Madri che ammazzano i figli: “Quando inizia deve finire”

Libero giovedì 16 giugno 2022

Quando l‘altro giorno ho saputo che la madre di quella povera bimba a Catania aveva confessato, ero a Cesena per un servizio e in auto con un collega ho detto: “Dio mio che orrore. Non può essere una cosa del genere”.
Quando capitano questi fatti orrendi per giorni ci penso sempre. Mi fa paura l’essere umano. L’instabilità. La precarietà delle menti di padri e madri che hanno messo al mondo figli.
Ho il terrore della precarietà delle menti del genere umano.
Poi ieri mi è capitato di intervistare Vincenzo Maria Mastronardi, psichiatra, criminologo, docente all’Università.
Il suo libro “I serial Killer”, una notte quando ancora studiavo Legge, l’avevo divorato tutto.
Non avrei mai pensato di riuscire un giorno a intervistarlo. E ieri quel giorno è arrivato.
Nel 2007 Mastronardi ha scritto: “Madri che uccidono”.
Quando gli ho chiesto: “Ma come è possibile che una madre non si fermi? Non le viene in mente: “oddio cosa sto per fare?”.
Come è possibile che non risponda a quel “mamma mamma mamma mamma”.
“No – mi ha risposto lui – quando comincia deve finire”.
In quel momento mi sono sentita morire.
Quel “quando comincia deve finire” mi ha lasciato pietrificata.
Dietro queste madri che ammazzano i figli si nascondono i più grandi drammi, animi squartati mai guariti.
Oggi su Libero con Vittorio Feltri 👇

Vincenzo Maria Mastronardi, psichiatra, criminologo clinico, già direttore della cattedra di Psicopatologia Forense all’Università La Sapienza di Roma, nel 2007, tra le suenumerose pubblicazioni (32 libri), ha scritto: “Madri che uccidono. Le voci agghiaccianti e disperate di oltre trecento donne che hanno assassinato i loro figli”. Titolare della cattedra di Teoria della devianza e criminogenesi all’Università degli Studi internazionali di Roma è anche Garante dei diritti delle vittime di reato (Associazione difensori civici italiani). Seguendo queste donne ha visto i più grandi drammi. Gli squarci più profondi di anime mai guarite.

Professor Mastronardi, il caso di Catania. Cosa si nasconde dietro una madre che ammazza la figlia? “Io ho visitato e periziato 17, 18 mamme figlicide e tutte fanno una tale pena. Indipendentemente dalla capacità di intendere e di volere, tutte hanno o una patologia pregressa o una follia mostruosa della normalità razionale con una bassa soglia di tolleranza allo stress”.

Questa follia esplode così? “Ci può essere una psicosi post partum che può durare anche un paio d’anni o una depressione maggiore con una visione pessimistica di sé e del mondo e del futuro, o a monte una schizofrenia paranoide o un disturbo psicotico per esempio uno scompenso ormonale. Oppure una patologia del comportamento”.

Cioè? “Una bassa soglia di tolleranza allo stress; alle spalle ci possono essere lutti, abbandoni reali o amplificati, separazioni”.

Quanto i divorzi incidono? “Possono incidere se vi è un terreno psicopatologico”.

Cioè preesistente? “Sì, altrimenti sé tutte le separazioni dovessero portare a figlicidi…”.

Quali sono i segnali? “Un mutamento del proprio comportamento che dapprima è sereno e tranquillo e poi si manifesta con estemporanee azioni aggressive mai verificatesi prima, come gettare a terra cose, o l’acqua bollente addosso al figlio”.

Qual è la differenza tra una patologia clinica e una comportamentale? “Nella patologia del comportamento la persona ha la possibilità di scegliere se lasciarsi andare all’ istinto omicida oppure no”.

Cioè la madre capisce cosa sta per fare? “Sì, invece nella psicosi la persona vede tutto nero ed è costretta ad agire proprio perché è la malattia stessa a condizionarla”.

Ma come è possibile che una madre alla settima coltellata non si fermi? Non le viene in mente “oddio cosa sto per fare”? “No, quando comincia deve finire. Come se fosse un motore che si mette in moto e non riesce più a fermarsi. C’è anche la sindrome di Medea, uccido per gelosia tuo figlio perché tu mi stai cornificando”.

Qualcuno sacrifica i figli per punire il compagno o compagna? “Sì”.

Come quel padre che ha chiuso il figlioletto di 7 anni, dopo averlo ammazzato, dentro l’armadio. “Esattamente”.

Ma il caso Cogne. Ammesso sia stata lei. È veramente possibile che uno non ricordi? “Sì è possibile. A me è capitata una persona che aveva ucciso la figlia col filo del citofono e aveva scoperto di averlo fatto due anni dopo, sognandolo”.

Cosa accade nella mente? “C’è una rimozione del reato compiuto. La mente entra in autoprotezione per proteggere se stessa e per non star male”.

C’è stato un aumento di figlicidi? “In vent’anni in Italia abbiamo avuto 480 casi. Tra il 2017 e il 2018 pare ce ne siano stati 36”.

L’essere costretti a casa con i figli, in tempi di pandemia, può influire? “Dopo la pandemia è successo qualcosa. Da un’ indagine fatta su mille famiglie è emerso che alcune riuscivano a compensare bene, altre famiglie si sono spaccate. Come se la pandemia fosse una sorta di spartiacque”.

Serenella Bettin

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