“Venite dentro. Bevete un caffè caldo”

Il giardiniere della casa dei miei nonni si chiama Paco. Come questo cagnolone. Ci sono finita l’altro giorno a Predappio, in mezzo alle campagne romagnole a girare un pezzo sui cinghiali. (Se ve lo siete perso su Rete 4, lo trovate su Mediaset Infinity). Non so nemmeno come. D’un tratto l’auto ci ha portato nel mezzo delle campagne. Vallate sperse e sperdute dove arriva il gelo. L’umidità. Il freddo. Lontane dal frastuono assordante e attraente del pieno del centro di città. Quello di cui non riesci a farne a meno.
Ci sono finita andando in lungo e in largo. Prima il fiume. Poi l’auto. Poi il parcheggio. Poi quella trattoria spersa dal menu scarso ma i piatti colmi. Buoni. Gustosi. Prelibati. Succulenti.
In Emilia Romagna si mangia bene. Sempre detto. La gente è accogliente. Ospitale. Il loro dialetto mi fa impazzire. Mi fa impazzire sentire la O stretta. Il “ci guardo” usato in tutte le salse, come pronome di rito. Un rito dialettale, eterno, religioso.
Mi piace la loro cantilena. Il loro modo così tortellinoso di parlare. Sono finita nelle campagne a metà tra Forlì e Cesena e c’era la nebbia. Ma da lassù si vedeva il paese. Riuscivo a distinguere i colori delle case. Le finestre, i finestroni, le lanterne. Non vedevo i volti ma riuscivo a percepirne gli umori di quelli che si svegliano la mattina presto, quando fa ancora buio pesto, per portare da mangiare agli animali. Quelli che la sera alle cinque, mentre tu sei ancora in alto mare e stai montando e girando e scrivendo un pezzo, e “scusami non ti posso rispondere adesso”, chiudono i balconi perché tra poco è ora di andare a letto.
Vedevo attorno a me questi filari di viti avvolti dalla nebbia, queste colline spaziose, alcune ruvide. Altre morbide. Queste strade battute. Le impronte dei lupi. Dei selvatici. Dei caprioli. Dei cervi. Vedevo questi cani passeggiare nell’aia. La nonna col bastone. La moglie indaffarata. La figlia cresciuta in mezzo alla campagna che va a caccia. Indossa gli scarponi. Dà una mano al padre. Lì ci sono i suoi ricordi. I suoi affetti. Il suo mondo che evolve. Il ragazzino che porta a spasso il cane. Racconti da libro Cuore.
Poi quando la nebbia si è fatta fitta. E il vento faceva vibrare le foglie, sopraggiunge quella frase, che – noi, col mare dentro, a casa sempre ma a casa mai – ti fa sentire sempre un focolare acceso. “Venite dentro, bevete un caffè caldo”.

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