“Io rapinato. Non ho più un soldo e devo risarcire i rapinatori”

La mia intervista uscita su Libero il 7 dicembre 2023

Via Garibaldi 71, dove raggiungiamo Mario Roggero, a Grinzane Cavour in provincia di Cuneo, è la via principale del paese. Impossibile, pensi, che qualcuno si sogni di assaltare una gioielleria in pieno centro. Eppure. Eppure erano le 18.36 di mercoledì 28 aprile 2021. Tre uomini a volto coperto fanno irruzione nel negozio di Roggero. Prima entra uno. Poi un altro. Il primo minaccia la figlia di Roggero con una pistola. La lega con delle fascette. L’altro aggredisce la moglie minacciandola con un coltello alla gola. E un altro è in auto. La rapina dura sei minuti. I momenti sono concitati, lui non sa che fare. Quando i banditi sgusciano fuori, Roggero prende la pistola, esce dal retro del negozio e li insegue sparando i colpi della sua 38 special. Due rapinatori, Giuseppe Mazzarino di 58 anni, e Andrea Spinelli di anni 44, muoiono. Il terzo, Alessandro Modica, rimane ferito a una gamba. Lunedì 4 dicembre scorso, la Corte d’assise di Asti ha condannato Roggero a 17 anni di reclusione, oltre alle spese processuali, spese legali, al risarcimento dei danni, e alle provvisionali “immediatamente esecutive”. Il tutto, come risulta dal dispositivo, per un totale di: 502.120 mila euro. Oltre mezzo milione. “Io non ho più un soldo – racconta Roggero a Libero – Non ho più niente. Ho due mutui ipotecari sulla casa”.

Lei aveva già versato 300 mila euro ai parenti dei rapinatori.

“Sì quelli erano i due alloggi di mia madre. E mi sono indebitato con le banche di altri 300 mila euro”. 

Ma queste provvisionali, sono in aggiunta ai 300 mila già versati?

“Assolutamente sì”.

Le famiglie dei rapinatori avevano chiesto molto di più.

“Avevano chiesto quasi tre milioni, per la precisione: 2 milioni e 885 mila euro. Ma lei si rende conto in che Stato viviamo. Il rapinatore può chiedere il risarcimento del danno: follia. Anche perché che avrei dovuto fare in quegli attimi? Non avevo alternativa”. 

Le va di ripercorrerli?

“Ero sul retro in laboratorio, sento suonare, guardo il monitor e vedo una persona di circa un metro e 90 con un cappello ben calzato sugli occhi e la mascherina. Poi entra un altro, più piccolo, ma sempre stesso giubbotto, stesso cappello e stessa maschera”. 

Ma erano mascherati quindi? “Sì ma all’epoca ancora si usavano le mascherine. Il primo si gira, guarda l’altro, va al bancone di mia moglie e tira fuori un coltello. Passa dietro il banco, prende mia moglie per un braccio e le punta il coltello alla gola. L’altro tira fuori una pistola e la punta in faccia a mia figlia”.

E poi?

“Quello più piccolo sferra un pugno terribile alla mandibola sinistra di mia moglie. Un pugno bestiale, lei ha fatto un urlo atroce, io apro la porta, mi tuffo verso di loro e attacco il più alto”. 

A mani nude? “Si. Avevo in mente lo spavento terribile dell’altra rapina”.

Quella del 2015?

“Sì quella ci ha sconvolto la vita. Mi hanno massacrato di botte, mi hanno spaccato tre costole, il naso. Leso una spalla che ho dovuto far operare spendendo 12 mila euro, calci da rigore in tutte le parti del corpo. Una cosa bestiale. E sa quanto mi hanno dato di risarcimento?”. 

Quanto?

“Io avevo diritto a 85 mila euro e mia figlia a 15 mila. Mi hanno versato 100 euro in due tranche”.

Lei qui aveva reagito? “Erano in due a picchiarmi, alla fine mi hanno legato, perdevo parecchio sangue dal naso e ho dovuto mettere la faccia di sbieco sul pavimento perché non riuscivo a respirare”.

Invece quel giorno, nel 2021 intendo, usa la pistola.

“Quando accadono queste cose pensi a proteggere la vita dei tuoi cari. Quando i banditi sono usciti di corsa, Laura, mia figlia, era legata ma io non vedevo mia moglie. Loro sono saliti in auto e io ho visto che uno aveva ancora la pistola in mano”. 

Continui.

“Il primo colpo l’ho sparato contro lo specchietto retrovisore. Il mio obiettivo era quello. Volevo fermare la macchina. Però non riuscivo a vedere. E se ci fosse stata mia moglie lì dentro? Ho visto Spinelli che stava salendo in auto e mi puntava ancora la pistola. Così gli ho sparato nelle gambe, ma lui è alto, l’ho preso sopra l’anca”.

Ritiene di aver esagerato?

“Assolutamente no. Non vedevo mia moglie, e quando ho visto che non c’era, l’altro aveva ancora la pistola. In quel momento dovevo difendermi, perché pensi che se spara prima lui tu sei morto”.

Sparerebbe ancora?

“Col senno di poi no. Se uno punta ovvio che sparo. Che ne so se uno ha la pistola giocattolo. Io in quel momento mi sono visto morto. Quando sono uscito, io credevo che mia moglie fosse in auto con loro perché la tenevano legata”.

Lei non aveva visto che era in negozio?

“No. Altrimenti non sparavo. Io volevo solo accertarmi che mia moglie non fosse in auto”.

Cos’ha provato durante la rapina?

“Terrore”.

Lei se l’aspettava una condanna a 17 anni.

“No assolutamente. Io mentre ero lì lunedì pensavo a un’assoluzione”. 

Lei quanti anni ha?

“Fra cinque mesi faccio 70 anni, capisce, 70. Settant’anni e dopo aver lavorato una vita, sono cinquant’anni che lavoro, io e mia moglie abbiamo vissuto qua dentro, ho 4 figlie, 8 nipoti, sempre lavorato, pagato le tasse, ecco a 70 anni la mia prospettiva è di andare dentro fino a 90? Qui siamo pazzi. C’è qualcosa che non quadra. Follia totale”.

Come la vive?

“In modo drammatico, tutto questo ha rovinato la vita non solo mia, ma anche quella di mia moglie, delle mie figlie. Una figlia che lavorava con noi, ha smesso perché ha paura anche a entrare in negozio, i miei nipoti non vengono nemmeno più a trovarci. E aspetti: dopo la rapina del 2021 altre 4 spaccate a casa, oltre alle 10 precedenti in negozio. Io non ne posso più. E la giustizia protegge i delinquenti”.

Serenella Bettin

Spara ai rapinatori. Condannato a 17 anni di carcere

Da Libero del 5 dicembre 2023

La rapina è un film muto. Dura sei minuti. Sei interminabili minuti che paiono scorrere al rallentatore. Sono le 18.36 di mercoledì 28 aprile 2021. Un commando di tre uomini a volto coperto fa irruzione nella gioielleria di Roggero in via Garibaldi a Grinzane Cavour, provincia di Cuneo. Due rapinatori muoiono e uno rimane ferito.

Il 4 dicembre scorso, Mario Roggero è stato condannato a 17 anni di reclusione per duplice omicidio volontario e tentato omicidio. Una condanna che va oltre la richiesta del pubblico ministero Davide Greco che di anni ne aveva chiesti 14. Questo ha stabilito la Corte d’assise di Asti alla fine della camera di consiglio che si è tenuta ieri intorno alle 11.15. “I giudici ora sono in camera di Consiglio – ci scrive ieri Roggero – aspettiamo”. Ma dopo un po’ l’attesa ha fatto svanire quel minimo di speranza che era ancora accesa. Roggero è stato condannato in primo grado per aver ucciso due rapinatori, Giuseppe Mazzarino, di 58 anni, e Andrea Spinelli, di anni 44. Il terzo, Alessandro Modica, venne ferito a una gamba. Modica era riuscito a fuggire ma era stato arrestato poche ore dopo. Quel giorno i rapinatori minacciarono con un coltello alla gola la moglie di Mario, la colpirono con un violentissimo pugno, legarono con delle fascette la figlia e massacrarono di botte lui. La rapina durò sei minuti.

Sei interminabili minuti.

Se si guarda il video i minuti paiono scorrere al rallenty. Senza suoni. Nè voci. Come in un film muto. Ma per le vittime sono attimi di angoscia e terrore. Il video riprende anche il momento in cui il gioielliere esce dal negozio e insegue i banditi, ormai in auto, sparando i colpi della sua 38 special.

“Non potevo immaginare che la loro pistola fosse giocattolo – racconta Roggero a Libero – Quando accadono queste cose pensi a proteggere la vita dei tuoi cari. Loro stavano scappando. Ma Laura, mia figlia, era ancora legata e non vedevo mia moglie. Loro sono saliti in auto ma uno aveva ancora la pistola in mano. Così ho pensato: Non voglio succeda come sette anni fa, che scappano e poi non li prendono. In canna avevo 4 colpi. Sono 5 in tutto. Uno l’avevo sparato per aria dopo la quarta rapina nel 2014 a casa”. Roggero ci racconta di come abbia subito quattro rapine più dieci spaccate in negozio. “Quella del 2015 terribile. Ci ha sconvolto la vita. Mi hanno massacrato di botte. Mi hanno spaccato tre costole, il naso. Leso una spalla che ho dovuto far operare spendendo 12 mila euro, calci da rigore in tutte le parti del corpo. Una cosa bestiale”. 

Per la rapina invece accaduta nel 2021, quella che lo condanna a 17 anni, l’imputato difeso dagli avvocati Dario Bolognesi e Nicola Fava, aveva sempre respinto le accuse, invocando la legittima difesa e chiedendo l’assoluzione. In particolare il commerciante faceva leva sul terrore che aveva generato la precedente rapina, appunto, subita alcuni anni prima. I giudici togati e popolari, però, il 4 dicembre scorso, hanno sostanzialmente accolto l’impianto della procura, che ha accusato Roggero di duplice omicidio volontario e tentato omicidio. E la pena quindi, come detto, stabilita dalla Corte d’assise di Asti è superiore alle richieste dell’accusa, che con il pm Davide Greco aveva chiesto 14 anni di carcere. “È una follia, viva la delinquenza, che bel segnale per l’Italia”, ha commentato in tono sarcastico Roggero in aula subito dopo la lettura del dispositivo. La parola difesa stona con “un video in cui abbiamo visto un’esecuzione”, aveva detto il sostituto procuratore durante la requisitoria. Roggero ha sostenuto di avere sparato contro l’auto parcheggiata dei rapinatori perché temeva che i banditi avessero rapito sua moglie. “Le ero passato di fianco con la pistola in mano, senza vederla. Ancora adesso sono rimasto stupito quando ho visto i filmati, non ho quel fotogramma in testa”, ha detto Roggero in udienza. Da dire che Roggero alle famiglie dei rapinatori ha già versato 300 mila euro. Roggero ha due mutui ipotecari sulla casa. E si è indebitato di 140 mila euro. La Corte inoltre ieri ha riconosciuto alle famiglie dei rapinatori un risarcimento pari a 460 mila euro. Ma il risarcimento chiesto era molto di più. La quantificazione proposta ammontava a 2 milioni e 885mila euro per le sole provvisionali, cioè le cifre che un eventuale condannato deve pagare prima che arrivino i “veri” risarcimenti danni, stabiliti dal giudice civile. “Ora leggeremo le motivazioni della sentenza e faremo appello – ha detto l’avvocato Bolognesi – La mia prima impressione è che sia stata una camera di consiglio un po’ troppo breve per un caso che si presentava così complesso. Senza mettere in discussione la gravità di quello che è accaduto, i problemi che avevamo posto sul tavolo erano molto complessi, riguardavano il tema della legittima difesa putativa e le ragioni per cui il fatto è accaduto sono state esaminate da noi in modo molto articolato”.

Serenella Bettin

“Mio marito in carcere ha perso 50 chili, sta morendo”

Da Libero del 29 novembre 2023

“Per me un giorno vale l’altro, mio marito in carcere ha perso 50 chili, sta morendo, aiutatemi per favore”. Quando contattiamo Maria Angela Distefano le lacrime le soffocano la voce. Quando iniziamo a parlare, si ode un fruscio di parole, un pianto, poi il silenzio. Il tempo di riprendersi un attimo e Maria Angela diventa un fiume di parole. Ha troppo dolore dentro. Il marito Guido Gianni, 63 anni, gioielliere, è chiuso nel carcere di Palermo dal 28 maggio 2021. Ieri erano esattamente 18 mesi. Un anno e mezzo. Condannato a 12 anni e 4 mesi per duplice omicidio volontario e tentato omicidio volontario, la Cassazione gli ha inflitto la condanna a tredici anni dal fatto. Quando uscirà di lì Guido Gianni di anni ne avrà quasi 80. La sua “colpa”? Aver reagito a una rapina da parte di un commando armato per difendere la moglie e un cliente. Era il 18 febbraio 2008. Quel giorno entrano in tre dentro la gioielleria a Nicolosi, piccolo paesino alle pendici dell’Etna in provincia di Catania, una gioielleria che moglie e marito avevano messo insieme con tanto sacrificio. Maria Angela viene presa in ostaggio, picchiata, strattonata per i capelli e minacciata con una pistola puntata alla tempia e al cuore. Sono attimi concitati. Il marito non sa che fare. E a vedere la moglie così, gli sembra di morire. Muore per davvero. Quando ti accadono cose simili una parte di te muore. Se ne va. L’attimo dopo sei un’altra cosa. C’è una colluttazione. Secondo la sentenza, i banditi scappano e lui spara. Partono dei colpi, due banditi muoiono e uno rimane ferito. La moglie ha chiesto la grazia, ma pochi mesi fa la grazia è stata rigettata.

“Più passa il tempo e più si allontana la speranza di avere mio marito a casa – racconta la donna a Libero – mi creda, sto facendo di tutto. Oggi sono 18 mesi che lui è chiuso lì dentro. Un calvario e ora lui sta male. Ha perso tantissimo peso. Bisogna aiutarlo. Ho chiesto che gli vengano fatte delle analisi. Dalla taglia 63 è passato alla 48, capisce cosa voglio dire?”. La moglie racconta di come il marito avrebbe perso una cinquantina di chili. “Ha perso 50 chili – racconta – io sì gli porto qualcosa da mangiare affinché ricordi i sapori di casa sua ma anche la depressione è una brutta bestia. Si vede. Ha il colorito del volto spento smunto. Lui era un bell’uomo. Ha perso anche due denti. Che devo fare? Qualcuno mi aiuti”. Maria Angela il 16 luglio scorso ha anche scritto una pec al presidente del Consiglio Giorgia Meloni: “Sono disperata – si legge nella lettera – piango sempre e ho paura che Guido lì dentro morirà, e io insieme a lui. Presidente le parlo a cuore aperto: la prego mi aiuti a far tornare Guido alla sua vita e alla sua amata famiglia. Sta molto male e mi si stringe il cuore vederlo soffrire”. Due settimane fa ha anche scritto al Santo Padre. E ora chiede un incontro con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

“L’altro giorno era la giornata contro la violenza della donna – sbotta Maria Angela – mia figlia dice che anche io sono vittima di violenza. Sì, mi sento così. E questo non è mai stato tenuto in considerazione. Io sono stata picchiata, malmenata, minacciata con una pistola, avevo il volto tumefatto, mi hanno staccato ciuffi di capelli. Sono finita al pronto soccorso. Potevo essere uccisa. È giusto che mio marito paghi per avermi difesa? In più non ce la faccio più. Anch’io ho problemi di salute. Devo fare una visita cardiologica. E per me andarlo a trovare sta diventando un salasso”. Da casa della signora, infatti, il carcere di Palermo dista 2 ore e 48 minuti, quasi tre ore di viaggio ad andare e tre ore a tornare, in una strada che, Dio mio, è un cantiere aperto. Un tragitto che la donna, che vive con una misera pensione di 600 euro, percorre a sue spese, ogni due sabati per poterlo vedere sei ore al mese. “Quando ci vediamo lui non mi può dare nulla – ci racconta – e io non posso dare nulla a lui. Quello che gli porto deve passare mille controlli, una volta ho messo una lettera con delle parole dolci e me l’hanno fatta tornare indietro”. E i vostri incontri come sono? “Le mani ce le possiamo toccare, ma solo un bacio di sfuggita, è proibito baciarsi. Lì poi è pieno di telecamere, anche se respiri ti registrano”. Maria Angela che di anni ne ha 69 teme anche per la sua salute. “Mi scoppia il petto e il cuore, mi gira la testa, devo fare dei controlli, sono debilitata con le ossa e peggioro sempre. Occorre qualcuno che mi assista. Io sto cercando di tenere duro e lotterò fino alla fine. Ma lui mi dice che uscirà da lì dentro la bara. Mi sento persa. Non è stato condannato solo lui ma tutta la nostra famiglia. E ogni giorno che passa è sempre peggio. Io ho paura di stare da sola. Ti rovina la vita una cosa del genere. Ora viene Natale e mi sento morire”. Sarà il secondo senza di lui. La figlia Aurora che per sposarsi attende il padre dice rivolgendosi al babbo: “Da 18 mesi le nostre vite sono state sconvolte. Non hanno solo condannato te ma anche a noi. Non è giusto tutto quello che stiamo passando. Che qualcuno faccia qualcosa”.

Serenella Bettin

Ciao Giulia ❤️

L’immagine più straziante è quella del nonno di Giulia, sorretto dai parenti e che cammina a fatica sulle stampelle. La gente è incolonnata. E attende di entrare in chiesa dalla mattina presto. Sono le 8.30. Siamo in Prato della Valle, a Padova, e qui oggi nella basilica di Santa Giustina, si tiene il funerale di Giulia Cecchettin, la ragazza di 22 anni, trovata morta l’11 novembre scorso e ammazzata dal suo ex fidanzato Filippo Turetta. Come tante piccole gocce, le persone continuano ad arrivare. Ci sono padri, madri, donne, bambini, anziani, studenti, tutti si aggiungono con lo scorrer dei minuti a quella folla oceanica di gente che un po’ alla volta sta riempiendo Prato della Valle, la seconda piazza più grande d’ Europa. Incolonnati, fuori al freddo gelido, che toglie il respiro e scolora i volti, la gente attende l’arrivo del feretro. Il funerale è alle 11. Gli amici di Giulia hanno gli occhi pieni di pianto, un’amica si sorregge a un ragazzo col volto rigato dalle lacrime, qui trattenerle, oggi è impossibile.

Davanti la basilica è apparsa una gigantografia di Giulia. Viene dal comune di Vigonovo, dove Giulia abitava. “Giulia ti vogliamo bene”, c’è scritto sotto quel volto di lei così solare e allegro. La vedi Giulia, la vedi dalle foto, sempre in movimento, mai ferma, voleva vivere la sua vita, così come l’aveva disegnata lei, tratteggiando con la matita la materia dei suoi sogni. “Mia figlia Giulia, era proprio come l’avete conosciuta – ha detto il padre infatti durante la cerimonia – Nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente, un’oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà”. Qualcuno entra in un bar per riscaldarsi, oggi qui anche il cielo è coperto, al grigiore infernale di questo cielo maledetto si aggiunge il silenzio agghiacciante che sovrasta la città. Una poliziotta dai capelli neri raccolti che incontriamo al bar ha gli occhi rossi di pianto, ed è letteralmente congelata. “Non muovo più la mano”, ci dice. Sarà anche lei, qualche ora dopo, a stare sull’attenti al passaggio del feretro di Giulia. Il feretro arriva poco prima delle 11. La polizia è schierata. Ci sono oltre 200 agenti tra polizia, carabinieri, guardia di finanza, polizia penitenziaria, unità speciali anti terrorismo e anti sabotaggio. L’atmosfera è atroce, rispecchia il freddo gelido del tempo. Un’auto della polizia di Stato viene avanti con i lampeggianti mentre la protezione civile apre il varco tra la folla. Dietro, il feretro.

E a seguire le auto dei familiari. Il papa Gino, la sorella Elena, e il fratellino Davide scendono dalle vetture e vengono avanti a piedi. Si sorreggono l’un con l’altro, stretti per mano, presi sotto braccio. Il fratellino ha il volto scarnificato, consunto, protende le spalle all’indietro come a dire: ditemi che non è vero. La sorella guarda per terra, il padre cerca di farsi forza, incredulo dinanzi a quella folla. Ma quando il feretro entra in chiesa, le lacrime gli solcano il volto. Un applauso parte tra i presenti, e si propaga nell’aria, arriva dappertutto, sui balconi, sopra i tetti, dentro i bar, e tutti iniziano a batter le mani. Oggi, tutti qui, anche i taxi hanno un fiocco rosso. “Dobbiamo trasformare la tragedia in una spinta per il cambiamento – ha detto il padre Gino al termine del funerale – la vita di Giulia è stata sottratta in maniera crudele, ma la sua morte può e deve essere il punto di svolta per mettere fine alla terribile piaga della violenza sulle donne. (…). Perché da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. Anche quando sarebbe facile sentirsi assolti”. Infine ha salutato la figlia, rivolgendosi direttamente a lei: “Cara Giulia, grazie per questi 22 anni vissuti insieme e per l’immensa tenerezza che ci hai donato. È il momento di lasciarti andare, salutaci la mamma. Impareremo a danzare sotto la pioggia”. All’uscita della basilica, dove erano presenti il ministro Carlo Nordio, il presidente del Veneto Luca Zaia e una quarantina di sindaci tra le zone del padovano, veneziano e anche provenienti dal Friuli Venezia Giulia, la pioggia se n’era andata. Ad attendere il feretro di Giulia c’era lo stesso scrosciante e fragoroso applauso che l’aveva atteso all’inizio della cerimonia, accompagnato da un tintinnio sonoro di campanelli e chiavi che si muovevano a più non posso. Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato Giulia: “Il valore e il rispetto della vita vanno riaffermati con determinazione in ogni ambito, circostanza e dimensione”. In Veneto è stata giornata di lutto regionale. E anche l’università di Padova fino alle 14 ha sospeso le lezioni. In tutto qui oggi si contavano oltre 10 mila persone. Poi, alla fine della cerimonia, l’immagine più straziante. Quella del nonno di Giulia che ci passa davanti, sorretto dalle stampelle e che si fa forza abbracciandosi ai parenti. Anche per lui continueremo a fare rumore.

Serenella Bettin

Pezzo uscito su Libero mercoledì 6 dicembre 2023

Libero 6 dicembre 2023

Una volta quando il prof entrava in classe ci si alzava in piedi

Da Libero del 1 dicembre 2023

Se a voi sembra normale tutto questo. In una scuola media in provincia di Treviso, una professoressa ha dato una nota a un alunno e questo con altri suoi compagni l’ha aspettata fuori. Qui sarebbero volate frasi come: “Te la faremo pagare, non permetterti mai più”.
La prof sconvolta, ed evidentemente prostrata per l’accaduto, ha deciso di scrivere una bella lettera alla scuola e, intenzionata ad andare fino in fondo, ha scritto anche al comune chiedendo a gran voce un intervento di sensibilizzazione delle famiglie.
Il comune si è reso subito disponibile a indagare sul caso, e anche eventualmente a denunciare.
Ma dopo un primo braccio di ferro tra istituto comprensivo e amministrazione, la scuola ha deciso di procedere internamente. So ragazzi suvvia. Che sarà mai. Hanno solo aspettato fuori un professore.
Così l’altro giorno sono riuscita a mettermi in contatto con il preside dell’istituto scolastico il quale alla mia domanda: “Ma allora non è vero che la prof è stata minacciata”, ha tergiversato dicendo che alla mia domanda non avrebbe potuto rispondere.
Quando gli ho fatto notare che quello che hanno fatto gli alunni è molto grave, mi ha risposto: “È una grave forma di ineducazione. Sono dei ragazzini, la prego di considerare che sono dei ragazzini”. E quindi che vuol dire? Che è meno grave? Vuol dire che i “ragazzini” hanno fatto bene?
Aspettare una prof fuori dalla scuola, non può essere considerata una bravata, una semplice ragazzata, una cosa da ragazzini, suvvia sono minori, “dobbiamo garantire il garantismo, la scuola mira ad educare”.
Il fatto che degli studenti aspettino l’insegnante fuori dalla scuola – anche qualora non ci fossero state minacce – perché questa, ahimè, ha osato mettere una nota, la dice lunga sul futuro che stiamo costruendo. Ragazzini sempre più violenti e spavaldi. Genitori convinti di avere piccoli geni che difendono in tutto e per tutto le nefandezze dei loro figli.
Una volta – e non è retorica – quando l’insegnante entrava in classe ci si alzava in piedi. E fino a che tutti non fossero stati in piedi, l’insegnante stava fermo lì, dritto sulla porta. Me lo ricordo bene il mio professore di matematica alle scuole medie. Stava lì fermo impalato fino a che tutti non fossero in posizione eretta zitti e muti.
E una volta si dava del lei ai professori. E se qualcuno portava a casa una nota stampata sul diario con la penna rossa, i genitori non fiatavano e gli alunni anche.
Ora, la narrazione racconta storie di maleducazione e violenza e il quadro che ne esce è alquanto preoccupante.
Oltre che inquietante.
Non solo. Quando ho chiesto se i genitori fossero stati convocati, dato dato che sono passati ben 15 giorni, ho scoperto un mondo nuovo che non conoscevo, fatto di comunicazioni protocollate, carte da riempire, tempi burocratici da rispettare.
“Guardi, le regole della scuola – mi ha detto il dirigente – sono cambiate. Non sono le stesse di trent’anni fa. Ora le note si vedono dal registro elettronico. Ai genitori, che saranno convocati nel consiglio straordinario, arriva la comunicazione dell’ avvio del procedimento disciplinare. E poi le posso dire? I costumi sono molto cambiati. Io ogni giorno lavoro con genitori e ragazzini che mi danno del tu”.
Sarà. Ma a noi non pare un bel costume.
Preferivamo le note rosse con la bic.
Il lei ai docenti. E quando il prof entrava in classe, tutti in piedi. Ora si alzano, per minacciare i professori.
Il mio pezzo su Libero

sbetti

Che ne sarà di quei due genitori

In questi giorni di sconvolgimento, di estremo stordimento, un po’ alla volta, senza rendermene conto si è fatta strada in me una domanda.
Ha risalito l’arido crinale, come quando l’olio risale dall’acqua, e galleggia.
Ci galleggia sopra l’acqua, sopra quel peso maggiore che è il corpo di Giulia e sta lì e pare quasi che ti guardi. Ti guarda con i suoi occhi inorriditi ferrei, con il suo colore giallognolo, verde marcio, che pare quasi quello del vomito. E non se ne va.
Fino a che non getti il bicchiere, fino a che non lo mandi in mille frantumi. Fino a che non decidi di svuotarlo. E allora c’è questa domanda che mi è risalita in testa, come fa l’olio con l’acqua e che da due giorni sta lì e galleggia.
Che ne sarà. Che ne sarà dei genitori e del fratello di Filippo. Che ne sarà di questi due, padre e madre, travolti da una tragedia indicibile. Non si racconta. Non si narra. Non si capisce. Non si comprende. Impossibile sarebbe.
Nicola Turetta ed Elisabetta Martini vedono le loro vite distrutte. La loro vita è stata devastata per sempre. Stasera ho chiesto a un mio collega come al mondo possa esistere così tanto male, perché forse è vero, parafrasando le parole del padre, e lasciando intendere quello che un padre non vorrebbe mai per il proprio figlio, che tale vicenda “meritava” un finale diverso.
Un esito che affievolisse quel peso sul cuore, che gli togliesse l’angoscia che a vita avranno questi genitori distrutti e travolti da questo immenso dolore.
In questi giorni molti sono andati davanti casa loro – tanto che l’hanno chiamata la seconda Cogne – gente andata lì a curiosare, a farsi i selfie, a inveire contro un mostro, che rimane sempre pur sempre il figlio di qualcuno.
Gente andata lì in processione, disegnando un vero e proprio girone dantesco da turismo dell’orrore. Il turismo della morte, del dolore. Questa famiglia ha avuto per giorni davanti casa appostati giornalisti, telecamere, volti, inviati, microfoni, auto. Ma quando sarà tutto passato – non finito, perché una tragedia simile no finisce mai, te la porti dentro per la vita che ti rimane e fa un male cane, ti strugge il cuore, te lo schianta il cuore, lo prende e come un masso lo lancia sul muro e fino a che non si sarà dissanguato e spolpato continuerà a sanguinare ancora – ecco mi chiedo quando sarà tutto passato, mi chiedo che ne sarà di questi genitori. Di queste loro vite, travolte da un giorno all’altro nell’abisso dei giorni peggiori, che ne sarà di quella madre quando vedrà gli occhi del proprio figlio. Quello che lei ha tenuto in grembo. Quello che lei ha avuto in pancia per nove mesi. Quello che lei ha partorito urlando al mondo intero che stava per nascere una nuova vita. Che ne sarà di quella madre quando si accorgerà che gli occhi del figlio saranno i suoi. Che le mani del figlio saranno quelle che lei ha stretto per anni. Che ne sarà quando penserà che lei l’ha messo al mondo.
Non serve colpevolizzare questi genitori. Lasciateli in pace. Hanno già i loro macigni sul cuore.

sbetti