Ho letto la testimonianza nei verbali di un sopravvissuto al naufragio di Curto e mi sono venuti i brividi.
I morti del mare, quelli nel Crotonese, non sono colpa di Giorgia Meloni, di Matteo Salvini, di Matteo Piantedosi. E non sono nemmeno colpa degli italiani.
No.
I morti del mare sono lo specchio dell’ipocrisia, dell’arroganza, della supponenza, dell’accoglienza fallita, della mancata integrazione, del falso buonismo.
Sono i morti dei trafficanti, dei criminali. Dei delinquenti. I morti di quelli che hanno sempre predicato accoglienza senza averla mai vista nemmeno in cartolina.
Domenica scorsa un barchino partito dalla Turchia che trasportava circa 250 persone, si è disintegrato a pochi metri dalla costa calabra. C’erano famiglie mamme bambini neonati.
Sessantasette i morti. Sessantasette. Le bare sono tutte lì. Allineate al Palasport di Crotone. Cinque sono piccole. Bianche. Contengono quella vita spezzata come un feto che si stacca prematuramente dalla placenta.
Quel cordone ombelicale che li teneva attaccati alla vita e che poi inevitabilmente muore.
Non ci vuole un meteorologo, infatti, per capire che imbarcarsi con una trappola di legno con il mare mosso e il vento e il freddo cane, e attraversare tuffo il Mediterraneo, è già tanto se arrivi a pochi metri dalle coste italiane. È un po’ come giocare alla roulette russa.
Eravamo “ammassati come bestie
nella stiva del barcone – racconta il sopravvissuto – alcuni costretti a sedersi sul gasolio. Pochi minuti concessi per uscire a respirare un po’ d’aria e poi gli scafisti che con un apparecchio bloccano le onde radio e tagliano ogni contatto con il mondo”. Meglio così. Meglio passare inosservati. Anzi meglio quasi che il mare ragli così almeno se ti va bene, si passa inosservati.
Poi continua: “La barca ha urtato contro qualcosa e ha iniziato a imbarcare acqua e inclinarsi su un fianco. All’improvviso il motore ha iniziato a fare fumo, c’era tanto fumo e puzza di olio bruciato. La gente iniziava a soffocare e a salire in coperta, dopo di che la barca si è spezzata e l’acqua ha iniziato a entrare. Quando sono salito, sotto c’erano circa 120 persone tra donne e bambini. Nessuno ha chiamato i soccorsi, nonostante le nostre richieste”.
Il siriano e due turchi, gli scafisti, hanno gonfiato un gommone e sono scappati.
Sono questi i morti del mare. I morti disperati.
Lasciati in balia dei trafficanti. In balia delle onde. Con la speranza e l’illusione di un futuro migliore che mai arriva. Perché poi quando cala la notte e scende il freddo, ognuno pensa ai fatti propri, ricordatevelo.
Ho visto con i miei occhi, i parroci qui in Italia non aprire le porte delle chiese in pieno inverno perché si creava un precedente. Gente che dormiva ammassata nelle scale, al freddo, senza nemmeno un cuscino o una coperta. Senza nemmeno un biscotto bagnato da inzuppare nel latte caldo.
Ci ho scritto pagine di inchieste su quelli che con la pelle dei migranti “brindavano a champagne”.
Chi organizza questi viaggi è un criminale. Chi non riconosce questo è complice. Complice delle tragedie. Complice delle morti. E non so se una certa parte politica voglia questo tipo di immigrazione. Se voglia la gente ammassata nelle stive delle navi. Se voglia questa immigrazione così incontrollata. Perché tanto anche se ci fossero le partenze controllate, starebbero lì a discutere sul fatto che sono poche. Che bisogna organizzarne di più. Ci sono state migliaia di vittime con i governi buonisti. Quelli di “apriamo le porte”, “apriamo i ponti”, “abbattiamo i muri”, “siate umani”.
E non si fanno conti quando la morte presenta il conto. Ma sono stati 18 mila, con i governi di sinistra. Eppure non ho mai sentito dire da qualcuno di loro: “colpa nostra”.
Quando puntate il dito mettetevi davanti lo specchio. Magari lì vi viene meglio.
sbetti
