Quando sono stata a Novellara ho capito che con questa gente non ci puoi parlare. Instaurare un dialogo è pressoché impossibile.
Arrivo a Novellara in un giorno di inizio settembre. Saman ancora non si trova. È scomparsa.
È sparita tra la notte del 30 aprile e il 1 maggio 2021 e da lì nessuno ne ha più saputo niente. Mesi di ricerche, indagini; mesi di perlustrazioni, di domande, mesi di “dove diavolo è finita questa ragazza dagli enormi occhioni neri che voleva semplicemente sentirsi libera?”.
Fino a che d’un tratto il punto interrogativo piega la sua gobba e inizia a farsi esclamativo. No. Non è nemmeno esclamativo. La gobba si contorce su se stessa. Assume i contorni dell’orrore. Del raccapriccio. È il 18 novembre 2022 e Saman dicono sia in un casolare, dentro una fossa. Una fossa fonda, lì sulla terra manco umida, una buca maledetta, premeditata, cupa. A pochi metri dalla casa dove Saman viveva con la sua famiglia. A gennaio scorso la triste conferma: sì i resti sono di Saman. Il padre ora è arrestato in Pakistan. Probabilmente non ne avremo mai l’estradizione. L’udienza a Islamabad continua a saltare. Una volta manca l’avvocato. Una volta manca il giudice.
La madre, Dio mio che vergogna, che ventre sprecato, è latitante.
E lo zio e un cugino hanno già chiesto uno sconto di pena. Alla faccia. L’avvocato del padre di Saman, ripugnante, senza ritegno, dice che se la ragazza è morta è colpa dello Stato italiano. Cioè la colpa è soltanto nostra se la figlia è morta. Del resto, con questa gente non ci puoi parlare. Manco provare. Quando sono stata a Novellara, nella comunità islamica – che privilegio poter uscire dal proprio orticello per andare a vedere come sta il mondo – ho parlato con i musulmani e molti mi dissero che alla fine non capivano il perché di così tanto clamore. “Anche in Italia ammazzano le donne”, mi disse uno barbuto col turbante in testa e le infradito ai piedi e quelle unghie così sporche. Non aveva capito o forse fingeva di non capire che qui il femminicidio non conta. Qui è la religione che te lo impone. Il parroco dell’epoca mi aveva anche fatto delle affermazioni forti sulla comprensione di un gesto simile che ora non sto qui a ripetervi. E poi il barbuto, col turbante in testa e le infradito ai piedi e quelle unghie così sporche, e quell’altro suo amico accanto con la maglia onta e lurida, la pancia, i jeans slacciati portati bassi, mi aveva detto: “Lo stato italiano farebbe bene a occuparsi delle donne italiane uccise, non delle donne degli altri”.
Mi sono dovuta tenere. Quante Saman ancora?
Il mio pezzo sulla Verità.
Link 👉 https://www.laverita.info/temo-di-morire-come-saman-2659436617.html
sbetti
