Svegliatevi!

Su La Ragione del 17 giugno 2022

Si parla tanto di salario minimo, di reddito di cittadinanza, di mancanza di personale. Ovunque ti giri c’è un datore di lavoro che non trova uno straccio di cameriere. Gli under 30 fuggono dal posto fisso e anche da quello statale. Poi parli con diversi ventenni e scopri che vogliono la giusta retribuzione, le ferie, la sostenibilità, la flessibilità, le prospettive, la possibilità di crescita, gli straordinari pagati e pure i weekend liberi. Ma di che parlano, ma di che parliamo?

Ho 38 anni e ho iniziato a fare la giornalista nove anni fa, dopo aver provato di tutto: cameriera, barista, promoter, baby sitter e insegnante di danza. Una volta sono andata perfino a vendemmiare e come compenso mi hanno dato un pezzo di pane. E non sono stata l’unica: come me, tanti altri della mia generazione e di quelle precedenti.

Ho studiato Giurisprudenza e quando ho iniziato a lavorare negli studi legali – prima che il giornalismo si accorgesse di me e io di lui – venivo ‘pagata’ mezza giornata, anche se la mattina aprivo lo studio ed ero l’ultima ad andarmene via. Le fotocopie da fare arrivavano sempre alle nove di sera, proprio quando stavi per alzare il culo dalla sedia. Un anno sono andata a innaffiare le piante a Ferragosto perché il mio capo era in ferie; andavo anche a comprare la carta igienica e, come ne “Il diavolo veste Prada”, accompagnavo il mio dominus dall’elettrauto. Non mi sentivo una schiava. In quello studio ho imparato molto. Ma soprattutto mi sono svegliata. Molte volte rimettevo soldi di mio e dei miei genitori per notifiche e spese.

Quando ho iniziato a fare questo lavoro, i pezzi nei quotidiani locali mi venivano pagati 4 euro lordi. Il massimo a cui potevi aspirare era 10. Nemmeno una tinta per capelli. Per un pezzo pagato 10 euro poi, sono stata incriminata per aver eseguito un ordine di un mio (per fortuna ex) capo di un quotidiano locale, rimettendoci due mesi di lavoro. Non mi vergogno del mio passato. Anzi. Rifarei semplicemente tutto e pure peggio. Il sacrificio, l’assenza di ferie, le deviazioni di chiamata sul tuo telefono quando c’era la partita dell’Italia e tutto lo studio era in ferie, mi hanno insegnato ad andare avanti e a non arrendermi mai.

Ora quando mi guardo attorno e parlo con qualche giovane rammollito con ancora i denti da latte, appena uscito dall’università e che si crede chissà chi perché si fa chiamare Dott e si rifiuta di fare fotocopie, mi viene da ridere. Gli mollerei uno sputo. In Veneto, quando ti laurei, i festanti intonano: «Dottore dottore del buso del cul». Credo si debba ripartire da qui. Svegliatevi.

Serenella Bettin

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