Un uomo non dovrebbe decidere del grembo di una donna

Non so se sia cosa buona e giusta che un uomo decida del grembo di una donna.
Per me è paragonabile allo stupro.
Sabato mattina mi sono svegliata con un leggero torpore. Sinceramente ero anche un po’ incazzata. E anche un po’ infastidita. Tanto che per tutto il giorno mi sono sentita sto giramento di palle assurdo addosso che non avete idea. Mi sono svegliata con questo stato d’animo pesante all’indomani della grandiosa storica illuminante sentenza della Corte suprema americana che ci ha resi palesi del fatto che a questo mondo non siamo padroni nemmeno delle scorregge che molliamo.
Figuratevi se siamo padroni del sesso.
Siamo talmente bombardati che quando ti trovi a letto con qualcuno, a meno che tu non abbia il compagno giusto, ti vengono in mente Fedez, il Papa, Biden, i giudici della Corte Suprema. Eccetera. Eccetera.
Non lo so se sono a favore o no dell’aborto. Credo non lo sappia nessuno. A meno che le cose non ti capitano in mano è molto difficile dire: sì sono contro. No non sono contro. Anche se qualcuno non crede sia possibile ma non funziona come andare al gabinetto.
È un po’ come essere a favore o contro l’eutanasia.
Il mio lavoro “fortunatamente” mi permette di poter vedere e raccontare. E sfortunatamente mi permette di poter vivere il dolore.
Quando stavo all’Università, uno degli ultimi anni, in Medicina Legale trattai il caso di Eluana Englaro. Io ero di un’idea. Ossia che si potesse dare avvio al fine vita. Il professore era di un’altra.
Con l’andare del tempo però cambiai opinione. Credendo che la vita fosse sempre sacra.
Ma poi accadde un fatto. Il quotidiano nazionale con cui allora collaboravo mi mandò a seguire un caso di una ormai donna in stato vegetativo da 13 anni. Ricordo ancora quando entrai dentro quella stanza d’ospedale. Era tutto asettico. Lei con la bocca spalancata. Attaccata a un respiratore. E dietro di lei quel monitor del computer che emetteva suoni strani e indicava il battito del cuore. Ma lei era tenuta in vita dalle macchine. L’unico brandello di vita erano quelle dita rattrappite che sembravano gridare aiuto. Aggrappandosi all’ultimo grido invano di speranza e dolore. Uscii da lì che mi sentii quasi male. Il padre accompagnandomi fuori mi disse: “Spero le basti. Quando sale in auto si ricordi”.
La donna infatti era stata vittima di un incidente stradale. Metà della calotta cranica le era sbalzata fuori dal cruscotto. E così quando uscii da lì pensai che un uomo avesse diritto di decidere in che modo morire. Se andarsene anziché tribolare.
E arriviamo all’aborto.
Io non lo so cosa ci sia dentro quel grumo di carne e sangue e cellule definito embrione, so che quando feci l’inchiesta sugli embrioni congelati questi me li sognavo di notte, li vedevo tanti piccoli girini che si sarebbero trasformati uomini. Se guardo mia nipote, mi viene male pensare che mia sorella avrebbe potuto decidere se donarle la vita o meno, se interromperla, facendo quello che le pare, ma se penso a una donna e a tutti i motivi che ci possono essere dietro un aborto non riesco a pensare di negare un diritto.
Come al solito però siamo tornati indietro e a decidere sulla vita degli altri sono sempre i giudici. Avrebbero dovuto fare un passo indietro, e cento avanti.
Ma l’umanità è sempre regredita sui suoi passi.

#sbetti

“Sono la figlia di Bud Spencer”

Libero – 28 giugno 2022

Questa la mia chiacchierata con Carlotta Rossi. Il pezzo pubblicato su Libero

È la primavera del 1960. Siamo a Roma. Una mattinata piena di luce. Quella luce di quel cielo romano, caldo, avvolgente, vivo.Giovanna Michelina Rossi è nel suo piccolo appartamento a sud della città. Quando decide di andare a fare una passeggiata.Indossa una gonna a righe, orizzontali blu bianche, come gli abiti svolazzanti dei marinari mossi dal vento caldo. Una camicia leggera, scarpe comode, un po’ di tacco, capelli appena spettinati. “Le sembrava fossero tutti più gentili quel giorno” più belli. Scende verso Piazza di Spagna, svicola verso via Condotti, un caffè in piedi, al volo, per non dare troppo nell’occhio. “Dopo alcuni fidanzamenti finiti male, lo stato di single le stava a pennello”. Immersa nei suoi pensieri, arriva a piazza Fontanella Borghese e rimane colpita da un piccolo banco di frutta. Adocchia dell’uva che le sembra bella, polposa, succosa; si avvicina, prende un grappolo e mentre si accinge a mangiarlo invitata dal fruttivendolo, dietro di lei sente la voce di un uomo. Si gira. Lo guarda. Lo scruta. In quegli occhi, come nei grandi amori, riconosce se stessa. La voce vellutata, reca con sé “tenerezza, furbizia, arguzia”. Lui le parla. Ed è in quel momento che i due si innamorano. Lui ha 31 anni. Lei ne ha 20. Lui di ritorno dal Sud America, lei di Cuneo ma si considera romana. Lui ha fatto due Olimpiadi. Ha giocato con la Nazionale di Pallanuoto. Era il capitano. Lei che compra tele fogli pennelli matite, che dipinge emozioni, fa la commessa in un negozio del centro.Lei non sa che lui è Carlo Pedersoli.Quello che anni dopo sarebbe divenuto il celebre Bud Spencer. I due iniziano a frequentarsi. E il 23 novembre 1975 nasce Carlotta.Carlotta Rossi. “Bud Spencer era mio padre, lo dimostrerò in Tribunale”.

La chiamiamo al telefono. All’anagrafe lei si chiama Carlotta Patricia Francesca Giuseppina Rossi. Vive a Londra, sposata con Carlo che fa il pendolare verso Roma, insieme hanno due figli di 18 anni e mezzo e 15. Durante il covid ha deciso di raccontare la sua storia in un libro uscito ieri ed edito Apple Books. “A metà”, il titolo, come la sua famiglia.“Quando mi sono sentita pronta – ci racconta – ho deciso di portare alla luce questa storia. Che è una storia bellissima, molto bella, un amore eterno soprattutto perché lei dopo lui non ha mai avuto nessun altro”.Carlotta ci racconta che sua madre e Bud Spencer si vedevano, prima che lei nascesse si vedevano sempre. “Loro si sono incontrati prima che lui diventasse famoso e lei era totalmente dedicata a lui. Hanno deciso di avermi, non sono arrivata così per caso. Io mio padre lo vedevo, quelle due tre volte l’anno, sapevo che c’era, se avevo bisogno di consigli lo sentivo al telefono. L’ultima volta che l’ho visto è stata nel suo ufficio a Roma. Per me fu un incontro difficile. Io gli chiesi se lui avesse potuto lasciare qualcosa che attestasse il nostro rapporto e invece ha glissato. Non l’ho mai raccontato perché mia madre non voleva. Pensi che sono morti a distanza di sette mesi”. La mamma di Carlotta si ammala di tumore e siccome non vuole morire dopo di lui, racconta sempre la figlia, decide di non farsi curare. Giovanna Michelina Rossi muore a 75 anni il 9 novembre 2015. Bud Spencer muore a 86 anni il 27 giugno del 2016. Carlotta aveva 13 anni quando il padre le disse di avere un’altra famiglia e tre figli legittimi. E lei racconta che lui c’è sempre stato. Le ha pagato gli studi, la scuola americana, l’Università negli Stati Uniti, le vacanze estive e invernali. E ha continuato ad aiutare la madre con un assegno di mille euro al mese. I bonifici ci sarebbero, confida a Libero chi sta seguendo le pratiche. I legali sarebbero in grado di riprodurre tutti i movimenti dal 2005 al 2015 anche perché ora Carlotta si dichiara pronta a fare l’esame del Dna e ha intrapreso il percorso giudiziario per il riconoscimento di paternità al tribunale di Roma. Nell’atto di citazione chiede anche, alla vedova dell’attore e ai figli, il risarcimento del “danno subito per la sostanziale mancanza della figura paterna nell’intero arco della vita”. “Mia madre ha sofferto molto – ci racconta Carlotta – Penso che le sia mancato tremendamente. Avere un amore così e non poterlo vivere è durissima”.“Mi chiamo Carlotta e il nome è l’unica cosa che devo a mio padre”. Così comincia questa storia.

Serenella Bettin

Figlio escluso dal concerto. La mamma scrive a Bersani

Meghi Moschino e il figlio Giovanni

Vi racconto questa storia ma vi anticipo che in seguito a questo post ripreso da Luca Zaia, Giovanni, su decisione degli organizzatori dell’evento, potrà andare al concerto.

Qui il post di Luca Zaia 👉 https://www.facebook.com/100044152164053/posts/pfbid0hCc8Y8L7tR8FhKtotQbdjQY7C1VkB3UeVZY64UHc35tMJtXskhW1tS4whP29d3Yol/?d=n

Vi prego parlatemi di uguaglianza e di inclusione. Ditemi quanto è bello il nostro Paese. Riempitevi la bocca di progetti e di eliminazione delle barriere architettoniche.
Vi ricordate Meghi Moschino?
L’avevo incontrata un giorno per caso. In un treno fortunato per Milano.
Lei voleva semplicemente accompagnare il figlio disabile al concerto di Samuele Bersani che si tiene a Verona a settembre. Ha cercato di prenotare i biglietti su internet ma nonostante avesse due accrediti alla sua richiesta gli organizzatori hanno risposto picche. Così ha contattato direttamente Samuele Bersani. E Bersani le ha risposto.
Meghi è di San Donà di Piave. Insegna canto e fa la cantante.
Il figlio Giovanni, 17 anni, è affetto da una tetraparesi spastica con ritardo cognitivo, reflusso gastroesofageo e epilessia per ora controllata dai farmaci.
Meghi è quella madre che ogni mattina lo alza – (video nei commenti), lo prende, lo cambia. Fa una fatica enorme. Lo porta di peso al piano terra. Lo mette sul divano. Gli dà il primo farmaco. Gli prepara la colazione. Lo accompagna al tavolo. E gli dà altre quattro compresse con la brioche. Poi lo accompagna in bagno. Gli lava i denti. Toglie il pannolino. Prima una gamba. Poi l’altra. Gli fa fare pipì perché sennò a scuola si bagna. Lo veste. Lo carica sulla carrozzina e alle 8.10 Giovanni è in classe.
Ora siccome Giovanni ama le canzoni di Bersani la mamma voleva semplicemente portarlo al concerto. Ma non c’è posto. “Signora Meghi purtroppo i posti per persone in carrozzina al concerto di Samuele Bersani sono al completo. Possiamo inserirla in lista d’attesa in caso vi fossero rinunce”. Lei risponde che avendo richieste “non vedo perché non ampliare i posti per i disabili dato che per i normodotati ce ne sono ancora parecchi. Probabilmente- aggiunge lei – il destino delle persone è quello di essere sempre l’ultima ruota del carro”. Loro rispondono che la disponibilità dei posti non dipende da loro e che la commissione per sicurezza ha stabilito che i posti per persone in carrozzina potessero essere 4.
Meghi non si è persa d’animo e ha scritto a Samuele Bersani. “Non so perché ti abbiamo risposto così – scrive lui – Fammi rientrare dalla Sardegna e vedrai che un posto per Giovanni sicuramente lo troviamo”.
“Non non è possibile che nel 2022 ci siano ancora ostacoli per una persona in carrozzina – mi dice Meghi – se non avessi avuto modo di contattare lui che facevo?”.
Già.
Con l’accompagnatoria di 520 euro, venitemi a parlare di uguaglianza e inclusione mi raccomando.

#sbetti

Nell’anno della rinascita arrivano le stangate

Libero 18 giugno 2022

Da Libero – 18 giugno 2022

Nell’ anno che doveva celebrare la nostra rinascita, dopo un biennio pandemico che ha messo in ginocchio famiglie e imprese, ci mancava la crisi energetica in atto da mesi e peggiorata in seguito all’ invasione russa dell’Ucraina. 

Le stime dell’ Osservatorio Confcommercio Energia realizzate insieme a Nomisma Energia, non lasciano spazio a dubbi. 

“Sono dati allarmanti – sottolinea la Confcommercio – che devono far riflettere sulla situazione attuale che imprese e famiglie stanno vivendo”. L’organismo di rappresentanza delle imprese parla di una “forte dipendenza dal gas russo, dovuta a una politica energetica che negli ultimi anni si è dimostrata poco lungimirante” e che “ha reso ormai indispensabili interventi mirati per il contenimento dei prezzi al dettaglio dell’energia, arrivati a livelli insostenibili”. Infatti. 

Tra gennaio e aprile 2022 il prezzo delle offerte elettriche è salito mediamente del 61%, quello delle offerte del gas del 21%. I comparti macro del commercio nel 2022 soffriranno un aggravio di spesa più che doppio, passando da 11 miliardi di euro del 2021 a 27 miliardi. Roba da far accapponare la pelle. 

Ma nel dissanguamento generale, “si può azzardare uno spiraglio positivo della crisi, nel senso che questi aumenti dovrebbero aver raggiunto il massimo”. Speriamo. Le famiglie hanno sofferto un balzo delle bollette del gas e dell’elettricità come mai conosciuto in passato, con tariffe più che raddoppiate fra inizio 2021 e il primo trimestre del 2022. La spesa media annuale di una famiglia (2700 kilowattora) sarà di 1116 euro, il doppio rispetto ai 540 dell’anno scorso. Totalmente fuori controllo il costo dell’energia anche per tutte le categorie e imprese del terziario. Una vera e propria stangata. Con aumenti annui del 120 % – 140%. A pagare maggiormente i rincari saranno i piccoli negozi non alimentari con un + 87%, gli alberghi +76%, i bar + 54%. Un negozio alimentare passerà da 23 mila a 40 mila euro in più. Notevole l’impatto anche sul settore trasporti: 37 miliardi di euro contro i 30 dell’anno precedente. 

Incrementi anche per la spesa annuale di gas: il settore alberghiero registra un + 13 mila euro, i ristoranti + 5 mila. Per i bar, i negozi di generi alimentari e non, il rincaro annuale è pari a circa il 110%. 

Per le famiglie invece (media 1.400 metri cubi) la spesa sarà di 1.731 euro contro i 1028 del 2021.

Il prezzo del greggio che è quello che determina il prezzo del diesel è aumentato da 65 dollari al barile (aprile 2021) a 110 (inizio stesso mese 2022), con un incremento del 65%. Nello stesso periodo, il prezzo del gas è aumentato del 500%, 5 volte di più. “Queste poche parole – si legge nel rapporto – rendono immediatamente la gravità e l’incertezza di una situazione che non sembra debba risolversi velocemente, sia sul fronte militare che su quello della disponibilità di materia prima e del suo prezzo. Anche perché un eventuale embargo riguardante il gas russo, sarebbe nel breve compensato, almeno in parte, anche da Gnl Usa (gas naturale liquefatto), caratterizzato da prezzi molto più elevati”. Insomma tutto dipende dagli sviluppi della guerra in Ucraina e dalla politica europea di un eventuale embargo. “Se questo dovesse praticarsi, sarebbe necessaria qualche forma di razionamento”. Non ci resta che piangere. 

Serenella Bettin

Treviso – 29 giugno 2022

La gente è stufa di andare a votare

La gente è stufa di andare a votare.
Dell’ultimo referendum consultivo, per dire, quello sull’autonomia in Veneto, il governo se n’è altamente sbattuto allegramente le palle.
Nonostante le innumerevoli pressioni delle autonomie locali. E non c’entra il covid. Il covid ha fornito l’alibi perfetto per non fare un tubo e continuare a grattarsi le palle ancor più di prima.
La gente non va a votare non perché non gliene importi nulla ma perché ha perso fiducia nelle istituzioni.
Il rapporto si è slabbrato, logorato, è ormai logoro. Si è lacerato. C’è un totale scollamento tra le istituzioni e il popolo che pensare di metterci una pezza fa solo altri danni.
I cittadini si sentono traditi da chi al governo continua a fare i propri interessi, da chi chiede il gettone anche se il consiglio comunale è in smart working, da chi continua a parlare di progetti e menate irrealizzate e si sente tradita da tutti quei filibustieri incravattati che te li ritrovi sotto casa il giorno prima delle elezioni per chiedere il voto.
La gente è stanca di quelli che fanno i loro giochi, i loro interessi, in questa casta di incompetenti.
La gente è stanca e non ve ne rendete conto.
Il potere viene completamente calato dall’alto dove i soldi si trovano solo per gli stipendi dei politici e i redditi di cittadinanza dei fannulloni. Un potere dove a far da padroni sono i servi dei servi dei serviti dei servetti ancora.
Ho visto ex sindaci ricandidarsi in un altro comune per non perdere la poltrona, perché quelli se gli levi la carica cosa li metti a fare che non hanno manco voglia di lavorare.
Vallo a dire a quelle due donne che ho incontrato stamattina. Costrette a lavorare fino a 70 anni perché altrimenti non ricevono i contributi.
O come quell’ex insegnante che mi ha scritto: “io perché dovrei andare a votare, se sono in pensione e i soldi della liquidazione me li danno tra tre anni e solo il 30%? Le sembra giusto? Quelli sono i miei soldi”. Non le ho saputo rispondere. Ovunque mi giro incontro storie di imprenditori che chiuderanno, cittadini tartassati dall’Agenzia delle Entrate, gente rovinata dalla malagiustizia, fannulloni sul divano, delinquenti col reddito di cittadinanza e gente che ancora deve vedere la cassa integrazione.
Perché se lo Stato vuole i soldi, li vuole subito. Se sei tu a volerli no. Ecco perché la gente non va a votare. La vita è questa roba qua.
La vita è questa merda qua.
La vita è questa robaccia qua.

#sbetti

La mancanza d’acqua è dovuta alla sciatteria italiana

Nel triste e operoso Veneto manca l’acqua. Stamattina in alcune zone molte famiglie si sono svegliate senza acqua. Sicchè una persona che conosco, di ritorno dal lavoro, siccome era tutta sudata mi ha raccontato che si è fatta la doccia con le bottiglie dell’acqua minerale. In alcuni comuni poi hanno vietato di innaffiare gli orti. E come ai tempi del covid hanno sguinzagliato i vigili urbani per fare i controlli. Aiuto. Aiuto. Mamma mia che paura. Qualcuno ha parlato di lavoro alla rete idrica. Ma bisogna avere il coraggio di dire le cose come stanno.
Ossia che per anni i Comuni e le amministrazioni comunali se ne sono strachiavati di attuare politiche di contenimento e di risparmio e hanno sperperato uno dei beni più essenziali che abbiamo. L’acqua. Ho visto comuni adoperare questo bene prezioso per dare da bere a fontane totalmente inutili con monumenti alquanto orribili fatti da un artista improvvisato che percepisce contributi per dipingere coglioni.
Ogni anno, dati alla mano, più di un comune su tre disperde nel sottosuolo il 50% di acqua e a volte anche 80. Le perdite della rete idrica al Sud pensate sono del 48%. Al Nord del 28%. Poi dopo un po’ torna a piovere e ce se ne fotte allegramente. Chi deve amministrare sostanzialmente se ne frega della mancanza di acqua avuta e torna a battagliare in consiglio comunale per il colore delle poltrone durante il cinema all’aperto.
Del resto questa è la sciatteria italiana. Dovuta a gente che il giorno delle elezioni si presenta davanti le scuole elementari e poi quando la incontri durante l’anno manco ti saluta.
Il problema non è il cambiamento climatico – il mondo evolve, i cavernicoli dovrebbero essersi estinti da un pezzo – ma in tutti questi anni non c’è stato un comune, dico uno, che abbia cercato di risolvere il problema della siccità – che si presenta ciclicamente – e che sia stato così talmente intelligente e lungimirante da attuare politiche di contenimento e da riparare i guasti alle reti idriche.
Alle società che trasportano l’acqua a giudicare da tutte le volte che sono finite davanti i giudici, non chiava una sega della vostra acqua. Per loro l’acqua, col benestare dei comuni che danno gli appalti e ci fanno accordi, è gratis.
Ci sono zone d’Italia ridotte con le pezze al culo, senza acqua, che sperperano il bene incolore inodore e insapore perché le reti idriche non vengono riparate.
Sono anni che sento che c‘è il problema sprechi e ogni anno le campagne elettorali si basano su politiche che usano come preservativi le bandiere del lavoro ai giovani, della forza lavoro, della sostenibilità, della flessibilità, di tutte quelle altre minchiate a cui poi non fanno seguito. Dato che la sostenibilità non sanno manco cosa sia. Dato che il lavoro non c’è. E se c‘è, siamo arrivati al paradosso per cui non ci sono i lavoratori.
E dato che promettono anche meno tasse ma ogni anno i balzelli aumentano.
Non c’è stato un sindaco. Dico uno che si sia interessato di rimettere mano ai tubi. Di controllare la reti idriche. Di fare in modo che i contadini che hanno la fontana a casa – non curanti che devono sentire il rumore dell’acqua – a qualche ora del giorno e della notte la spengano, così da consentire un risparmio. No.
Dieci anni che faccio la giornalista e mi sono accorta che in questo Paese non c’è posto per il buon senso. Per le cose sensate. Per le cose lungimiranti. In questo Paese c’è posto solo per la gente totalmente incapace che crea danni anziché evitarli. Vedi il Ponte Morandi. Ci siamo accorti che le strade e i ponti hanno bisogno di manutenzione, che non basta tirarli su una volta e poi chi se ne frega. Per il principio per cui anche gli esseri umani non vanno al cesso solo una volta ma ci vanno quando serve, anche i tubi vanno mantenuti perché anche a loro ogni tanto scappa pisciare.
Vi auguro un buon sabato.

#sbetti

Svegliatevi!

Su La Ragione del 17 giugno 2022

Si parla tanto di salario minimo, di reddito di cittadinanza, di mancanza di personale. Ovunque ti giri c’è un datore di lavoro che non trova uno straccio di cameriere. Gli under 30 fuggono dal posto fisso e anche da quello statale. Poi parli con diversi ventenni e scopri che vogliono la giusta retribuzione, le ferie, la sostenibilità, la flessibilità, le prospettive, la possibilità di crescita, gli straordinari pagati e pure i weekend liberi. Ma di che parlano, ma di che parliamo?

Ho 38 anni e ho iniziato a fare la giornalista nove anni fa, dopo aver provato di tutto: cameriera, barista, promoter, baby sitter e insegnante di danza. Una volta sono andata perfino a vendemmiare e come compenso mi hanno dato un pezzo di pane. E non sono stata l’unica: come me, tanti altri della mia generazione e di quelle precedenti.

Ho studiato Giurisprudenza e quando ho iniziato a lavorare negli studi legali – prima che il giornalismo si accorgesse di me e io di lui – venivo ‘pagata’ mezza giornata, anche se la mattina aprivo lo studio ed ero l’ultima ad andarmene via. Le fotocopie da fare arrivavano sempre alle nove di sera, proprio quando stavi per alzare il culo dalla sedia. Un anno sono andata a innaffiare le piante a Ferragosto perché il mio capo era in ferie; andavo anche a comprare la carta igienica e, come ne “Il diavolo veste Prada”, accompagnavo il mio dominus dall’elettrauto. Non mi sentivo una schiava. In quello studio ho imparato molto. Ma soprattutto mi sono svegliata. Molte volte rimettevo soldi di mio e dei miei genitori per notifiche e spese.

Quando ho iniziato a fare questo lavoro, i pezzi nei quotidiani locali mi venivano pagati 4 euro lordi. Il massimo a cui potevi aspirare era 10. Nemmeno una tinta per capelli. Per un pezzo pagato 10 euro poi, sono stata incriminata per aver eseguito un ordine di un mio (per fortuna ex) capo di un quotidiano locale, rimettendoci due mesi di lavoro. Non mi vergogno del mio passato. Anzi. Rifarei semplicemente tutto e pure peggio. Il sacrificio, l’assenza di ferie, le deviazioni di chiamata sul tuo telefono quando c’era la partita dell’Italia e tutto lo studio era in ferie, mi hanno insegnato ad andare avanti e a non arrendermi mai.

Ora quando mi guardo attorno e parlo con qualche giovane rammollito con ancora i denti da latte, appena uscito dall’università e che si crede chissà chi perché si fa chiamare Dott e si rifiuta di fare fotocopie, mi viene da ridere. Gli mollerei uno sputo. In Veneto, quando ti laurei, i festanti intonano: «Dottore dottore del buso del cul». Credo si debba ripartire da qui. Svegliatevi.

Serenella Bettin

Quel nonno a Gardaland

Dal diario di Facebook – 19 giugno 2020

Domenica a Gardaland ero allo sportello per ricevere l’accredito quando si presentano un nonno e un nipote.
Il nonno alto magro camicia a quadri, chiara, con i bottoni semi slacciati; faceva caldo, caldo, un caldo immenso, aveva le scarpe di pezza e teneva tra le mani un portafoglio di cuoio.
Gli occhietti erano piccoli, piccoli, avrà avuto all’incirca ottant’anni, ma un nonno giovanile, atletico, si vedeva che nella vita ha fatto sport.
Il nipote tutto scapigliato scontornato e dissipato avrà avuto all’incirca dieci anni. Aveva i capelli lunghi biondi che gli scendevano lungo il viso. Indossava una tuta rossa e aveva l’aria di uno che non ha paura.
Entrambi molto calmi si sono presentati all’ufficio informazioni, che stava giusto il metro accanto a quello degli accrediti.
Loro non hanno fatto come i maleducati che c’erano prima che si sono messi a urlare perché la coda sul Blue Tornado era di venti minuti anziché dieci, con tutte quelle ore che passavamo in fila fino agli anni scorsi. Era questo il bello di Gardaland. Sapere che avevi l’attesa. L’adrenalina che aumenta. Sapere che ci potevi ripensare e quando stava per avvicinarsi il tuo turno per quella giostra che ti solleva da terra, che ti tiene a penzoloni sul mondo, che ti catapulta su e che ti ributta giù, ecco sapere che potevi girare i tacchi e andartene.
Ma dicevo: loro non sono stati maleducati.
Il nonno si chiedeva come mai quest’anno non riuscisse, come tutti gli altri anni, a fare l’abbonamento per lui e il nipote per la stagione estiva. Quest’anno i biglietti e gli abbonamenti sono in formato digitale. Non esiste più che una persona si rechi nell’ufficio, dia la propria carta d’identità e possa fare il tutto, no. Anche se poi te lo fanno lo stesso. Quest’anno l’abbonamento si può fare online. Dal sito. Così come un biglietto. Prenotando. Compilando un modulo o scaricando l’app. L’app.
Cosa ne sa un nonno di cosa sia l’app se non ha nemmeno il telefonino. Questo nonnetto infatti è andato lì e ha detto alle cassiere che lui non ha nemmeno il cellulare, che non sa come si usi, che la figlia gli ha detto di mandare una mail, ma lui la mail non sa nemmeno cosa sia. Continuava a ripetere la parola mail come un bambino che vede la palla e continua a dire palla palla palla fino a che non la prende.
Il ragazzino lo ascoltava paziente e ha avuto un rispetto del nonno da inchinarsi. Non si è mai permesso di interferire. Di dire come sento tanti altri: “stai zitto tu, non capisci niente”.
E ne ho visti tanti a Gardaland, nonni, che nonostante le misure, nonostante le distanze, nonostante Gardaland non sia più lo stesso Gardaland per figli e nipoti, ma sia un Gardaland in sicurezza, ma in relax, ecco ho visto tanti nonni mettercela tutta.
Addirittura ora per ordinare un caffè al bar, devi scansionare il codice a barre col tuo telefonino che trovi al tavolino, ma se sei anziano allora il personale ti viene in soccorso. Io ho provato a dire che non ero in grado e mi hanno aiutato lo stesso.
Così, quando me ne sono andata dall’ufficio informazioni – accrediti, il nonnetto che voleva l’abbonamento era ancora lì.
La ragazza al front office gli ha detto, per rincuorarlo, che l’abbonamento quest’anno vale anche per il 2021.
Lui ha guardato il nipotino e mettendogli una mano sopra il capo gli ha detto: “Se ci sono ancora figlio mio, se ci sono ancora, sennò ci verrai da solo”.
Mi si è strutto il cuore.
Ho tirato fuori una sigaretta.
E ho tirato su le mascelle.

#sbetti

AAA Cercasi camerieri. In giro per le vie delle città

Sono andata a raccogliere alcune storie e testimonianze di gestori dei locali che faticano a trovare personale e di giovani invece che vorrebbero lavorare ma che trovano offerte così talmente penose che è meglio lasciar perdere.

Se da un lato trovo titolari disperati costretti a spazzare per terra – nei locali non si trovano nemmeno più gli indiani – dall’altro ascolto ragazzi a cui offrono 1800 euro al mese, sette giorni su sette, 12, 13 ore al giorno, senza vitto e alloggio. Che uno pensa: “Buono 1800”. Ma se poi uno va a guardare effettivamente, sono 5 euro l’ora, e un affitto ti costa anche 1000 euro al mese.

In tutto questo si aggiunge la mancanza di personale qualificato. La mancanza anche solo di camerieri. E una delle cause di questo tracollo lavorativo è il reddito di cittadinanza. Una misura atta a rinfoltire i divani, con gente pagata per non fare nulla. Molti gestori dei locali mi hanno confermato che qualcuno si presenta al colloquio e pretende di essere preso in nero altrimenti perde il sussidio. Un obbrobrio.

Il mio servizio su Controcorrente Rete 4 Mediaset.

Madri che ammazzano i figli: “Quando inizia deve finire”

Libero giovedì 16 giugno 2022

Quando l‘altro giorno ho saputo che la madre di quella povera bimba a Catania aveva confessato, ero a Cesena per un servizio e in auto con un collega ho detto: “Dio mio che orrore. Non può essere una cosa del genere”.
Quando capitano questi fatti orrendi per giorni ci penso sempre. Mi fa paura l’essere umano. L’instabilità. La precarietà delle menti di padri e madri che hanno messo al mondo figli.
Ho il terrore della precarietà delle menti del genere umano.
Poi ieri mi è capitato di intervistare Vincenzo Maria Mastronardi, psichiatra, criminologo, docente all’Università.
Il suo libro “I serial Killer”, una notte quando ancora studiavo Legge, l’avevo divorato tutto.
Non avrei mai pensato di riuscire un giorno a intervistarlo. E ieri quel giorno è arrivato.
Nel 2007 Mastronardi ha scritto: “Madri che uccidono”.
Quando gli ho chiesto: “Ma come è possibile che una madre non si fermi? Non le viene in mente: “oddio cosa sto per fare?”.
Come è possibile che non risponda a quel “mamma mamma mamma mamma”.
“No – mi ha risposto lui – quando comincia deve finire”.
In quel momento mi sono sentita morire.
Quel “quando comincia deve finire” mi ha lasciato pietrificata.
Dietro queste madri che ammazzano i figli si nascondono i più grandi drammi, animi squartati mai guariti.
Oggi su Libero con Vittorio Feltri 👇

Vincenzo Maria Mastronardi, psichiatra, criminologo clinico, già direttore della cattedra di Psicopatologia Forense all’Università La Sapienza di Roma, nel 2007, tra le suenumerose pubblicazioni (32 libri), ha scritto: “Madri che uccidono. Le voci agghiaccianti e disperate di oltre trecento donne che hanno assassinato i loro figli”. Titolare della cattedra di Teoria della devianza e criminogenesi all’Università degli Studi internazionali di Roma è anche Garante dei diritti delle vittime di reato (Associazione difensori civici italiani). Seguendo queste donne ha visto i più grandi drammi. Gli squarci più profondi di anime mai guarite.

Professor Mastronardi, il caso di Catania. Cosa si nasconde dietro una madre che ammazza la figlia? “Io ho visitato e periziato 17, 18 mamme figlicide e tutte fanno una tale pena. Indipendentemente dalla capacità di intendere e di volere, tutte hanno o una patologia pregressa o una follia mostruosa della normalità razionale con una bassa soglia di tolleranza allo stress”.

Questa follia esplode così? “Ci può essere una psicosi post partum che può durare anche un paio d’anni o una depressione maggiore con una visione pessimistica di sé e del mondo e del futuro, o a monte una schizofrenia paranoide o un disturbo psicotico per esempio uno scompenso ormonale. Oppure una patologia del comportamento”.

Cioè? “Una bassa soglia di tolleranza allo stress; alle spalle ci possono essere lutti, abbandoni reali o amplificati, separazioni”.

Quanto i divorzi incidono? “Possono incidere se vi è un terreno psicopatologico”.

Cioè preesistente? “Sì, altrimenti sé tutte le separazioni dovessero portare a figlicidi…”.

Quali sono i segnali? “Un mutamento del proprio comportamento che dapprima è sereno e tranquillo e poi si manifesta con estemporanee azioni aggressive mai verificatesi prima, come gettare a terra cose, o l’acqua bollente addosso al figlio”.

Qual è la differenza tra una patologia clinica e una comportamentale? “Nella patologia del comportamento la persona ha la possibilità di scegliere se lasciarsi andare all’ istinto omicida oppure no”.

Cioè la madre capisce cosa sta per fare? “Sì, invece nella psicosi la persona vede tutto nero ed è costretta ad agire proprio perché è la malattia stessa a condizionarla”.

Ma come è possibile che una madre alla settima coltellata non si fermi? Non le viene in mente “oddio cosa sto per fare”? “No, quando comincia deve finire. Come se fosse un motore che si mette in moto e non riesce più a fermarsi. C’è anche la sindrome di Medea, uccido per gelosia tuo figlio perché tu mi stai cornificando”.

Qualcuno sacrifica i figli per punire il compagno o compagna? “Sì”.

Come quel padre che ha chiuso il figlioletto di 7 anni, dopo averlo ammazzato, dentro l’armadio. “Esattamente”.

Ma il caso Cogne. Ammesso sia stata lei. È veramente possibile che uno non ricordi? “Sì è possibile. A me è capitata una persona che aveva ucciso la figlia col filo del citofono e aveva scoperto di averlo fatto due anni dopo, sognandolo”.

Cosa accade nella mente? “C’è una rimozione del reato compiuto. La mente entra in autoprotezione per proteggere se stessa e per non star male”.

C’è stato un aumento di figlicidi? “In vent’anni in Italia abbiamo avuto 480 casi. Tra il 2017 e il 2018 pare ce ne siano stati 36”.

L’essere costretti a casa con i figli, in tempi di pandemia, può influire? “Dopo la pandemia è successo qualcosa. Da un’ indagine fatta su mille famiglie è emerso che alcune riuscivano a compensare bene, altre famiglie si sono spaccate. Come se la pandemia fosse una sorta di spartiacque”.

Serenella Bettin

“Giovani in grado di cambiare il mondo che si divertono a fare i vandali. Che tristezza”

Intervista uscita su Libero giovedì 9 giugno

Marco D’Elia ha 25 anni. Nato il 26 marzo 1997 a Peschiera del Garda, di professione fa il modello. E l’influencer come dicono i giovani di adesso. Laureato in Scienze della Comunicazione, nel 2018 si aggiudica il titolo di miglior modello d’Europa. La prova che i belli possono essere anche intelligenti. Nel 2019 viene eletto Mister Mondo Italia. Ogni giorno per un paio d’ore si allena e scolpisce il suo fisico. Il 2 giugno, il giorno del bordello a Peschiera, è uscito per fare la sua solita camminata e si è imbattuto in questa orda di vandali e teppisti che ha devastato tutto, disturbato anziani donne famiglie, molestato ragazzine. Al ritorno a casa ha pubblicato nel suo profilo un video di attacco verso questi buontemponi chiedendo se fosse quello il modo di divertirsi. “Che tristezza – ha scritto – Con tutto il potere dei social, ragazzi giovani che possono cambiare il mondo decidono di fare questo”.

Noi di Libero l’abbiamo contattato. 

Marco, lei era lì quel giorno? “Stavo andando a camminare e ho visto questa orda di ragazzi che impediva il passaggio e una schiera di poliziotti antisommossa”.

Cosa ha visto esattamente? “Ragazzi con le casse della musica. Si arrampicavano sui pali. Cercavano di farsi spazio tra i poliziotti ma non riuscivano a passare”.

Inveivano contro le famiglie? “Quando sono arrivato io il momento peggiore doveva ancora arrivare. Li ho sentiti insultare”.

Quanti erano? “Un bel po’”.

Tutti nordafricani? “Ho visto varie etnie. Tanti ragazzi di colore. Ma anche ragazzi occidentali, soprattutto ragazze devo dire. E gente dell’Est”.

Lei ha pubblicato un duro intervento nei suoi social lanciando un messaggio ben preciso. “Sì perché per me è una cosa che non sta né in cielo né in terra. Io sono di una generazione che è più o meno la stessa ma è il piccolissimo step prima, la differenza si vede ed è tanta”.

Oggi cominciano le vacanze estive e ora dei ragazzini “giocano” a buttarsi addosso alle auto in corsa. “Noi quando finivano le scuole andavamo a mangiare un gelato, andavamo a Gardaland. Oggi questi giovani si paragonano ai rapper americani che fanno casino”.

Alcuni dicono che lo fanno per aumentare le visualizzazioni su TikTok. Può una persona avere il cervello stuprato da un social? “Il problema non è il social. Ma è una questione di attenzioni. Tempo fa le attenzioni si ricercavano in altro modo. Oggi si associano le visualizzazioni al successo nella vita. Che poi non corrisponde mai al vero. Se minacci la polizia non hai successo”.

Come siamo arrivati a questo declino così negativo? “Ma loro forse non sono partiti con cattive intenzioni”.

Bè alt. C’erano video eloquenti prima del raduno dove minacciavano di fare casino e conquistare Peschiera. Il sindaco stesso della sua città ha detto che è una guerriglia che poteva essere evitata. “Sì che ci fosse la voglia di fare casino ok, ma non credo si aspettassero quello che è successo. Poi quando arriva la polizia i ragazzi si gasano”.

Se lei a 25 anni riesce a capirlo, perché uno di 16, 18 no? È un problema anche dei genitori? “Secondo me c’entrano i social. Se uno si paragona al rapper americano ovvio che è così”.

Quindi sarà sempre peggio. “Io sono ottimista e spero che questo trend di paragone di negatività sia al picco”.

Può esserci un altro 2 giugno? “Non so se possa ricapitare. Spero abbiano capito”.

Cioè secondo lei uno di quelli che ha molestato le ragazzine in treno può aver capito? “Più che altro non vogliono ulteriori problemi. Neanche loro credevano di fare così tanti danni”.

Possono sfogarsi in altri modi. Ci può essere qualche altra forma di violenza tra i giovani? “Esistono gruppi Telegram dove si organizzano per fare questo genere di eventi”.

Anche lei lavora con i social e ne fa un uso corretto. “Sì ma io a 16 anni mi paragonavo con i miei compagni di classe perché non avevo Instagram”.

E quindi cosa facciamo? Chiudiamo Instagram? “Eh… dovremmo iniziare a separare l’immagine social dalla vita vera. Ma avverrà naturalmente. I social al momento sono arrivati al limite dell’estremizzazione. Il mondo sta prendendo un’altra piega. L’Ucraina influirà, le persone si rapporteranno non chi mostra beni materiali ma con chi darà un valore al mondo”.

Serenella Bettin

“Qui le bianche non entrano”

Libero – domenica 5 giugno 2022

Questo è il pezzo uscito su Libero, e ripreso da Dagospia 👉 🔗 https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/dove-sono-femministe-che-strepitavano-contro-alpini-ndash-312688.htm

Che la figura del ministro Lamorgese sia vana e inconcludente è sotto gli occhi di tutti. Hai poco da dire che non è colpa della gestione dell’immigrazione se ogni fine settimana assistiamo a episodi dove bande di giovanotti, alcuni irregolari, ne commettono di tutti i colori.

L’ultimo fattaccio è avvenuto mercoledì scorso a bordo del treno regionale 2640 che da Peschiera del Garda (Verona) va a Milano. Sei ragazze trai 16 e i 17 anni sono state molestate, palpeggiate e insultate a bordo per lunghi minuti, e in modo pesante, da alcuni ragazzi nordafricani.

Per l’occasione le femministe che avevano montato tutto quel palco con gli Alpini a Rimini, dipingendo il Corpo come assatanato e in preda ai fiumi dell’alcol e degli ormoni, qui se ne sono state belle zitte. Nessuna vignetta di solidarietà postata nei canali Instagram per queste ragazze divenute prede di immigrati. Nonostante i fatti siano ben più pesanti.

“Eravamo circondate hanno raccontato – il caldo era asfissiante, alcune di noi sono svenute. Mentre cercavamo un controllore avanzando a fatica lungo i vagoni è avvenuta l’aggressione sessuale. Ridevano. Ci dicevano: “le donne bianche qui non salgono”».

Pericolose discriminazioni al contrario che negli ultimi anni sono sempre più palesi. Le ragazze, quattro di Milano e due di Pavia, avevano appena trascorso una giornata a Gardaland e volevano semplicemente tornare a casa. Ma ultimamente salire nei treni regionali è un po’ come giocare un terno al lotto. Ti ci devi infilare dentro, chiudere gli occhi e sperare di uscirne indenne. Non mancano i racconti di ragazze e donne molestate per lo più da stranieri.

Anche se si continua a far finta di nulla adducendo ogni responsabilità al maschio bianco, agli Alpini, al nostro modello di società patriarcale eccetera eccetera.

Un mese prima degli stupri di Capodanno in Piazza a Milano, una ragazza venne violentata sul treno Trenord Milano-Varese da un italiano e un marocchino e un’altra venne aggredita in stazione.

Qui a Peschiera invece, giovedì scorso, poco prima delle 18, la banchina e i binari della stazione erano invasi da centinaia di giovani, la maggior parte nordafricani.

“Urlavano e correvano”, hanno raccontato le ragazze, “hanno anche sputato sui finestrini di un treno arrivato prima del nostro”. I giovani con ogni probabilità erano lì per quel maxi raduno annunciato su TikTok per il 2 giugno proprio a Peschiera.

Sul fatto è intervenuto il presidente del Veneto Luca Zaia. «Tolleranza zero – ha detto – pensare che delle ragazze vengano importunate, molestate o che siano oggetto di aggressione nei nostri territori non esiste. Il mio appello è che ci sia tolleranza zero e che le forze dell’ordine ci mettano il massimo impegno per trovare i responsabili».

Funziona così ora. Ci si mette d’accordo sui social e ci si ritrova per “spaccare tutto”.

“Pugno di ferro contro questi delinquenti – ha twittato il deputato di Fratelli d’Italia Ciro Maschio – Lamorgese svegliati! O dimettiti!”. “Lamorgese – ha scritto Fratelli d’Italia – quali misure intende mettere in atto per fermare questi episodi?”. Ma le misure sono state spesso inesistenti e se ci sono state sono state sempre disattese. Lo abbiamo visto con i rave party, con le proteste dei no pass e no vax in piazza. Lo abbiamo visto quando la Lamorgese spiegando i disordini a Roma del 9 ottobrescorso, dopo l’assalto alla sede della Cigl, parlava di moti ondulatori.

Pochi giorni fa poi, sempre lei intervenendo alla tavola rotonda durante il congresso confederale della Cisl ha ribadito che non è colpa sua se arrivano i migranti e, lavandosene le mani, ha asserito che c’è la crisi del grano. Certo. Adesso. Ma da quando c’è la Lamorgese, fa eccezione la parentesi pandemica del 2020, la curva è tornata a salire pericolosamente.

L’immigrazione se non la gestisci ti scivola via. Inonda le strade della città come un fiume in piena. E una volta giunti in Italia se fai passare il messaggio che il Belpaese è il Paese dei Balocchi, non c’è più un freno a nulla. Infatti, una volta arrivati qui, la maggior parte fa quello che vuole.

Queste povere ragazze finite in mano ai nordafricani mentre stavano subendo le violenze, non hanno nemmeno chiamato la polizia per paura di essere picchiate. Hanno chiamato i genitori che a loro volta hanno chiamato i soccorsi ma non ha risposto nessuno.

“Abbiamo chiamato noi il 112 ma nessuno è intervenuto» dicono madri e padri. Le giovani sono state aiutate da un ragazzo che le ha fatte scendere alla fermata successiva che è quella a Desenzano del Garda. Con l’unica differenza che queste hanno trovato il coraggio di denunciare alla Polfer. Le femministe di “Non una di meno”, non avendo niente da dire, no.

Serenella Bettin

Sempre peggio. E a Legnago spunta un machete

Libero 8 giugno 2022

La procura di Verona ha aperto due inchieste. La prima riguarda i disordini in città e in spiaggia a Peschiera del Garda. La seconda, concentrata sulle molestie sessuali, parrebbe non escludere l’aggravante dell’odio razziale. Perché di questo si è trattato. E ora il sospetto dei pm è che le ragazzine molestate siano di più. 

È il 2 giugno scorso quando a Peschiera del Garda, un’orda di 2500 persone, la maggior parte nordafricani, assale letteralmente la cittadina balneare piena di famiglie e turisti. Si sono messi d’accordo su TikTok e hanno organizzato la “Giornata Africa”. Quella per andare alla conquista della città. 

Il sindaco di Peschiera del Garda, Orietta Gaiulli, parlerà di “Guerriglia urbana”. E infatti a Peschiera accadrà il finimondo. Pugni, botte, coltellate, ragazzi che saltano sopra le auto parcheggiate; immigrati che se la prendono con gli anziani, devastazioni, atti vandalici. Sul treno che da Peschiera va a Milano poi, accade che sei ragazzine, tutte minorenni, vengano molestate e palpeggiate da ragazzini nordafricani che dicono loro: “qui le donne bianche non entrano”. 

E ora la Procura ha aperto due fascicoli. Per il primo l’ipotesi è di rissa aggravata, danneggiamenti e tentata rapina. Il secondo si focalizza sulle molestie sessuali denunciate dalle adolescenti lombarde. Non si esclude l’ipotesi dell’aggravante razziale sulla base delle dichiarazioni delle vittime. “Mentre ci toccavano senza lasciarci scampo – ha raccontato una delle adolescenti agli investigatori – ci urlavano “qui non vogliamo italiani”. Il branco parrebbe avere le ore contate. Trenta gli identificati. E al vaglio degli inquirenti ci sono i racconti e i video girati e messi in rete. Nessuna delle ragazzine finora è stata in grado di riconoscere uno degli aggressori. Se non qualche tatuaggio. O qualche capo d’abbigliamento. Intanto lungo il litorale cresce l’allarme sociale anche dopo i fatti dell’anno scorso. Il comune di Jesolo ha chiesto rinforzi. E il presidente del Veneto Luca Zaia propone di abbassare l’età di punibilità. “L’Italia non è può essere il Bengodi dell’ impunibilità – ha detto- è stata una devastazione. Sono atti delinquenziali che devono essere puniti”. La Lega chiede l’aggravante dell’associazione per i reati commessi dai minorenni. “È stata una cosa allucinante – dice a Libero il sindaco di Castelnuovo del Garda Giovanni Dal Cero – c’è terrore e spavento da parte delle persone con l’incubo che questi possano tornare”. E l’incubo di questi tempi lo stanno vivendo anche i cittadini di Legnago altra città sempre in provincia di Verona. Nell’ultimo mese già quattro – cinque episodi di risse e rese dei conti tra comunità di marocchini. Tanto che lunedì sera è spuntato anche un machete. Il presidente del consiglio comunale Paolo Longhi ha scritto su Facebook: “la misura è colma. Residenti esasperati. L’amministrazione intraprenderà ogni iniziativa per risolvere questa situazione indegna”. 

Serenella Bettin

Peschiera del Garda – 2 giugno 2022