“Venite dentro. Bevete un caffè caldo”

Il giardiniere della casa dei miei nonni si chiama Paco. Come questo cagnolone. Ci sono finita l’altro giorno a Predappio, in mezzo alle campagne romagnole a girare un pezzo sui cinghiali. (Se ve lo siete perso su Rete 4, lo trovate su Mediaset Infinity). Non so nemmeno come. D’un tratto l’auto ci ha portato nel mezzo delle campagne. Vallate sperse e sperdute dove arriva il gelo. L’umidità. Il freddo. Lontane dal frastuono assordante e attraente del pieno del centro di città. Quello di cui non riesci a farne a meno.
Ci sono finita andando in lungo e in largo. Prima il fiume. Poi l’auto. Poi il parcheggio. Poi quella trattoria spersa dal menu scarso ma i piatti colmi. Buoni. Gustosi. Prelibati. Succulenti.
In Emilia Romagna si mangia bene. Sempre detto. La gente è accogliente. Ospitale. Il loro dialetto mi fa impazzire. Mi fa impazzire sentire la O stretta. Il “ci guardo” usato in tutte le salse, come pronome di rito. Un rito dialettale, eterno, religioso.
Mi piace la loro cantilena. Il loro modo così tortellinoso di parlare. Sono finita nelle campagne a metà tra Forlì e Cesena e c’era la nebbia. Ma da lassù si vedeva il paese. Riuscivo a distinguere i colori delle case. Le finestre, i finestroni, le lanterne. Non vedevo i volti ma riuscivo a percepirne gli umori di quelli che si svegliano la mattina presto, quando fa ancora buio pesto, per portare da mangiare agli animali. Quelli che la sera alle cinque, mentre tu sei ancora in alto mare e stai montando e girando e scrivendo un pezzo, e “scusami non ti posso rispondere adesso”, chiudono i balconi perché tra poco è ora di andare a letto.
Vedevo attorno a me questi filari di viti avvolti dalla nebbia, queste colline spaziose, alcune ruvide. Altre morbide. Queste strade battute. Le impronte dei lupi. Dei selvatici. Dei caprioli. Dei cervi. Vedevo questi cani passeggiare nell’aia. La nonna col bastone. La moglie indaffarata. La figlia cresciuta in mezzo alla campagna che va a caccia. Indossa gli scarponi. Dà una mano al padre. Lì ci sono i suoi ricordi. I suoi affetti. Il suo mondo che evolve. Il ragazzino che porta a spasso il cane. Racconti da libro Cuore.
Poi quando la nebbia si è fatta fitta. E il vento faceva vibrare le foglie, sopraggiunge quella frase, che – noi, col mare dentro, a casa sempre ma a casa mai – ti fa sentire sempre un focolare acceso. “Venite dentro, bevete un caffè caldo”.

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Mare dentro

La quiete del mare la conoscono in pochi.
Solo chi è nato al mare, o ha il mare dentro di sé, sa cosa vuol dire. Lasciarsi trasportare dalle onde. Non sentire il mal di mare perché il mal di mare è la linea perfetta del tuo vivere.
Il tuo bene. La tua salvezza.
Sentire la brezza marina che ti scompiglia e ti inumidisce i capelli. Farteli spettinare. E pregare che te li spettini più forte. Sentite il freddo che ti penetra le ossa. La brina che si deposita sui polpastrelli. Volgere lo sguardo all’orizzonte e vedere nient’altro che una distesa fitta di acqua che fa l’amore con la nebbia. Si fonde in essa. Si confonde. Si amalgama in un tutt’uno con il cielo. I pali di legno che escono dall’acqua che ti fanno intravedere la via. Alzare lo sguardo al cielo. Respirarne la quiete. E sentire che questo era quello che hai sempre sognato. Nell’attesa che finisca il giorno. Arrivi la sera e lasciarti cullare dalle onde di un letto caldo. Chiudere gli occhi. Respirare a pieni polmoni. Quell’acqua che sa di Mare.
Quel profumo di libertà, irrequietezza e ribellione che sempre ti salva nella vita, e che solo chi ha il mare dentro di sé può comprendere.

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Due ragazzini stranieri si accoltellano a scuola. Questo sì nasce nei marciapiedi

Appare evidente come i ragazzi che protestano e scioperano perché chiedono le dimissioni del ministro Giuseppe Valditara abbiano trovato un altro “buon” motivo per non fare un tubo.
Questi se la girano e se la menano come vogliono. Praticamente è accaduto che a fronte delle scazzottate davanti il liceo Michelangelo di Firenze, la preside del liceo Da Vinci, tale Annalisa Savino – eletta neo paladina dei progressisti nell’attesa che Fedez e moglie finiscano la pausa di riflessione – abbia mandato una letterina bella bella ai suoi alunni, scritta con un italiano insulso, dove invita i ragazzi a far attenzione per il ritorno delle camicie nere e dove spiega, con un pressappochismo da bar del paese, che “il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone”, ma “è nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici”.
Ora. Io non so dove la preside abbia attinto le informazioni esposte in questa penosa e dolorante missiva – e mi spiace pensare che questa realtà così pericolosamente alla deriva di un ritorno fascista la veda soltanto lei. Poverina – ma probabilmente alla preside manca qualche passaggio storico di fondamentale importanza.
Questa è la versione dei fatti di sua santità preside, che oggi scopriamo già candidata col Pd – e non poteva essere altrimenti! – che si permette di scrivere e mandare una lettera agli alunni indottrinandoli e imbevendoli di qualsiasi bestialità le esca dalla mente e che si senta autorizzata a trasferirla sulla carta.
Ma sono anni che la scuola italiana è in mano alla sinistra. I ragazzi si bevono ogni genere di corbelleria imbevuta di politicamente corretto. Quando escono da lì sono talmente stuprati di perbenismo che ragionare col proprio cervello diventa pressoché impossibile.
Allora Valditara che fa il ministro e che – come recita la Costituzione, dato che sempre la nominate! Studiatevela! Leggetela! Imparatela! Capitela! – con il governo fornisce l’indirizzo politico, ha cercato di riportare la gente con i piedi per terra. Frenando per un attimo la preside. Anche perché scusate ma definire il nuovo governo “disgustoso rigurgito”, non pare proprio carino.
Alle parole di Valditara aiuto aiuto. Ne è emersa bolgia studentesca e un’orgia politicamente corretta degna dagli anni di piombo. #Valditaradimettiti era l’hashtag di tendenza. Seguito a ruota come si seguono gli imbecilli da “graziepresidesavino.
Gli studenti e i politici arcobaleno, che ormai trovano accordo solo sul fantomatico ritorno del fascismo, se la sono presa a male perché il ministro Valditara avrebbe condannato la preside e non gli studenti di destra. Peccato però che la cosa sia andata un po’ diversamente e che siano stati i collettivi di sinistra a impedire ai gruppi di destra di fare volantinaggio. Ma questo a preside e compagnia cantante e traballante non interessa.
E allora vorrei dire alla Savino una cosa.
L’altro giorno a Treviso, in una scuola, due ragazzetti stranieri sono venuti a parole. Poi, per finire, uno ha tirato fuori un coltello e per una monetina di caffè l’ha piantato nell’addome del compagno che è finito in ospedale.
Il fascismo, cara preside, è morto e sepolto, nelle scuole ci sono ben altri problemi.
E questi sì nascono nei marciapiedi.

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Tutti indignati per La Russa, ma per Fedez che disprezza i gay no

Davvero non mi capacito di come tutti si indignino per le dichiarazioni del presidente del Senato Ignazio La Russa e nessuno che si indigni per Fedez che, denigrando gli omosessuali, si manifesta palesemente indignato se qualcuno gli chiede se sia gay.
Possibile che nessuno dica niente?
In sostanza è accaduto che nei giorni scorsi il presidente del senato La Russa, durante la trasmissione “Belve” in onda su Rai Due ha asserito che, per lui, avere un figlio gay sarebbe un dispiacere.
Ora, io davvero, perdonatemi, ma non capisco cosa ci sia di male in questo. Ognuno ha le sue preferenze.
Ci sono genitori per i quali il dispiacere può venire dal figlio che non ha studiato, da quello che non si è laureato, dalla figlia che si sposa col tipo che il padre le aveva detto di non frequentare, da quello che si veste come gli pare, da quello che vota a sinistra.
Io per dire, se avessi una figlia, e questa votasse Pd sarebbe per me una sconfitta, un dispiacere, ma sinceramente me ne frego altamente dato che ognuno è libero di votare chi gli pare.
Ma davvero non comprendo, il motivo di tanto clamore e scalpore.
Ignazio è stato anche costretto a chiarire che: “a una domanda specifica ho risposto che avere un figlio gay sarebbe un piccolo dispiacere, ma non un problema. Poi mi è capitato sul serio: uno dei miei figli andava allo stadio a vedere il Milan, e per me è stato un piccolo dispiacere, nulla di più”. Ma si sa che la gente funziona come con i comandi del forno a microonde. Molti non leggono le istruzioni credendosi arrivati, e si limitano a osservare il display fuori.
Oramai siamo arrivati al punto in cui i perbenisti progressisti paladini dei diritti di tutti, quelli che la mattina imbevono il cervello nel politicamente corretto, predicano la libertà, la fluidità, la liquidità, e poi ti impediscono di usare le parole italiane. Di servirti e nutrirti del nutrito e folto vocabolario Garzanti. Vedi alcuni vocaboli già bannati da tempo. O vedi alcune parole come grasso brutto nero eccetera eccetera.
Mi sembrano tanti piccoli zombi lobotomizzati che con la lingua di fuori si muovono tutti all’unisono in un’unica onda sempre più alla deriva. Davvero non mi capacito del perché La Russa abbia destato così tanta indignazione e invece Fedez no.
Non comprendo nemmeno come un paladino dei diritti di tutti, possa rivolgersi a un uomo in quel modo, Mario Giordano appunto, e sentirsi offeso se qualcuno gli chiede se sia come quelli che lui dice di tutelare e per i quali reclama la parità dei diritti.
Io i miei amici gay li considero tali e quali a me, quando ci parlo assieme poco mi importa se a questi piaccia la patata o il pisello, e mai mi offenderei se qualcuno si mettesse a indagare se io sia o no come loro.

sbetti

Il sindaco di Firenze dov’era quando i senegalesi sfasciavano il centro?

Dario Nardella, il sindaco di Firenze, si è indignato perché alcuni giovani di destra e di sinistra si sono mollati quattro scazzottate davanti al liceo e la destra non si è stracciata le vesti. Aiuto. Aiuto.
Ma mi chiedo dove fosse, tale Dario Nardella, sindaco della città fiorentina dal 2014, quando un centinaio di senegalesi nel 2018 distrusse e devastò il centro cittadino.
Ho letto questa roba per cui molto intelletualoni politicanti e giornaloni di sinistra si direbbero indignati per quello che è accaduto a Firenze davanti al liceo Michelangelo. Orbene. A nessuno fa piacere quando i ragazzi si comportano come scimmie pronte a menarsi. Ma ripercorriamo i fatti. Praticamente è accaduto che il 18 febbraio scorso davanti al liceo Michelangelo appunto, Azione studentesca – un gruppo giovanile che fa riferimento a Fratelli d’Italia – si sia dato appuntamento davanti la scuola per fare volantinaggio. La stessa cosa era accaduta il 9 febbraio davanti al liceo Pascoli quando sempre alcuni militanti di questo gruppo volevano distribuire dei volantini in ricordo della tragedia delle foibe. Ora, questa roba, dal momento che la sinistra è avezza a colorare la storia e a dipingerla un po’ come le pare, non è andata giù a un altro gruppo di militanti, però guarda caso di centrosinistra, i quali hanno iniziato a picchiare quelli di destra. O meglio se non fossero intervenuti i professori, a quest’ora avremo visto qualcuno col cranio fracassato spaccato da qualche buontempone dei centri sociali. Così lì, davanti al liceo, questi si sono scornati e ne è nata una rissa. Qualche livido. Qualche pugno. Qualche tirata nelle palle ma niente di più. Niente di meno. Alla vista però di tutto questa baruffa, la narrazione si è fatta alquanto fantascientifica, una prosopopea presuntuosa e arrogante che subito ha sguinzagliato l’allarme squadrismo, faccette nere eccetera eccetera. Perfino Nardella, sindaco di Firenze dal 2014, che come bagaglio culturale e comunale vanta una serie di violenze dei compagni rossi, che forse fatica a ricordare, ecco perfino Nardella ha detto di essere indignato e ha invocato urgentemente mente un intervento di Giorgia Meloni e del governo che Dio mio prenda le distanze, faccia qualcosa, si stracci le vesti, dica qualcosa insomma.
Ma allora mi chiedo, dov’era? Dov’era Nardella quando nel 2018 i senegalesi distrussero e devastarono il centro? Dove?
Fu in seguito all’omicidio di un senegalese da parte di un italiano. Anche lì, checche ne dicano i talebani dell’ accoglienza, il movente razzismo venne escluso. Eppure. Eppure questi devastarono le le fioriere antiterrorismo in centro, sradicarono le inferiate dei cantieri della tranvia, ribaltarono i cestini dell’immondizia completamente in strada. Bloccarono il traffico nella zona di Santa Maria Novella. Tanto che la polizia dovette intervenire in divisa antisommossa. O come quella volta quando all’Università – alla faccia dell’inclusione e della libertà – era arreso Mmmmqm Donzelli e i compagni scrissero sulle pareti: “Fuori i partiti dall’Università. Donzelli fascista. Firenze ti schifa.”. Alla faccia. Nardella forse avrà la memoria corta

Sbetti

Qui il sesso è un ingranaggio di un orologio rotto. Viene sempre due volte

Avete presente l’odore del vomito? Quel retrogusto di amaro acido acre e pungente che ti rimane in bocca tutto il giorno?
Quello che se lo pensi, ti viene in mente qualcosa di verde acido, marcio. Ecco quello. È un mese che sono sul fronte di sesso a pagamento, della prostituzione e a tratti mi sembra che sto per vomitare. Vedo queste donne comparirmi davanti sulla strada e penso alla vita che fanno. Al perché lo fanno. A come si prestano a mettere in vendita il proprio corpo. Ci voglio capire qualcosa se voglio raccontare queste storie.
Mi fermo a parlare con loro, ci passo del tempo, e tento di capirci qualcosa ma più passano i giorni e più mi sento uno schifo. Stanno lì sul ciglio della strada ad aspettare che qualcuno si fermi per nemmeno il piacere di una scopata. Un rapporto asettico. Freddo. Glaciale. Anodino. Privo di slancio. Privo di qualcosa di passionale. Potresti scopare anche una stufa sarebbe uguale. Un meccanismo. Fine a se stesso. Un ingranaggio di un orologio rotto, che due volte segna sempre la stessa ora. Quando viene.
Senza ansima, senza respiro affannoso, senza mani che si tendono e si prendono. Senza gioia, né godimento, senza sesso, senza cuore, senza passione. Solo il tempo di venire. Una volta. Due volte. Tre volte. Svuotarsi come fanno gli animali. Come fa lo sciacquone del bagno. E lasciare indietro la puzza di acre e di bruciato di una sigaretta ancora accesa. La donna che si riveste. Che si sistema. Lui che scrolla. Sgrulla. Mette via. Sega. Quel bianco che sa di latte marcio, ammuffito, e si ricomincia. Ricomincia il turno. Lei che con la tanica che in auto si lava. Le mani unte dentro il suo essere donna.
L’amore qui ha il sapore del vomito fresco colore verde molle. Una chiazza sul pavimento. Un odore di marcio appena bruciato mescolato con gli avanzi degli altri. Alcune lo fanno perché sono costrette.
Le vedi queste. Hanno gli occhi spenti. Lucidi di lacrime versate al cesso. Opachi. Hanno le mani molli. Flaccide. Sembrano gelatina di pesce. Sono terrorizzate. Altre invece lo fanno di loro spontanea volontà. Stanno qui come niente fosse. “È più facile che lavorare”, mi ha detto una che prende 40 euro per un quarto d’ora. Un pompino. Un bocchino. “Non scopriamo tutto. Solo quello che ci serve”. Va a incastro. È meccanico. Il tubo che si incastra sul bossolo. La carica di lancio. Un soffio. Una venuta. E via.
Mai avrei pensato di provare queste sensazioni. Quando te ne vai dalla strada queste donne te le porti appresso. Te le senti addosso. Senti ancora l’odore di marcio. Di sperma rappreso. Di vomito incatramato. Ti senti quasi sporca, avvolta da una nebbia dove i contorni sono difficili da delineare.
Sarà. Dicono sia il mestiere più antico del mondo. A me sembra quello più schifoso.

Per rivedere i miei servizi andati in onda su Mediaset

👉 https://mediasetinfinity.mediaset.it/video/controcorrente/tutti-i-luoghi-pubblici-dellamore_F312335901005C10

👉 https://mediasetinfinity.mediaset.it/video/controcorrente/i-lavoratori-del-sesso-vanno-messi-in-regola_F312335901006C08

👉 https://mediasetinfinity.mediaset.it/video/controcorrente/parlano-le-prostitute-pericoli-e-paure_F312335901007C12

👉 https://mediasetinfinity.mediaset.it/video/controcorrente/i-nuovi-regali-di-san-valentino_F312335901007C17

👉 Il mio servizio ripreso da Tg Com 👉 https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/escort-sicurezza_58104772-202202k.shtml

sbetti

Con l’Islam non ci puoi dialogare

Quando sono stata a Novellara ho capito che con questa gente non ci puoi parlare. Instaurare un dialogo è pressoché impossibile.
Arrivo a Novellara in un giorno di inizio settembre. Saman ancora non si trova. È scomparsa.
È sparita tra la notte del 30 aprile e il 1 maggio 2021 e da lì nessuno ne ha più saputo niente. Mesi di ricerche, indagini; mesi di perlustrazioni, di domande, mesi di “dove diavolo è finita questa ragazza dagli enormi occhioni neri che voleva semplicemente sentirsi libera?”.
Fino a che d’un tratto il punto interrogativo piega la sua gobba e inizia a farsi esclamativo. No. Non è nemmeno esclamativo. La gobba si contorce su se stessa. Assume i contorni dell’orrore. Del raccapriccio. È il 18 novembre 2022 e Saman dicono sia in un casolare, dentro una fossa. Una fossa fonda, lì sulla terra manco umida, una buca maledetta, premeditata, cupa. A pochi metri dalla casa dove Saman viveva con la sua famiglia. A gennaio scorso la triste conferma: sì i resti sono di Saman. Il padre ora è arrestato in Pakistan. Probabilmente non ne avremo mai l’estradizione. L’udienza a Islamabad continua a saltare. Una volta manca l’avvocato. Una volta manca il giudice.
La madre, Dio mio che vergogna, che ventre sprecato, è latitante.
E lo zio e un cugino hanno già chiesto uno sconto di pena. Alla faccia. L’avvocato del padre di Saman, ripugnante, senza ritegno, dice che se la ragazza è morta è colpa dello Stato italiano. Cioè la colpa è soltanto nostra se la figlia è morta. Del resto, con questa gente non ci puoi parlare. Manco provare. Quando sono stata a Novellara, nella comunità islamica – che privilegio poter uscire dal proprio orticello per andare a vedere come sta il mondo – ho parlato con i musulmani e molti mi dissero che alla fine non capivano il perché di così tanto clamore. “Anche in Italia ammazzano le donne”, mi disse uno barbuto col turbante in testa e le infradito ai piedi e quelle unghie così sporche. Non aveva capito o forse fingeva di non capire che qui il femminicidio non conta. Qui è la religione che te lo impone. Il parroco dell’epoca mi aveva anche fatto delle affermazioni forti sulla comprensione di un gesto simile che ora non sto qui a ripetervi. E poi il barbuto, col turbante in testa e le infradito ai piedi e quelle unghie così sporche, e quell’altro suo amico accanto con la maglia onta e lurida, la pancia, i jeans slacciati portati bassi, mi aveva detto: “Lo stato italiano farebbe bene a occuparsi delle donne italiane uccise, non delle donne degli altri”.
Mi sono dovuta tenere. Quante Saman ancora?
Il mio pezzo sulla Verità.

Link 👉 https://www.laverita.info/temo-di-morire-come-saman-2659436617.html

sbetti

La sinistra si preoccupi dei suoi elettori che a votare non ci sono andati

Ho ascoltato attentamente le parole di Claudia Fusani a Quarta Repubblica l’altro giorno e mi hanno destato un lieve leggero imbarazzo. La Fusani, come tanti altri, ritiene che la vittoria del centrodestra che ha fatto man bassa nelle regioni di Lombardia e Lazio, non sia una vittoria effettiva perché a votare è andato il 40 % degli italiani. Una vittoria effimera l’ha definita. Di Battista idem. Ha detto che questa è la vittoria del partito del non voto. Sì certo. È il peggior dato della storia della Repubblica.
Ora, io mi compiaccio verso questa gente che dà ampia dimostrazione di aver frequentato la scuola e di aver giocato con i regoli per imparare la matematica. Anche perché lo capisce anche un cretino che se a votare ci va il 40 % significa che l’altro 60 % non ci è andato e che 60 è maggiore di 40. Ma forse questi pasdaran dell’algebra qualche lezione devono averla persa perché di fatto se a votare ci va il 40% e di questo 40, la maggioranza vota per il centrodestra, significa che il centrodestra ha vinto.
Mi risulta infatti che tra quelli che a votare ci siano andati, la maggior parte abbia deciso di apporre la propria croce a favore di una certa parte politica che ahimè non è il centrosinistra, ammesso che ancora esista ben saldo e non si sia sfracellato e disintegrato rincorrendo migranti e gretini.
Piuttosto mi preoccuperei di quelli così politicamente corretti – in formato Ferragni Fedez slinguazzata con Chemical – che a votare non ci sono andati.
Forse perché traditi da una politica che anziché occuparsi dei problemi veri della gente pensa alle tette della Ferragni e alle vallette. Del resto. È stato sempre così. Ma giusto per ribadire il concetto, mi risulta, se la mia memoria non mi inganna, che se a votare ci vanno 50 persone e 26 votano x, allora vince x, e non y o z.
Chi è rimasto a casa, evidentemente aveva di meglio da fare e ha deciso di affidare le proprie sorti alla matita di qualche altro. In Italia è tipico. Tutti froci col sedere degli altri.
Ora io non capisco perché la sinistra sia sempre così restia ad ammettere che la destra ha vinto e usa tutte i vari grimaldelli conditi in tutte le salse. La destra ormai governa in tutto il Paese, ben 15 regioni su 20, quando nove anni fa era esattamente il contrario.
Io anziché preoccuparmi della vittoria effimera mi preoccuperei dei loro sostenitori che a votare non ci sono andati.
E a quelli che non riescono a fare due conti consiglio loro qualche lezione privata di matematica.
Ci sono buone offerte su internet.
Costa poco.

sbetti

“Ma non è pericoloso stare qua in strada?”

Continua la mia inchiesta sul mondo della prostituzione. Questa la terza parte andata in onda questa sera su Rete 4 Mediaset.
Il resto del servizio qui

👉 https://mediasetinfinity.mediaset.it/video/controcorrente/parlano-le-prostitute-pericoli-e-paure_F312335901007C12

sbetti

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Fedez è un maschilista (E Sanremo anche)

Chiara? Chiara chi?
Sono anni che ci propinano questa grossa balla di melassa progressista rivoluzionaria radical chic, che sostanzialmente nessuno, tra quelli stuprati dal politicamente corretto, si è accorto che Sanremo in realtà è più maschilista dei maschilisti messi insieme.
Tranne qualche raro caso di adamantina bellezza e rara bravura, sono anni che giovani donzelle, tra una chiappa e l’altra, un sorriso e l’altro, una tetta e l’altra e un ammazza scorregge e l’altro, si contendono il palco dell’Ariston, starnazzando e sbattendo ripetutamente le ali, a volte emettendo versi striduli.
Alcune vengono invitate solo perché nere. Altre perché trans.
Mai nessuna, ripeto se non rari casi, che venga invitata perché figa e italiana. E soprattutto mai nessuna – se non tre donne immense – Ventura, Goggi e Carrà – che abbia presentato il festival di Sanremo.
Da quando è nato abbiamo sempre e solo visto conduttori uomini stare al centro, attorniati da gentil donzelle che (alcune) anche se non sapevano parlare, bastava indossassero il manico di scopa sul sedere e andava bene lo stesso. Ci sono stati conduttori anche che di veline ne avevano due. Anni a riempirci di pistolotti e vaccate varie sul gender fluid, il rispetto dei Diritti, le quote rosa e poi se guardi gli annali del Festival non c’è mai stata un’alternanza effettiva con un conduttore rosa. E poi che dire del maschilista più maschilista di tutti i Festival messi insieme.
Praticamente quello che si era vestito da donna con le zeppe ai piedi in solidarietà della propria femmina ora ha pensato bene di buttarla giù dal palco, prendersi la scena e farle lo sgambetto.
Il Festival di Chiara Ferragni è diventato il Festival di Federico. Prima l’aveva toccata piano con l’esibizione in pompa magna dove pareva un santone dalla nave Costa Smeralda. Poi ha urlato in coro legalizziamo la Marijuana. E poi non contento si è fatto prendere dall’ormone e ha baciato un uomo. No ma quale ormone. Si chiama visibilità. Non voler rimanere dietro.
E per farlo, un po’ come quelle che hanno le gambe tipo Telepass per raggiungere i loro obiettivi, si è lasciato mettere la lingua in bocca da Chemical cosicché almeno tutti possano ricordarsi di loro. Di Fedez. Di quello che a Sanremo sopra il palco si è baciato con l’altro.
Lui, così attento ai diritti delle donne, non ha pensato di baciare la moglie e in una linea retta tra devianze e deviazioni progressiste passando per i salotti dei radical chic senza nemmeno pagare l’ingresso, ha pensato di fare anche solo scenograficamente cornuta la moglie.
Come a dire “femmina stai zitta. Muta. Seduta. Io posso. Tu no”.
Quale vergogna infatti sarebbe stata se Chiara si fosse fatta mettere in bocca la lingua da un uomo. Già me lo immagino il cornificatore di famiglia in stile futuro marito incazzato che come sul Titanic fa volare i piatti di frutta. “Io non faccio la figura del pagliaccio davanti a milioni di italiani”, avrebbe detto a Chiara. No infatti. Tranquillo.
Anche senza corna ti è venuta bene lo stesso.
Sì è proprio il Festival dell’Ammmmoooore.

sbetti

Morandi con la scopa in mano: lo specchio dei giovani che se ne fottono dei vecchi

A me personalmente del bacio di Fedez e Chemical non interessa un tubo.
Per me possono pure farsi, limonare davanti alla gente, scoparsi un termosifone o una poltrona dell’Ariston. Anche perché si è capito che era una provocazione.
L’ostentazione di quello che è normale, ma loro sono i primi a considerarlo diverso. La trasgressione. Raggiungere il limite. Oltrepassarlo. Lanciare la sfida. Far parlare di sé. Fare in modo che quel gesto rimanga scolpito nella pietra della Storia, con inciso esattamente un nome e un cognome.
Il bacio gay al Festival di Sanremo lì davanti al pubblico, sopra al palco con tanto di slinguazzata, e mancava la palpatina di palle, è marchiato Fedez e Chemical.
Così si sono assicurati la memoria. Così sanno che ora tutti parleranno di loro e verranno ricordati per aver slinguazzato sopra l’Ariston.
Che bel primato. Che eccellenti meriti. Quali imprese nobiliari. Considerato che il canone se lo fanno fottere milioni di italiani. È chiaro che la meritocrazia vince.
Ma al di là del bacio e della slinguata e della simulazione delle palle che ballano, l’immagine che più mi preoccupa è quella di Gianni Morandi costretto a scopare – letteralmente parlando – dopo che Blanco prende a pedate le rose.
Quella è l’immagine più rappresentativa di una società in totale declino. Degrado spirituale. La decadenza delle palle. Mancanza di coraggio. Di responsabilità. Di maturità. Quella mediocrità che ci invade nonostante i beniamini dell’Ariston si atteggino a fighi. L’immagine che, anche se frutto di un copione, è di una bruttezza disarmante. Perché anche se fiction è tremendamente reale.
Questo è lo specchio della nostra società. Non il bacio sopra l’Ariston. Non la rivoluzione. Lo specchio sono i giovani che se ne fottono dei vecchi. I giovani che li prendono in giro. I giovani che li denigrano. Che non hanno rispetto. E lo specchio sono i vecchi che puliscono la merda dei giovani.
Funziona così adesso.
Il tutto efficacemente trasmesso da quello che tutti potremmo ricordare come il Festival del Pd, della sinistra, del gender fluid, dell’ostentazione che porta a esaltare tutto, peni, lingue, capezzoli, testosteroni impazziti, delle accuse di razzismo che manco esiste.
I pasderan del politicamente corretto non ce la fanno. E starnazzano. In coro. Sono questi che credono che per scopare basti toccarsi le palle.
Peccato che alla fine chi rimane a fare il suo lavoro è quello con la scopa in mano.
L’unico che le palle ce le ha veramente.

sbetti

“Di mio padre nemmeno un ricordo”

Ho conosciuto Egea Haffner una sera di febbraio 2020. Fu il mio ultimo servizio con Fausto Biloslavo prima del covid.
Il mio ultimo servizio prima di questo spartiacque che segna le nostre vite.
Egea Haffner è la bimba con la valigia. La profuga istriana. L’esule giuliana numero 30001.
Ci siamo conosciute dentro un cinema.
All’inizio non l’avevo vista.
Avevo sempre sentito parlare di questa bambina con la valigia. Il simbolo dell’esodo istriano.
E me la immaginavo come la avevo vista sulle foto.
Poi d’un tratto la vidi subito.
Stesso mento. Stessa bocca arricciata e crucciata. Stesso taglio di capelli. Stessi lineamenti del volto. Squadrati. Dolci, triangolari.
Cambiava solo l’espressione. Più dolce. Più pacata. Più matura. Ma gli stessi occhi.
Più calmi. Più consci. Egea non aveva più l’aria di quella bambina costretta a lasciare la propria terra senza capire perché. Egea il perché l’ha capito.
Così con timore, quasi come a camminare sopra quel dolore, mi sono avvicinata, le ho chiesto se potevamo parlare, lei mi ha sorriso e ha pronunciato un “sì certo”, che le illuminava il volto.
Aveva tre e anni e mezzo quando le portarono via il padre. Una sera i partigiani di Tito suonarono alla porta. La madre andò ad aprire. Le dissero che era un normale controllo. Che doveva andare con loro al comando. Era maggio. Ma era fresco. Il padre si mise una giacca. Indossò una sciarpa. Un saluto alla moglie. Alla figlia. E lo portarono via.
Da lì più niente. Del padre nemmeno un ricordo.
Mentre mi parlava, per tutta la durata della nostra conversazione, Egea tra le mani teneva in mano la catenina del padre. Avevo i brividi a sentirla parlare. Me la ricordo con la voce così dolcemente acuta e penetrante che non lasciava spazio all’immaginazione. Ricordo quegli occhietti vispi attenti piccoli piccoli che già solo a guardarli dicevano tutto.
Quando le chiesi: “Ma di suo padre non ricorda proprio nulla?”.
Mi disse sì.
Quella sciarpa che il padre mise quella sera, prima di sparire per sempre, la madre di Egea la vide addosso a uno dei partigiani di Tito il giorno dopo.
Per anni, io stessa quando chiedevo ai miei professori a scuola: “Parlateci di foibe”, le foibe veniva relegate a fine anno in una lezione di dieci minuti con due righe nel libro.
Quando rinnegate la storia pensateci due volte.

Il servizio con Fausto Biloslavo 👉 https://www.ilgiornale.it/news/cronache/bambina-valigia-simbolo-dellesodo-istriano-1823311.html

sbetti

ioricordo

Con Egea Haffner, febbraio 2020

“Chissenefrega tanto muoiono i vecchi”

Noto con profondo disprezzo e dispiacere che come era accaduto ai tempi del Covid, non c’è rispetto per gli anziani. Quelli di cui si diceva: “chissenefrega tanto muoiono i vecchi”.
O quelli che si vorrebbe far passare per tali.
In questi giorni i social, dove si concentra la fogna quotidiana che ci rispecchia, vomitano schifezze e derisioni verso i cantanti più stagionati che, volente o nolente, in Italia e nel mondo hanno fatto la storia della musica.
Un esempio? Albano, classe 1943. Gianni Morandi, classe 1944. Massimo Ranieri, classe 1951.
Anna Oxa, classe 1961. Ornella Vanoni, classe 1934. Gino Paoli, classe 1934.
Eccetera. Eccetera. C’è un chicchirichì generale nel mondo sommerso del web che dileggia e berteggia personaggi che sempre si sono contraddistinti nel panorama canoro italiano e che hanno elevato il nostro Paese per le qualità artistiche.
Ora. A me sinceramente, ben vengano le nuove mode, ma a un Achille Lauro che si battezza il pisello sopra il palco dell’Ariston o un Fedez che “canta” attorniato da una piscina come a dire: “io sono io e voi siete un caz…”, preferisco di gran lunga il trio Albano Morandi e Ranieri che canta e fa ballare in piedi l’Ariston.
Nonostante alcune canzoni di Achille Lauro mi piacciano pure.
Anche perché non ho ben compreso cosa Fedez avesse voluto dire ieri con la sua più grande performance da santone dell’Ariston.
La musica non è più quella di una volta. Ora nei testi ci finiscono le mignotte. Ci finiscono versi come “qui non entrano le cesse, vedo il via vai qui si muovono le tette. Siete tr… ie, tr…ie, non fate le modeste. Guarda come c…. sono vestite queste�Si muovono le teste, si muovono le tette”.
Testi degni di una nota superiorità morale che incanta il pubblico più imbecille e non mi riferisco all’Ariston ma in generale.
Così come a un Blanco che lancia calci prendendosela con le rose, vittima di quel “ho avuto tutto dalla vita, nessuno mi ha mai detto no”, preferisco il duetto Renga – Nek o una Anna Oxa che perdonate ma a Miss Keta non ha niente da invidiare.
Al nuovo predicatore santone dell’Ariston che cantava: “Stupro la Moratti, mentre mi fa un bocchino”, continuo a preferire “perdere l’Amore” di quello che – secondo voi – dovrebbe cantare in casa di riposo.
Vi auguro una buona serata

sbetti