Mi chiedo che male abbiamo fatto per buttare il lavoro dei nostri padri nel cesso. Che male abbiamo fatto per non poter scegliere dove stare. Dove respirare. Dove lavorare. Dove studiare. Dove metter su famiglia. Dove dare alla luce dei figli. Dove creare il proprio giardino e dargli da bere. Innaffiarlo.
Rastrellarlo. Potarlo. Buttarci il letame. Concimarlo.
Mi chiedo che male abbiamo fatto per essere costretti a sputare in faccia al nostro destino. Alla nostra storia. Alla nostra memoria. Per sputargli addosso. Per prendere assaggiarla, masticarla e poi vomitarla. Perché mica tutti c’hanno il sangue zingaro. C’è chi vuole restare. C’è chi vuole rimanere. C’è chi vuole mettere su famiglia. Chi vuole sposarsi. Tradito da questa vita che gli ha dato la paura di diventare grande. “Di diventare padre”. Di mettere al mondo un figlio. Tradito dall’aver dato “la vita e il sangue per il mio paese e mi ritrovo a non tirare a fine mese”.
Allora ieri sera sono rientrata a casa.
Ho aperto il portoncino. Mi sono tolta le scarpe. Le ho lanciate sulla cassettiera. Ho appoggiato le chiavi della macchina. Ho acceso la luce. Sono lì che penso di andarmi a fare una doccia. Quando apro un attimo Facebook. E mi compare un post. Ed è quello del sindaco del paese natale di mia madre, Castignano, il sindaco Fabio Polini. Insomma il post inizia e subito mi cattura. Leggo. Prima una riga poi l’altra. Lo scorro tutto lentamente. Assaporando ogni singola parola e rimango un po’ spiazzata.
Il post racconta di una persona che da quel paese, dal paese dove è nato se ne deve andare, perché costretto a lasciarlo.
Allora torno indietro. E lo rileggo meglio. Mi colpiscono le parole del sindaco.
Fanno così.
“Come tutte le mattine – scrive il sindaco – arrivo in comune, saluto i dipendenti, saluto le persone che incrocio ai vari sportelli, scambio due battute, e poi normalmente mi reco nel mio ufficio a occuparmi delle cose che ho in programma. Stamattina, arrivando mi viene incontro una persona, ci salutiamo e mi dice: speravo di incontrarti perché volevo salutarti e ringraziarti di tutte le cose che hai fatto e, che stai facendo soprattutto per i ragazzi di questo paese”.
E fin qui ok. “Gli dico… bè io non sono ancora tanto contento. Stiamo cercando di fare di più. Allora gli chiedo perché vuole salutarmi e mi dice che deve trasferirsi da Castignano per vari motivi”. “Mi passa il cuore dover andare via da qui – gli dice questa persona – mi trovavo bene qui con la mia famiglia e i miei figli. Ma non ho avuto scelta. Cerco di capire se può esserci una soluzione, una via d’uscita, ma purtroppo forse al momento non c’è”.
“Restiamo muti – scrive il sindaco – con le lacrime agli occhi”. Lì non é come nel comune di Roma dove ci stanno migliaia di persone e nessuno si conosce. Lì ci stanno mille abitanti. Il sindaco conosce tutti. Così. “Mentre vado nel mio ufficio – continua il sindaco – dentro me subentra la tristezza e inizio a pensare alla sconfitta di un Sindaco che molte volte non ha gli strumenti per poter cambiare il percorso delle cose… perché penso che tutti noi dovremmo avere la possibilità di poter vivere la nostra vita nel luogo che amiamo, in quel territorio, a contatto con quella natura che sentiamo nostra, vicino ai nostri affetti, e far crescere lì i nostri figli. Perché non c’è niente di più importante della vita di una persona, della sua stessa essenza. Allora ti senti sconfitto, perché non hai soluzione, perché non puoi aiutarli”.
Sconfitto. Aiutarlo. Lacrime. Non riuscire a poter cambiare il percorso delle cose.
Allora queste parole mi colpiscono. E chiedo al sindaco se posso riprenderle.
Perché é triste la mattina guardarsi allo specchio e sentire di non avere via d’uscita. Che questo è l’inferno. “Pensare che sia più facile morire”. Sentire che non potrai cambiare il destino delle cose. Che non hai scelto. Che ti sono piombate addosso. Perché c’è chi non lo vuole fare di prendere e andare e piantare radici altrove. Perché siamo nel millennio della tecnologia. Vogliono controllarci perfino il pensiero, visto l’altro giorno sul telegiornale, e siamo costretti a dovercene andare per dare corso alla nostra vita. Siamo andati avanti. E siamo tornati indietro. Il lavoro dei nostri padri buttato nel cesso. Siamo tornati indietro all’epoca dei nostri nonni, quando migravano all’estero per costruire un futuro migliore e mandare a casa i soldi. Siamo tornati ai tempi dei nostri padri. Ci avevano preparato il terreno e lo abbiamo distrutto. Ci abbiamo cagato sopra. Gli abbiamo pisciato addosso. Ci siamo sentiti talmente grandi da poter spazzare via il lavoro dei nostri avi in pochi anni. Perché chi vorrebbe rimanere, è costretto ad andare altrove. Paesi di montagna che si svuotano. Intere vallate che si spogliano. Giovani che fuggono all’estero. Padri che scappano. Imprenditori che delocalizzano. Noi li formiamo. E poi li perdiamo. L’altro giorno a Venezia ho conosciuto un parroco peruviano che studia a Roma e poi tornerà Lima. Perché ancora godiamo di professori capaci. Ancora siamo salvi.
Allora io non lo so il perché questa persona se ne debba andare dal posto che ha sempre amato. Ma credo che le parole del sindaco facciano riflettere.
Perché ancora ricordo quando intervistai Martina Barzan, quella ragazza di Noale che l’Australia se l’è presa. Le chiesi quanto costa vivere lí? E lei mi disse: “costa il matrimonio degli amici, costa i compleanni, costa le feste, costa la famiglia di origine. Costa che ti dici che c’è tempo ma il tempo, il tempo non torna indietro”.
#sbetti