Tempo di scelte per i maturandi

Tempo di scelte per i prossimi maturandi che si troveranno dopo gli esami di stato a dover scegliere se intraprendere il percorso universitario o addentrarsi direttamente nel mondo del lavoro. Alcuni hanno già le idee chiare, altri no e di certo il sistema universitario come viene visto ora non aiuta nella scelta, anzi a volte sembra quasi un deterrente. Professori irraggiungibili, lezioni sospese, incontri mancati, manuali da capogiro con prezzi altrettanto folli e tasse alle stelle. A questo ci aggiungiamo le lamentele dei laureandi e dei laureati costretti a procacciarsi studi professionali, uffici, aziende e amministrazioni che permettano loro di fare un minimo di esperienza. Ma le cose stanno veramente così? Attualmente se consideriamo la struttura del sistema universitario, prima facie, verrebbe da dire si, le cose stanno esattamente così, l’università ti prepara, ti fornisce una nozionistica e una preparazione in relazione alla tua materia e poi ti sgancia dal porto in balia delle onde del mercato del lavoro. Tutto ciò accade perché non esistono strutture che facciano da ponte diretto tra l’Università e il Lavoro, i corsi sono stati impostati secondo il sistema del 3 più 2 e se sbirciamo tra qualche programma di una qualche laurea specialistica, ci accorgiamo che al bienno non si studia niente di meno che le materie del triennio però in modo più approfondito. Questo vale per quasi tutti i corsi, tranne forse per Medicina che è rimasta fedele ai suoi 6 anni e Giurisprudenza che subito ha abbandonato l’illusorio sistema della laurea triennale. Altro aspetto da considerare è che spesso per alcuni corsi sono necessari e obbligatori dei tirocini; tirocini che si svolgono presso strutture convenzionate ma che quasi sempre sono gli stessi studenti a scovare e ricercare. L’Università offre qualche Open Day, incontri con le aziende ma poi se vuoi entrare devi avere gli agganci giusti. Ciò avviene sia ante lauream, sia post quando ormai il tuo percorso universitario è finito e non vedi l’ora di cominciare a lavorare. Già cominciare, il problema sta proprio qui, ci sono studenti di legge e magari aspiranti avvocati che non hanno mai messo piede in uno studio legale perché l’università ora come ora non ti impone di accedervi prima. Questo può essere positivo da un lato perché ti consente di studiare studiare studiare e approfondire, ma negativo dall’altro, se si pensa che poi, quando esci, nel marasma è anche facile perdersi. Tuttavia, nonostante questi dati allarmanti e sconvenienti, i laureati risultano essere ancora i meglio retribuiti e la laurea sembra aver garantito i migliori esiti occupazionali, nonché una certa corrispondenza tra le competenze richieste e quelle effettivamente possedute. Basti infatti considerare che se il tasso di disoccupazione dei laureati (25-34 anni) ha avuto un incremento del 46% dal 2008 al 2012, quello dei diplomati (stessa fascia d’età, stesso periodo) è salito all’85%. Fatto sta che, complice il periodo che il Nostro Paese sta attraversando, occorrerebbe prevedere ulteriori canali di collegamento, ulteriori ponti in grado di indirizzare lo studente, il laureando, il laureato favorendo così l’incontro tra domanda e offerta, l’utilizzo di banche dati e il facile monitoraggio dei curricula. Tali attività e canali comunicativi sarebbe bene però avvenissero, se non dal primo e secondo anno di studi, almeno dal terzo, in modo da permettere ai discenti di toccare con mano ciò che apprendono dai libri. Un anziano professore diceva che la cultura si fa con il sedere, ed è vero, quante ore passate seduti sopra i libri a leggere, sottolineare e ripetere, peccato che questo a volte non basti.
Serenella Bettin

Diciamo che questa sera sono abbastanza stanca. Un bagno caldo, un caffè, una sigaretta e posso andarmene a dormire.

Candy

Ciao, sono Candy e sono una candela. Ti interessa la mia storia? Devi sapere che otto anni fa dopo che “mastromachine” mi costruì, finii imballata in mezzo a tremila candele sugli scaffali di un negozio di articoli regalo, forse il Center Casa, se non ricordo male. Me ne stavo tranquilla sopra lo scaffale a flirtare con l’angioletto di terracotta che mi stava davanti e sul più bello che mi stavo per concedere, una sera poco prima di Natale, una manina mi agguanta e mi prende con sè. Era un bimbo che incuriosito dalla mia forma mi prese in mano e cominciò a farmi roteare su e per giù. Allora il bimbo andò dalla mamma e le chiese se potevano comprarmi, in fondo per un euro e 89 centesimi, ma la mamma rispose che di strafanti a casa ne avevano tanti e che mi avrebbero regalato alla zia Gemma. Così mi ritrovai vestita di un vestito a stelle e a strisce che poi mi tolsero violentemente e rinchiusa in una credenza in compagnia di piattini e bicchierini. Lì conobbi Patty, una piattina simpatica e Bricco, un figo spaziale ma ubriaco dalla mattina alla sera. Dopo un anno però dovetti abbandonarli, mi comprarono un vestito nuovo o forse usato e finì inesorabilmente tra le credenze di una vecchietta che poi scoprì essere la zia della zia Gemma. E così mi feci nuovi amici, ogni anno a Natale traslocavo, e mi ritrovavo sempre a casa di qualcuno zio della zia o nonno dei nipoti della suocera della zia eccetera eccetera. Ora a distanza di otto anni non so bene in quale casella dell’albero genealogico sono finita. So che tra poco è Natale e io avrò un vestitino nuovo. (S.B.)

Intervista a Fulvio Ervas “In una settimana per 13 ore al giorno ho ritrovato l’energia per scrivere questo libro”

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Un orecchino al lobo sinistro, una sciarpa scozzese e una voce delicata. Così si presenta Fulvio Ervas nella Sala ovale di Villa Farsetti la sera del 6 dicembre per presentare il suo libro: “Se ti abbraccio non aver paura”, libro che si discosta da quello che è il suo genere ma che ha comunque riscontrato notevole successo. Un “libro sull’intimità” così lui l’ha definito dove l’importante è riconoscere l’altro e che ha colpito un pubblico vivente l’autismo. Il romanzo infatti racconta la storia vera di un padre che imbraccia, in sella alla sua moto, il figlio autistico Andrea e insieme percorrono le strade dell’ America per ben 78 giorni. Un libro che descrive perfettamente la condizione dell’essere autistici, frutto di testimonianze e di vita vera che lo stesso Ervas ha vissuto con Andrea. “Egli è venuto a casa mia” racconta Fulvio, “metteva in disordine la stanza, faceva di tutto, toglieva tutti i ciuffi d’erba dal giardino. Avevo già avuto esperienza di ragazzi autistici e Franco mi ha raccontato la vita di Andrea 24 ore al giorno, ma ad un certo punto della storia ho perso l’energia, non riuscivo più a scrivere e così ho detto a Franco e alla mia casa editrice che non ce la facevo; un giorno poi è successa una cosa, sistemando una tapparella di mia figlia mi sono rotto un piede e son dovuto rimanere a casa da scuola una settimana intera, così su quel libro c’ho passato 13 ore al giorno e alla fine è uscito” Un’opera che parla anche del rapporto tra padri e figli, rapporto che sembra non esserci più o se c’è, vi è in forma lieve dato che i padri, anche a detta di Ervas sono sempre più assenti. Un libro che fa parlare e che ha unito, i protagonisti, l’autore e i lettori.

#sbetti

Quel luogo fatto di vento e cancelli, visita al carcere di Padova

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Un grido di gabbiani, uno stormire di foglie e un freddo pungente. Entrare in quel luogo era come entrare in un’altra dimensione dove il tempo pareva essersi fermato. Sbarre di un cancello che si aprono, sbarre che si chiudono e tu rimani immobile in attesa che qualcuno ti dia il via libera; così per quattro, cinque, sei volte, il tutto scandito da tacchi decisi di uomini di legge. Poi la fine del tunnel e uno spiraglio di luce. Su per le scale  le celle(anche se preferisco camere), tutt’ attorno muri scrostati dal prosciugarsi del  tempo e corrimano traballanti dalla rabbia azzittita. Sembra di essere in uno di quei film americani, gli enormi palazzoni defenestrati, i quartieri malfamati dove c’è sempre qualche sacchetto che vola al soffio del vento. Poi il silenzio, totale. In cima alle scale le stanze, vuote, non c’è nessuno, se ne sono tutti andati, chi al lavoro, chi all’università. Un libro di diritto internazionale poggia sopra un letto con il pile arancione e una matita intralcia le pagine del libro, i passaggi obbligati in vista dell’esame. Qualche metro più in là la stanza di un ragazzo, italiano, iscritto alla facoltà di Scienze Politiche, ha il poster del Che affisso alla porta.