede una. Questa è una legge, anche di natura. Se un individuo, uomo o donna che sia, non riesce ad accettare la separazione, il problema deve rimanere suo.
Le questioni irrisolte della violenza contro la donna sono ben altre. Non consistono semplicemente nell’ultimo incontro. Ma si infilano nei meandri giudiziari, burocratici. Nel fatto che una donna se denuncia rimane scoperta, non viene tutelata, a volte non viene nemmeno creduta. Nel fatto che una donna non denuncia perché molte volte quelle donne rinunciano al proprio lavoro e sono senza entrate. Dipendono dall’uomo in tutto e per tutto.
I problemi si incistano nella mancata giustizia. Nella mancata tutela. Nel famoso “signora dobbiamo beccarlo con le mani nel sacco”, che molte volte le mani nel sacco significa che lui ti ha già fatto fuori. Si infilano nel disagio, nella debolezza dell’essere umano, nel fatto che alcuni uomini non sono in grado di considerare la donna come altro da sé. Nel loro sentirsi prepotenti. Superiori. Padreterni, Dio onnipotenti.
Non sarà un mancato appuntamento che farà desistere chi decide di ammazzarti.
Se qualcuno vuole farti fuori, prima o poi ti raggiunge.
Va fermato prima.

sbetti

La vittima dello stupro di Bologna trattata come vittima di serie B

Nel magico mondo fatato e inclusivo non c’è posto per lo stupro di gruppo avvenuto a Bologna alla Festa dell’Unità.
Nella notte tra il 17 e il 18 settembre scorsi, al Parco Nord, mentre si stava celebrando la suddetta festa, una ragazzina di 15 anni è stata violentata da un coetaneo immigrato africano, di seconda generazione, mentre il branco riprendeva lo stupro col telefonino.
Su questa vicenda è calato il silenzio.
Chi avrebbe dovuto, se n’è ben guardato dal proferire parola, mettendo in sordina tutto e facendo passare la vicenda come un triste caso di cronaca locale.
Il che sembra abbastanza contraddittorio e bizzarro.
Ossia, mentre sul palco della festa dell’Unità, si celebravano e si reclamavano i diritti di tutti, degli immigrati, di chi pretende di prendere a noleggio una donna per metterla incinta, appena poco fuori dal palcoscenico, a riflettori spenti, si consumava uno stupro.
La cosa è grave già di per sé. Lo stupro è uno dei maggiori squarci che una donna possa subire. Sia che lo subisca da parte di un italiano. Sia che lo subisca da parte di un immigrato. Non c’entra il colore della pelle. Non c’entra la nazionalità. Non c’entra la provenienza. C’entra il fatto che un uomo con il suo pene ha penetrato la femminilità di una donna senza il consenso di questa.
È il dipingere lo stupro con un colore politico che denota la rozzezza.
Ma. C’è un ma.
Perché il trattamento riservato alla vittima di questo stupro non è stato uguale, e nemmeno lontanamente simile e immaginabilmente simile, alle donne vittime delle presunte molestie degli Alpini. Quando l’anno scorso ci fu il raduno delle Penne nere a Rimini – e la sottoscritta era presente – ci fu tutta un’area appartenente al politicamente corretto che si stracciò le vesti per qualche commento di troppo. Per settimane andò in scena la caccia all’Alpino pur non avendo prove. Pur non avendo denunce, se non una, poi archiviata. E pur dipingendo tutta la categoria come una bolgia composta da infami, stupratori, molesti, violentatori, pedofili. Per settimane assistemmo a questo scempio, tanto che ora l’Associazione Nazionale Alpini per quest’anno ha pensato di dotarsi di un codice di comportamento. Quali screzi. Quali innumerevoli danni e drammi.
Eppure nel magico mondo fatato e inclusivo, che ci vorrebbe tutti integrati e buoni, accade anche che gli immigrati violentino le donne. Che gli italiani le maltrattino. Che le nostre città siano sempre meno sicure. E che i numeri delle denunce parlino. Stigmatizzare gli Alpini come esseri spregevoli non va bene. Così come non va bene appiccicare tali etichette agli immigrati.
Ma visto che siamo in tema Pasquale, quella parte del mondo buonista guarda la pagliuzza negli occhi dei fratelli, e non la trave nei propri.
Così. Giusto per dire.
Mi auguro abbiate passato una Buona Pasqua.

sbetti

Non sorridere perché se ti violentano è colpa tua

Robe folli. Praticamente è accaduto che a Cividale del Friuli, in provincia di Udine, non nell’Africa subsahariana, il comune si sia inventato un vademecum anti stupro che secondo i luminari redattori del volantino dovrebbe proteggere le donne dalle penetrazioni carnali e far diminuire il numero degli stupri e delle violenze sessuali. Ora.
Io avrò qualche problema ma non so se chi ha redatto tale obbrobrio ci sia o ci faccia.
L’opuscolo è stato solertemente consegnato alle studentesse delle scuole e in tali auliche pagine si invitano quelle del gentil sesso a non elargire sorrisi a destra e a manca, a non indossare abiti succinti, a non indossare la minigonna – io la indosso regolarmente – e ad avere un atteggiamento contenuto perché altrimenti potresti dare nell’occhio e aizzare i genitali maschili di chi ti sta accanto. Niente “abiti troppo eleganti o vistosi” o “gioielli e oggetti di valore”.
Meglio essere invisibili. Se non ci si presenta fuori casa e si continua il regime del lockdown va anche meglio. Guai ai sorrisi, specie se “ironici o provocatori”. Non puoi fare la scema per intenderci. E soprattutto “non guardarli insistentemente e non fare commenti”.
Stai zitta e muta e lascia che ti frustino.
Confesso che quando ho letto questa roba ho dovuto rileggerla perché non sapevo se fosse una vaccata o meno. In effetti una vaccata lo è per davvero ma è tutto vero.
E orbene si sta realizzando quello che temevamo. E a forza di pensare male ci si indovina anche. Ossia non riuscendo più a presidiare le persone e il contatto tra queste come hanno fatto con il covid – vedi i ragazzini multati sopra l’argine del canale perché sorpresi a parlare – ci provano infilando consigli comportamentali e facendo nascere nel gentil sesso una certa sfiducia nei confronti del maschio. Oltre a mancare di rispetto al sesso di quest’ultimo perché non è che tutti gli uomini vivono dentro le caverne e sono dei trogloditi che al primo sorriso devono per forza azionare i bisonti.
Ma soprattutto passa il messaggio sbagliato.
Ossia che la donna stuprata se la sia cercata. Il far sentire vittime e responsabili le donne e investirle di questa responsabilità al punto da dettare le linee guida comportamentali fa intendere che se ti comporti bene e fai come ti si dice allora non corri il rischio che qualcuno usi il suo membro contro la tua volontà. Se invece sorridi o indossi la minigonna o i jeans strappati allora la colpa è tua perché non ti sei attenuta alle regole. Della serie: “te l’avevo detto!”.
Io sono la prima a riconoscere che ci sono situazioni che andrebbero evitate perché corri veramente il rischio di rientrare a pezzi, se rientri, o che qualcuno sfoghi i suoi bassi istinti ma da qui a esortarmi a non sorridere ce ne passa.
Avanti di questo passo tra poco non potremo più fare niente. Parleremo solo attraverso i social così non corri il rischio che qualcuno ti violenti. Ne esci un disadattato mentale morale e sociale ma almeno sei al sicuro.
E a noi donne occidentali tra non molto faranno indossare il burqa così almeno anche se sorridi non ti vedono.
Poi magari ti stuprano in casa ma questi sono fatti privati, meglio stare zitti e buoni.

sbetti

Giornata contro la violenza. Ma di che parliamo?

Ogni anno quando arriva il 25 novembre mi sento un po’ turbata.
Fino a qualche anno fa, quando ancora si poteva vivere e in giro non c’erano i talebani delle restrizioni, mi invitavano a quelle manifestazioni dove le impiegate comunali si prodigavano a predisporre una lunga scia di scarpette rosse o facevano in modo che i bambini della scuola elementare dipingessero una panchina rossa dove poi a causa delle manutenzioni mai eseguite, finivano per “schittarci” sopra i piccioni.
Puntualmente declinavo l’invito perché poi il 26 novembre ricominciava tutto daccapo.
Queste iniziative se non sono seguite da azioni serie e se la gente non vi partecipa con consapevolezza di quello che sta facendo, non servono a niente.
“In occasione del 25 novembre – ti scrivono – la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il Comune di tal dei tali, in collaborazione con, per la grande partecipazione di, con l’esclusiva partecipazione del dj set snocciola una serie di iniziative di importanza fondamentale per sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema”. Infatti
Poche ore fa a Mestre un giovane ha spezzato la mandibola alla fidanztina di 14 anni. Un altro con un pugno ha rotto lo zigomo alla compagna di 20. Un altro ancora ha mollato un gancio alla convivente di 40 anni. Sono tutte donne giovani. Ora ricoverate nel reparto Chirurgia maxillo facciale dell’ospedale dell’Angelo di Mestre.
Domenica invece una donna è stata ammazzata a Spinea nel veneziano. E poi si è venuto a sapere che Vera Myrtaj, questo il suo nome, 37 anni, uccisa con il compagno dall’ex marito aveva denunciato tutte le violenze, ma chi doveva intervenire ha sottovalutato.
Un po’ come Alessandra Matteuzzi di Bologna finita con una panchina, che già aveva denunciato il suo assassino ma i testimoni non erano stati sentiti perché erano in ferie. Imbarazzante per davvero.
Ora mi chiedo che senso abbia far dipingere a dei minorenni le panchine di rosso se poi fino a oggi, con dieci anni di governo dei paladini degli ultimi e dei poveracci, non sono stati in grado di dipingere qualcosa che abbia senso.
E di prevedere delle forme di tutela per una donna che denuncia. Quando una donna denuncia viene lasciata sola. Le dicono: “signora stia tranquilla, manderemo una volante sotto casa. Purtroppo non possiamo fare niente, dobbiamo coglierlo con le mani nel sacco”. La maggior parte delle volte quando ti vada bene finisci all’ospedale. Quando ti va male le mani nel sacco sono dentro il tuo carro funebre.
E mi chiedo anche che senso abbia celebrare la giornata contro la violenza sulla donna se poi ogni giorno una donna non è in grado di percorrere dieci metri di strada da sola di sera perché le grandi città sono diventate ricettacoli di spacciatori stupratori violenti extracomunitari tossici drogati fatti ubriachi. Io per prima quando rientro a casa da sola col treno di notte a Padova o a Milano devo farmi venire a prendere se non voglio finire dentro qualche valigetta fatta a pezzi.
Ora davvero non capisco cosa ci sia da celebrare. Arrivati a questo punto le scarpette rosse ce le possiamo mettere in quel posto dove non batte il sole.
Ossequi.

sbetti

I nomi in piazza. Vergogna

Di tutte le vostre belle panchine rosse non rimarrà che un briciolo di vergogna. L’altra sera sono andata a correre. E passavo davanti a questa panchina. Non è rossa. È marrone cacca. Il cestino invece è verde. Verde come la gramigna rossa. Arrugginita. Stanca. Malconcia. Malinconica. La panchina sta sotto un lampione. Vuota.
Pensavo a quella donna accoltellata dal marito. La gente non parla d’altro. Ti chiede se la conoscevi. Sì. Ci sono profondamente legata. La gente l’altra sera mi ha scritto: “qui ci sono i giornalisti”. “Qui ci sono i carabinieri”. “Qui ci sono le forze dell’ordine”. La gente si anima quando vede un telo per terra. Si anima quando vede sangue e merda. Merda e sangue.
Non si anima quando vede una madre allattare. Quando una madre allatta la gente si nasconde. Invece quando una madre viene violentata la gente vuole sapere. Ti chiede. Ti chiama. Ti telefona. Ti ferma per strada. Che stolti sono. Che pena mi fanno. Poi quando chiedi qualcosa che potrebbe essere utile alle indagini la gente ti dice: “no ma non mi mettere in mezzo”. “No, ma io non so niente, dicevo così”.
“Dicevo così” è la frase più stupida che abbia mai sentito dire. Non stiamo parlando di una cosa divertente. Non stiamo parlando di un film al cinema. Di un “ti vengo a trovare”, “no – sai – tengo – famiglia”, “dicevo così”. Dicevo così un tubo.
Dicevo così un paio di palle.
Ti dicono che bisogna partire dalle scuole. Che bisogna fare formazione. Che con le lanterne rosse e le scarpette in piazza in effetti notano che ogni anno gli omicidi di donne sono in calo. A ogni scarpetta rossa che si aggiunge, una donna in meno viene ammazzata.
Ma non li vedi? Guardali. Guardali. Fanno a gara per farsi il selfie la mattina del 25 novembre. La foto di rito sulla violenza contro la donna rientra nel piano editoriale. Guai a non farla.
Guardali mentre fanno le manifestazioni in piazza. Mentre organizzano eventi privi di senso. Mentre se vengono stuprate le donne in piazza ti dicono che “mio Dio! No! No! Dobbiamo partire dalle scuole, che atrocità! Che cosa vergognosa. Colpa nostra. Il maschio occidentale. Misogino. Cafone. Caprone. Rozzo”. Ma quali scuole.
In quali scuole volete andare se siete voi i primi a comportarvi male. I nomi in piazza. La gente che mormora. I figli non protetti. La gente che si forte con le disgrazie degli altri. I commenti. Le dicerie. Le polemiche. Le falsità.
Cosa volete insegnare se siete i primi a non sapervi comportare?
Ancora in giro c’è gente ridotta alle caverne. Ti chiede di scopare su Facebook. Se non ci stai si offende. E ti deride. Un amministratore una volta mi ha dato della paffutella e tanto basta. Da che scuole volete partire poi, se non proteggiamo i figli. Derisi dai compagni. Derisi dai genitori. I loro nomi in piazza. Nella memoria di tutti.
Vergognatevi.

#sbetti

Il medico italiano che restituisce gli occhi alle donne sfregiate con l’acido

Un caso capitato per caso. Oggi su Il Giornale c’è un mio pezzo che parla di tutte quelle donne vittime della sharia. E proprio oggi, quarant’anni fa, il 5 settembre 1941, dal codice penale sparirono il matrimonio riparatore e il delitto d’onore. (Non da mettere sullo stesso piano ovviamente).
L’Italia deve questa battaglia vinta a Franca Viola (ultima foto) che oggi di anni ne ha 73. E che venne rapita sequestrata e violentata dal suo ex fidanzato Filippo Melodia a soli 17 anni. Lui fece irruzione nella sua casa di Alcamo insieme a 13 giovani armati che pestarono a sangue la madre e rapirono Franca e il suo fratellino Mariano.
Per mano del suo aguzzino lei ci rimase otto giorni. Otto.
Otto giorni in cui venne violentata, seviziata, martoriata, a digiuno, in stato di semi inconscienza. Dopo la liberazione Franca rifiutò di sposarsi e affrontò un processo dove dirà: “Io non sono proprietà di nessuno. Nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto. L’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce”.
Parole che a quell’epoca in Italia! suonavano come eresie. Ci sono voluti altri 15 maledetti anni perché si cancellassero alcune norme dal nostro codice penale. Fino al 1996 (25 anni fa!) lo stupro era considerato reato contro la morale e non contro la persona.
Oggi mentre noi possiamo godere di queste battaglie vinte, in altri Paesi c’è chi, se solo osa opporsi a una conoscenza – non serve per forza il rifiuto a un matrimonio basta molto meno – con un uomo più grande del padre viene sfigurata a vita.
Sono donne pachistane afghane, vittime della Sharia. Sono donne che se si oppongono a un matrimonio vengono sfregiate e sfigurate con l’acido. Un segno che rimane lì fisso indelebile. Tangibile. Sfregiarle è meglio che ammazzarle, perché serve da esempio per le altre. Come a dire: “ecco cosa ti accade se dici di no”.
Questo medico, Giuseppe Losasso, di cui vi parlo oggi sul Giornale che ho conosciuto a Udine, mi ha raccontato che sono ragazzine colpite nel cuore della notte. Hanno dai 13 ai 18 anni. Ma anche adulte. L’acido usato è quello delle batterie delle auto. L’ustione provoca una retrazione cicatriziale della cute. Il busto si piega in avanti. Il collo diventa un tutt’uno col mento. Le vedi ricurve. Con le braccia contro giù. Hanno perso anche gli occhi. Per molte la vista non si può recuperare. Il corpo diventa un tormento. Qualcuna pensa anche al suicidio.
Lui da 17 anni le aiuta. Le opera. Trapianta le cornee. Cerca di restituire la luce dove intorno è buio e morte.
Quando lascio Losasso, dopo ore di conversazione, vedo che nel volto ha una riga di pianto.
In fondo nel suo studio ci sta un cuscino: “Realizza i tuoi sogni”. Mentre sto uscendo, penso a quelle donne che i sogni non possono realizzarli. E mi accorgo ancora una volta dell’importanza del nostro lavoro. Non serve a noi. Serve agli altri. A sollevare la polvere. A dare voce e occhi a chi non ne ha.

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