Stuprata alla stazione. Questa è la nostra integrazione

Questa è la nostra integrazione. Questo è lo specchio delle città italiane. Questo è il modello voluto dalla sinistra.
Prima l’ha adocchiata. Poi l’ha seguita. L’ha pedinata. Ha aspettato che lei entrasse dentro l’ascensore e lì l’ha violentata.
Ha aspettato la sua vittima come un animale aspetta la sua preda per mangiarsela. Per spolparla. Ridurla in brandelli. Schizzi di anima.
E così rovinarle la vita per sempre.
Dentro l’ascensore – a far da testimoni le immagini di video sorveglianza – si è consumata la violenza. Lì l’ha palpata. Palpeggiata. E poi infine l’ha stuprata. Lei urlava con quanto fiato aveva in gola ma nessuno l’ha sentita.
Lui è un cittadino marocchino di 27 anni, irregolare in Italia, e senza fissa dimora. Lei è una turista di origini marocchine di 36 anni, che veniva dalla Norvegia ed era diretta a Parigi. È stata violentata e picchiata alla stazione Centrale di Milano, l’altra mattina all’alba.
Lui è uno di quelli che facciamo entrare in Italia, diamo loro una panchina come letto, un marciapiede come tavolo, un cestino o un albero come gabinetto.
Lei è una di quelle tante giovani donne che viaggiano da sole, e che di mattina presto, con la città che si sveglia e i pendolari che scarpinano mai avrebbe immaginato di essere stuprata.
Lui appartiene alla schiera di quelli che contribuiscono a rendere decorose le nostre città. Sostano davanti le stazioni, nelle piazze, contribuiscono a tenere vive le strade.
Qui, davanti la Centrale, ci bivaccano, ci dormono, ci “riposano”, ci vomitano, ci fanno i bisogni. Quando scendi a Milano devi stare attenta a dove metti i piedi.
Le forze dell’ordine, lui, il marocchino, l’hanno rintracciato – dopo che si era svuotato – grazie alle immagini delle telecamere.
Aveva addosso ancora gli indumenti della mattina. È stato difficile risalire alla sua identità dato che documenti non ne aveva e aveva fornito diversi alias. Lei, invece, è stata trovata in stato di choc, da una guardia giurata. Ogni passaggio dell’aggressione è stato da lei descritto ed è stato ripreso dalle telecamere. La trentaseienne è stata portata in ospedale. Lui in questura e quindi messo in carcere perché potrebbe colpire ancora.
Questo è il racconto, se così si può chiamare, di una violenza consumata la mattina presto in una delle città più note e grandi d’Italia.
Questo è lo specchio di quello che c’è lì fuori. E la cronaca nera quotidiana lo descrive perfettamente. Violenza e degrado. Degrado e paura. Una città allo sbando. La terra di nessuno. La paura di prendere un treno. Il timore rientrare a casa la sera. L’esigenza di farsi accompagnare quando avverti il pericolo. Ma questo nel magico mondo dei buonisti non è contemplato. Loro sono sempre dalla parte del prossimo. Soprattutto se questo ti invade clandestinamente e stupra le donne.

sbetti

Immagine d’ archivio.

“Vivo accanto all’assassinio di mio figlio”

“Mamma, papà mi ha detto una bugia di 4 parole”.
“Cosa ti ha detto amore, papà?”.
“Mi ha detto che Riccardo non c’è più”.
“No amore, non ti ha detto una bugia”.
“Papà ti ha detto la verità. Riccardo non c’è più”.
Questa donna Romina Ceccato è la mamma di Riccardo Laugeni. Il ragazzo di 22 anni morto la notte tra il 13 e il 14 luglio 2019 in seguito a un incidente stradale. Lui è uno dei quattro ragazzi morti a Jesolo. L‘auto su cui viaggiavano fu speronata da una vettura guidata dal romeno Marius Alin Marinica. E per loro non ci fu nulla da fare. Morirono annegati.
Il romeno scappò e non fu possibile nemmeno sapere se fosse stato ubriaco o no.
Ho incontrato questa donna ieri mattina e ho visto una forza pazzesca.
Al collo indossa la catenina con stampata la foto del figlio. La custodia del telefono ha impressa l’immagine di suo figlio. Ogni mattina e ogni sera questa donna va in cimitero perché per lei è come fargli il letto, mi ha detto. Se non lo fa si sente in colpa.
Da quando è morto il figlio sta conducendo una battaglia pazzesca. Portata avanti con una forza che non so nemmeno dove trova. È granitica. Fiera. Dura. Piange di nascosto, non si fa vedere. Alle unghie indossa uno smalto viola. In tinta con la maglietta. Le labbra disegnano un rossetto altrettanto in tinta. Che stupenda medicina sono i colori quando dentro muori. Che stupenda medicina è fare qualcosa per gli altri quando speri di cambiare le cose. Ma le cose in Italia non cambiano. Per farle cambiare ci vuole sempre il morto. E nemmeno basta. Questa donna si trova costretta a vivere accanto all’assassino di suo figlio.
Spero che il sindaco di Musile Silvia Susanna faccia qualcosa. Il giudice che prima lo aveva messo in carcere, ora l’ha messo ai domiciliari. Perché il suo difensore ha fatto valere un errore nei termini di prescrizione. Può farlo. È la legge sciagurata che abbiamo in Italia che glielo permette. Questa donna, tanto perché qualcuno disse “giustizia è stata fatta”, ogni volta che passa il centro del paesello pensa che suo figlio è al cimitero e che lì a casa, invece, ci sta chi quella maledetta notte l’ha ucciso.
Messo ai domiciliari il 14 luglio 2019, dopo che venne trovato dagli investigatori, Marinica di anni di carcere doveva farne otto. Invece ha fatto soltanto sei giorni. Questa è la giustizia in Italia. La madre ha detto che si incatena a Roma. Questa è la giustizia che concede sconti ai delinquenti e mette in galera le persone per bene. Walter Onichini per esempio.
Per il principio per cui ogni tre mesi ai domiciliari ci sono 45 giorni di sconto di pensa, al romeno di anni gliene mancano 4. Ma la legge prevede che sotto i 4 anni la pena sia sospesa. Mettici tutti gli errori della Madonna. Il romeno è fuori. Quando l’ho sentita e le ho chiesto cosa ricordasse di quella notte mi ha risposto: “ricordo che mia figlia mi ha detto: Papà mi ha detto una bugia di 4 parole”. “Quali amore?”
“Riccardo non c’è più”.
“Papà non ti ha detto una bugia figlia mia. Papà ti ha detto la verità”.
Mi vergogno a essere italiana ha scritto questa donna. Sinceramente anche io.
La mia intervista su Libero 👇

sbetti

Libero 23 ottobre 2022

Romina Ceccato è la mamma di Riccardo Laugeni, il ragazzo di 22 anni morto la notte tra il 13 e il 14 luglio 2019, in seguito a un incidente stradale a Jesolo, nel veneziano. Morirono in quattro quella notte. Oltre a Riccardo: Leonardo Girardi, Eleonora Frasson e Giovanni Mattiuzzo. Solo una ragazza si salvò. Avevano tutti tra i 22 e i 23 anni.Rientravano da una serata quando l’auto guidata dal romeno Marius Alin Marinica speronò la loro vettura. L’auto dei giovani si capovolse e finì in un canale. Per i quattro non ci fu nulla da fare. Morirono annegati. Il romeno scappò. Ci pensarono gli investigatori a rintracciarlo. La Cassazione la settimana scorsa ha confermato la pena di otto anni per omicidio stradale ma essendo ai domiciliari dal 14 luglio 2019 – per il principio che prevede lo sconto di pena di 45 giorni ogni tre mesi ai domiciliari – di anni gliene mancano 4 e la legge prevede che possa essere sospesa la carcerazione. Il giudice aveva deciso di condurlo in carcere, ma il legale dell’investitore ha presentato ricorso per un errore nei termini di notifica dell’ordinanza di carcerazione. La procura di Venezia lo ha accolto e il romeno è stato scarcerato.

Come ci si sente a sapere che l’investitore di suo figlio è ai domiciliari. “Una delusione. Ci sentiamo presi in giro. Non avevamo bisogno del contentino. E poi è stato messo ai domiciliari a Musile di Piave, dove abitano le vittime”.

Come a Musile? “Sì, potrà fare richiesta di fare lavori di pubblica utilità qui in paese, auguro ai cittadini che qualora lo vedessero, provino a mettersi nei nostri panni. Spero che l’amministrazione comunale non gli faccia fare servizio qui”.

Abita vicino a voi? “In centro. Qui vicino”.

Lei lo incontra mai? “Lo vedo in terrazza. La mamma di una delle vittime ha preso degli insulti”.

Dopo che le ammazzato il figlio? “Sì. Lui abita sopra una banca, io devo andare altrove a prelevare perché lì ci abita l’assassino di mio figlio? A lei sembra normale? Come fai a continuare ad andare in centro sapendo che lì c’è chi ha ucciso tuo figlio? Mio figlio è in cimitero e lui è a casa”.

Cosa chiede? “Chiedo di essere ricevuta dalle istituzioni e se nessuno lo farà, andrò a Roma e mi incatenerò. Chiedo a sindaci, assessori, al presidente Luca Zaia se possano ascoltare questi genitori per far sì che la legge possa fare giustizia”.

Non c’è mai stata coincidenza tra giustizia e legalità. “No. Ma se qualcuno ha commesso un errore nei termini perché non deve pagare?”.

Chi ha sbagliato? “A noi è stato detto che con la scusa dei quattro anni la pena viene sospesa. È stato condannato con rito abbreviato, si rende conto?”.

Quando è finito in carcere? “Il 14 ottobre scorso e il 20 è stato liberato. Ha fatto sei giorni. Praticamente un giorno a testa per i ragazzi e per la sopravvissuta, anche lei è una vittima”.

La vita di ciascuno vale un giorno. “Sì secondo chi ha dato questa pena sì. La vita delle persone vale un pezzo di carta”.

Eppure qualcuno ha parlato di giustizia fatta.“Ma quale giustizia? Ognuno vive il proprio lutto alla propria maniera. Io vado in cimitero la mattina e la sera perché per me è come fargli il letto. Se non lo faccio mi sento in colpa. Gli incidenti poi sono sempre più”.

Come quello di Francesco Valdiserri. “Sì, chi l’ha investito da ubriaca è ai domiciliari. Stiamo scherzando?”.

Marinica era ubriaco? “Non si è nemmeno fermato. E loro sono rimasti lì ad annegare. Sa cosa significa annegare? Io vorrei chiederlo ai giudici. E se fosse stato vostro figlio?”.

Cosa ricorda di quella notte? “Mio marito è luogotenente dei carabinieri. Fu avvisato dai colleghi. Io ero tranquilla perché mio figlio mi aveva detto che andavano a mangiare la pizza da Eleonora – una delle vittime ndr. Poi in pronto soccorso ho sentito mio marito dire: “Riccardo non c’è più”. Io chiedevo è morto? È morto? Non ricordo più nulla, mi sono svegliata con i macchinari addosso. Mia figlia mi disse: “Papà mi ha detto una bugia di 4 parole”. “Quali?”, “Riccardo non c’è più”. “No, le risposi, papa non ti ha detto una bugia, è la verità”.

Serenella Bettin

Tamponi. Il folle trucco dei falsi guariti

Pezzo uscito su Libero il 24 gennaio 2022

Che avranno mai da inventare ancora questi no vax per sfuggire alla vaccinazione. Adesso anche i finti guariti così da ottenere il certificato verde. In questo momento ci sono 11 squadre dei Nas dalla Liguria al Friuli che stanno controllando a tappeto tutti i punti tampone e le farmacie. Nell’ambito delle loro indagini si sono accorti che al momento del tampone viene controllato il codice fiscale e non il documento d’identità.Fatta la legge, trovato l’inganno. I no vax hanno capito subito di potersi infilare nel buco di questa pratica. E quindi cosa fanno. Ingaggiano un amico positivo al covid e gli danno il proprio codice fiscale. L’amico positivo, cavia e palo, torna a fare il tampone col codice fiscale dell’amico no vax negativo. Così da ottenere la trascrizione della positività. Dopo una settimana il no vax “finto positivo” va a fare il tampone e tac. Risultato negativo. In questo modo ottiene il certificato da “guarito”. Anche se positivo non lo è mai stato. Stratagemmi che come ha dimostrato la narrazione folle di questi episodi, vengono sempre scoperti, quindi non si capisce il motivo per cui ci si ostini a infrangere le regole. Ma il mestiere del furbo, lo sappiamo, è assai noto. C’è anche chi da positivo manda il fratello negativo a fare il test così da ottenere il via libera. Il sospetto ora è quello di una truffa messa in atto da persone alla caccia di un tampone positivo per ottenere il certificato. “Questi controlli li stiamo facendo da una settimana – spiega a Libero il comandante del gruppo tutela della salute dei carabinieri di Milano, Salvatore Pignatelli – nelle quotidiane attività che facciamo abbiamo visto che spesso, per questioni di rapidità, ci si limitava a chiedere solo la tessera sanitaria e non la carta d’identità. Ma anche la misura del tampone necessita di una completa identificazione per evitare che ci possano essere abusi. Siamo intervenuti per evitare che un positivo possa andare a fare un altro tampone col codice fiscale di un altro”. Tra gli abusi possibili quello di “sottoporre a tampone persone positive con più tessere sanitarie in diverse farmacie, per far emettere Green pass a nome di soggetti non immunizzati”. Da parte delle farmacie e delle aziende sanitarie, ci fa sapere Pignatelli, c’è la massima collaborazione. Così. Se già erano oberati di lavoro e tutti lamentavano le code chilometriche, ora i tempi è probabile si raddoppino, dato che il controllo dell’identità deve avvenire come ha ricordato Pignatelli in modo compiuto. Al momento le persone denunciate in Italia non sarebbero poche. Anche la settimana scorsa in Alto Adige sono state sospese 31 delle 3000 postazioni per l’inserimento degli esiti dei tamponi, per il sospetto che siano stati registrati dei “falsi positivi” per facilitare ai no vax l’accesso al Super Green pass in quanto “guariti”. I militari hanno accertato che gli addetti ai test siano effettivamente abilitati a farli e che tutto si sia svolto nel rispetto delle norme. Controlli anche in Veneto fanno sapere dai Nas, per verificare la corretta esecuzione dei test. Qui ancora non risultano illeciti di questo tipo. Insomma questi trucchetti sembrano tanto quelli degli adolescenti per saltare le interrogazioni. Peccato che qui ci sia di mezzo la vita. Quella degli altri.

Serenella Bettin

Ci sono posti dove tornerò sempre

21 novembre 2020

Dal diario di Facebook del 21 novembre 2020

Ci sono dei posti dove tornerò sempre. Casa. Oggi a Venezia è la Madonna della Salute. Ci sono dei posti che mi riappareggiano l’anima. Che me la cullano. Me la caricano. Me la riappianano.
Quando devo pensare adoro sfinirmi e farmi male. Devo sentire che le gambe corrono da sole. La mia testa deve essere completamente concentrata sul corpo. Devi avere la mente annebbiata dal freddo e dalla fatica per vederci chiaro.
E allora ci sono dei posti dove da qui se ti sporgi un po’ più in là ci vedi le montagne, che giocano a nascondino con le nuvole, che invece quando il cielo è chiaro limpido perfetto le vedi bene, alte, erette, dritte. Immerse sullo sfondo creano figure dipinte nel cielo. Svettano verso l’alto. E sei lì che te le immagini. Te le immagini le montagne quando ti avvicini. Te le immagini di starci appresso. Di salirci addosso. Quando respiri l’aria, l’odore il sapore di montagna. Quando la sigaretta non ti sembra la stessa perché è quella che senti fredda secca gelida. È quella che sa di montagna. Che sa di fresco. Che sa di aria incontaminata. Quella che le dita ti si rattrappiscono dal gelo.
E ci sono quei posti dove gli alberi li vedi tingersi di rosso arancio arancione. Che sagomano figure lungo il cielo, con il sole che tramonta dietro. Ci sono posti che sanno di casa. Che sanno di casa sempre. Per noi abituati a sentirci a casa ovunque. Posti dove il sole tramonta e sorge sempre. Anche nella notte. Questi sono i posti dove mi piacere camminare. Correre. Sentire che i pensieri scivolano via lungo le gambe e il corpo si rigenera tutto. La mente spazia. Si apre. Coltiva nuove idee. Acquista nuova forza. Assume nuovo vigore.

#sbetti

Siamo tutti buzzurri

Mi lascia alquanto perplessa una notizia del genere. E mi lascia perplessa perché non riesco a capire dove sia la notizia.
Gli Europei di calcio che si sono disputati dall’11 giugno all’11 luglio e che hanno visto la gloriosa e storica vittoria della Nazionale di Roberto Mancini rientrano nelle manifestazioni autorizzate.
Gli Europei sono stati permessi.
Non è che quattro giocatori si sono inventati di scendere in campo e hanno occupato lo stadio. La manifestazione che si è svolta, si è svolta nel pieno e completo rispetto delle norme di sicurezza. Nemmeno Sergio Mattarella aveva la mascherina e tanto basta.
I festeggiamenti che sono stati permessi dopo, sono stati autorizzati.
Mi sembra ovvio che se consenti a una Nazionale di calcio di giocare una partita, la gente poi in caso di vittoria e anche non, si riversa sulle strade e fa festa.
Ma bastano le vacanza a far aumentare il contagio.
Additare e puntare il dito contro chi ha festeggiato dei festeggiamenti ovvi e permessi, ecco, non mi pare molto onesto.
Ma soprattutto mi chiedo.
Possiamo stare dietro a tutti i contagiati del mondo?
Praticamente per passare come appestato basta aver contratto la malattia. Non importa se non hai sintomi e stai bene. Il solo fatto che tu sia positivo al virus ti fa apparire agli occhi degli altri come un delinquente, un buzzurro, un fuori legge, che non sa stare a questo mondo, perché se contrai il virus è ovvio che è colpa tua che non hai messo la mascherina, te ne sei andato in giro, hai gridato sputando nel piatto, ti sei messo le dita nel naso e non ti sei lavato le mani per la 284 volta di ritorno dal cesso.
Ora scusate. Ma a me pare. E non per peccare di presunzione. Che i dati da tenere monitorati debbano essere quelli dei ricoveri e delle terapie intensive non quelli dei contagiati come fossero appestati dai bubboni della peste.
Soprattutto se sono dieci ragazzi che altro non facevano quello che hanno fatto tutti.
Festeggiare una Nazionale dato che almeno nel calcio siamo tutti italiani.
Vi auguro buon pranzo.

#sbetti

UEFA EURO 2020 Gianluca Viallihttps://www.facebook.com/MrRobertoMancini

La vedete questa ferita?

La vedete questa ferita o è troppo per voi?
La vedete bene? Li vedete come i punti incidono e recidono il volto?
Allora giusto per ristabilire il giusto ordine delle cose. Lo yin e yang. Questo ragazzo si chiama Michele Dal Forno, è uno studente di Verona, c’ha 21 anni e di sera fa il porta pizze per racimolare qualche soldo.
Sabato scorso dopo aver fatto il giro per le sue consegne, ha sentito una ragazza che discuteva con due altri due ragazzi.
Lei piangeva ed era spaventata.
Si è avvicinato per chiedere se avesse bisogno di aiuto e uno dei due, entrambi minori, ha iniziato a insultarlo.
Poco dopo l’altro ha estratto un coltello da una tasca e ha colpito Michele al volto.
La coltellata gli ha provocato una lesione e una cicatrice sotto l’occhio sinistro che probabilmente gli rimarrà per il resto della vita.
E Michele “per” aver difeso una persona si è ritrovato con sessanta punti di sutura.
Ora avrebbe potuto benissimo voltarsi dall’altra parte, fare finta di niente, abbassare il casco e sgommare e invece non l’ha fatto. 
Avrebbe potuto benissimo dire non vedo non sento non parlo e invece è intervenuto pagandola a caro prezzo.
Queste sono le persone che andrebbero difese ma non ho visto tanti Grilli e Toninelli cantare per difendere un ragazzo di poco più di vent’anni che di giorno studia in questo clima di matti e di sera consegna pizze per mantenersi.
Non li ho visti. Non ho visto i Grilli e i Toninelli di turno torcersi i capelli perché un ragazzo che una sera a Verona viene aggredito perché prova a difendere una donna non è ammesso.
Ho visto invece un padre difendere il figlio perché se c’hai il pisello di fuori non fa niente. Soprattutto se lei era consenziente.
Consenziente.
Consenziente.
Consenziente.
Consenziente è la parola preferita nelle aule di tribunale nei processi per violenza. Sono così talmente abili che ti convinceranno di essere stata consenziente.
“Ma lei era consenziente?”, ti chiedono con gli occhi sbarrati piccoli grandi quanto formiche. “Quindi lei sapeva che andando in camera sareste stati soli e che a quel punto è normale che lui possa avanzare delle avances?”, ti chiede l’avvocato difensore che scandisce le parole come nei thriller di Grisham e che c’ha il ciuffetto grigio incollato di gel e che se ne sta davanti al banco degli imputati alzando le mani al cielo con la toga che rimbalza e si inarca e si abbassa a seconda dei movimenti delle spalle.
Sì sapevo.
E no.
Non è normale.
Non è normale che una donna venga aggredita. Non è normale che una donna venga stuprata. Non è normale che un uomo che intervenga per difendere una donna si trovi con una coltellata in viso.
Non sono normali tutti i teatrini. Grillo. Grillini. I video. Toninelli. Ma lei la difende perché. Bla. Bla.
Non è normale quelli che dicono che se l’è cercata. Perché in fondo se c’hai la minigonna puoi anche essere stuprata.
L’aggressore di Michele Dal Forno ha sedici anni. Di origine albanese. Ora si trova nel carcere minorile di Treviso accusato di lesioni gravissime aggravate dai futili motivi.
Ed episodi così sono in continuo aumento. Vedi qualche settimana fa, a Mogliano, Marta Novello aggredita da un quindicenne mentre stava correndo con venti coltellate.
Ora il titolare della pizzeria dove Michele lavora, la Oasi Gourmet Ronni Tarocco ha pensato a una colletta per aiutarlo.
E hanno già raccolto 42 mila euro! 42 mila.
Non ho visto tanti plausi.
Non ho visto tante indignazioni per un fatto che a pensarci mette i brividi. Basta guardare la foto.
Ah certo. Il video dei piselli di Grillo attira più like su Facebook.

#sbetti

Sì vaffanculo. È tutta farina del mio sacco

Io ricordo ancora quella prof della seconda liceo che al primo tema di italiano mi scrisse: “è tutta farina del tuo sacco?”.
La mandai a fareinculo. Glielo sussurrai proprio mentre tornavo al posto con le buffalo ai piedi e gli occhi tinti di nero. Lei mi sentì. E così chiamò i miei genitori. Era la prof Massironi. Mio padre non si risparmiò. Credo l’abbia mandata a fareinculo pure lui.
La prof era appena arrivata, in prima ne avevamo un’altra, ed era rimasta sorpresa perché avevo fatto un tema in un’ora e mezza, senza errori, e con un contenuto che a detta sua era copiato e non era farina del mio sacco. Discuteva anche la forma. Perché diceva che era impossibile.
Allora la detestai quella prof. La vedevo come una mancanza di rispetto. Di fiducia. Di fiducia nei nostri confronti. Nelle nostre aspirazioni e nelle nostre ambizioni. E sensazioni.
Che ne sa Lei mi dicevo di una ragazza di quindici anni che la sera gioca a fare la donna con la minigonna davanti lo specchio. Che ne sa. Che ne sa lei di “quel rossetto che a tuo padre non è andato giù”.
Allora ricordo anche che mi impegnavo per fare i temi male. Ma i temi mi riuscivano sempre bene. Non si scusò mai quella professoressa. Né io feci di tutto per farmi amare. Anzi.
Allora ieri ho scritto di questa ragazza – oggi trovate il pezzo sul Giornale – che ha dovuto sostenere l’interrogazione bendata perché la prof di tedesco non si fidava della sua preparazione e temeva stesse leggendo. E mi sono detta: “che mondo stiamo vivendo. Che brutti siamo diventanti. Ecco a cosa andiamo incontro”.
Ricordo anche che mentre scrivevo il pezzo mi si è accapponata la pelle nello scrivere che nel 2021 in piena pandemia da coronavirus una ragazza di 15 anni fosse stata costretta a bendarsi con una sciarpa per poter essere esaminata. Robe da guerra. Robe dalla Germania dell’ Est. Demenziali. Angoscianti. Folli. Abbiamo perso il lume della ragione.
Non sappiamo più distinguere se chi ci sta davanti è una macchina o una persona. Perché allora un giorno parlavo con Marco Gervasoni, ordinario di Storia Contemporanea nell’Università degli Studi del Molise. E mi ha detto alcune cose che mi hanno fatto riflettere. Intanto che cresci con la convinzione che per parlare con qualcuno hai bisogno di una macchina. Poi che questa cosa della didattica a distanza è “totalmente asettica. Si rischia di creare una generazione emotivamente un po’ arretrata, un esame in presenza è una prova di crescita. E poi si crea una generazione di persone sole”.
“Il corso a distanza – mi ha detto Gervasoni- è stata una delle esperienze più orrende della mia vita: non vedi i volti, parlavo davanti a una lista di nomi”.
Allora oggi scrivendo questo pezzo, mi sono chiesta cosa possa ricordare e cosa possa vivere dentro di sé un’alunna di 15 anni che in seconda liceo deve bendarsi per essere interrogata. E mi è tornata in mente quella frase scritta su quel tema della mia seconda liceo. “È tutta farina del tuo sacco?”.
Vaffanculo sì. Sì.
È tutta farina del mio sacco.

#sbetti

Treviso è di una bellezza estrema

Perché è bella Treviso, bellissima. Con i suoi vicoli, i suoi ponti, le sue stradine strette, i suoi balconi, con gli affreschi sotto i portici, i salici piangenti, le strade contorte, i riccioli sui palazzi, i gabbiani che ti passano davanti, venti, trenta, quaranta, in fila indiana, piroettano giravolte nel vento colorandone il cielo, qui c’è la Pescheria “frondosa di castagni”.

È la più tipica del mondo: galleggiante sulle acque… – diceva Comisso -. È una città umana e completa fatta su conoscenza delle necessità e dei desideri degli abitanti”.

Ci vado spesso e ci ho fatto un servizio sul #Giornale …

👉 https://www.google.it/amp/s/amp.ilgiornale.it/news/spettacoli/spartiacque-passato-e-speranza-era-ed-ancora-palazzo-dei-1926790.html

Come un uomo d’altri tempi

Venezia, giugno 2019

Due anni fa, lavorando al Salone Nautico, una mattina, passando per Piazza San Marco, mi si avvicina un uomo.
Che prende e mi consegna una busta. Lì per lì lo guardai. Non sapevo se accettare o meno. Ma la curiosità era talmente tanta, che anche se indecisa avrei accettato lo stesso.
Mi disse: “tieni è per te. Apri”.
Dentro la busta c’era questa foto. Io me ne stavo intenta a fumare in pausa pranzo o colazione o chissà cosa – in quei giorni confondi i pranzi con le cene – e lui fece questo scatto. Era un fotografo. Mi disse: “hai un viso particolare, sei uno dei più bei soggetti che io abbia mai fotografato”.
Mi disse che si era innamorato dei miei lineamenti. Duri. Spigolosi. Asciutti.
Non lo disse per secondi fini. Perché non mi lasciò un numero. Non mi lasciò nemmeno un nome. Completamente sparito.
Mi sembrava un uomo d’altri tempi, uno che consegna una foto a una donna e non per portarsela a letto.
Non mi lasciò un bigliettino. Non mi lasciò niente.
Io chiesi anche il suo nome. Forse mi disse Paolo. Ma ora non ricordo. Mi disse: “va bene così, credimi”. E sparì. Aveva stampato la foto con l’attrezzatura che si portava dietro.
Oggi Venezia compie 1600 anni e se devo scegliere una foto ricordo, scelgo questa, rimasta chiusa nel cassetto per due anni.
Non ho mai avuto il coraggio di tirarla fuori. Non ero pronta.
Perché è proprio così che io ho amato e amo Venezia, come un uomo d’altri tempi ama una donna. L’ho amata.
La amo tutt’ora. L’ho sviscerata. Ho imparato ad amarla così com’è. Per quello che ti regala. Per quello che ti dà. Rispecchiando la sua indole così ribelle e coraggiosa. Libera.
Anche di finire sott’acqua.
Ancora ricordo i primi tempi a Venezia. Quelli di quando da bambina, sorpassata la fase iniziale di Venezia tutta bella, impari a doverne fare i conti con la realtà veneziana.
Conosci gli inverni. Le estati. Gli inverni con l’acqua alta, col freddo che ti si torce contro, che ti si riversa addosso. L’estate con i turisti. Con i bastoncini dei selfie, con il trotterellare dei trolley e lo sbuffo dei vaporetti.
È così che voglio festeggiare Venezia. Con l’immagine di quello che tornerà.
Perché quello era tremendamente bello.

#sbetti

Zero lamento. Alza il volume. Si alza pure l’umore

#nevergiveup

Personalmente mi sono un po’ stancata di chi si lamenta e basta. Io sono sempre stata un’entusiasta nella vita. Sì. Ok. Perfetto. Buongiorno. Grazie. Buonasera. Certo! Ci mancherebbe. Alza il volume. Si alza pure l’umore. Ma invece. Invece a volte mi capita di dovermi interfacciare con persone che le senti che vogliono portarti sotto. Che ti prendono di traverso. Che ti afferrano per il braccio, la gamba, il piede, e più tu dici che no, che bisogna andare avanti, che bisogna guardare con ottimismo verso questa vita, almeno essere grati a chi ce l’ha donata, loro no, no, no, loro sono lì come i dannati che ti prendono ti prosciugano le forze, ti annichiliscono, ti rubano l’anima, ti consumano, ti inaridiscono, ti sventrano. Tu sei lì che con un piede tenti di risalire, di scrollarteli di dosso, e invece no. No. No. Loro sono lì che si compiacciono. Che chiuderebbero tutto. Che aspettano. Dio solo sa cosa. In tuta. Senza fare niente. Senza innovarsi. Senza trasgredire. Senza dire alcunché.
E così mi è capitato questi giorni di interfacciarmi con lavoratori dipendenti imprenditori artigiani commercianti. Lì vedi quelli svegli. Quelli sgaggi. Quelli che hanno ancora voglia di fare qualcosa. Che non aspettano. Fanno il doppio. Si inventano. Si reingegnano. Sono quelli che hanno professionalità. Zero improvvisazione. Lavorano a testa bassa a ritmi di 24 ore al giorno. Anche mentre dormono la loro testa pensa. Pensa. Pensa. Pensa. Perché alla fine di ogni guerra dalla fogna e dalla trincea bisogna uscirne.
Solo la forza di ciascuna persona può fare la differenza.
E poi ci sono quelli invece che li vedi. E sono quelli più giovani anche. A volte pure under 30. Zero voglia di fare. Tutto dovuto. Zero sacrificio. So sono ritrovati mantenuti con le vite di mamma e papà e si ritrovano a quarant’anni ancora a casa. Lo leggevo oggi sul Giornale in un bellissimo commento di Giacomo Susca.
Vite sprecate. Passano le loro giornate a sperare in un tempo migliore. Nell’attesa che arrivi qualcuno, magari il governo che si faccia in quattro per loro.
Personalmente sono stanca di raccogliere lamentele di questo tipo. La mia testa chiede altro. La mia vita vuole altro. Io i 30 anni me li devo bere. Scolare. Vivere.
Ci sono stati periodi in cui avevo la testa sotto i piedi. E ho sempre capito che vince chi non si lascia abbattere. Chi combatte. Chi si ribella. Chi non si piega. Chi si ingegna. Chi si inventa. Chi se gli dici di non andare, prende e va. E se ne fotte. E così che bisognerebbe vivere. Con la musica in sottofondo. L’auto che viaggia. Il tettuccio aperto. La sigaretta tra le dita. Facendo. Andando. Cliccando. Lavorando. Producendo. E non esiste lamento. Non esiste tormento. La mia testa non riesce più a sopportare il lamento fine a se stesso. Senza fine. Come a dimostrare e compiacersi che è tutto brutto. Non lo è. No. Non è tutto brutto. Quando ballavo e la sera avevo i piedi consumati dalla fatica mi dicevano che il dolore di oggi sarà la forza del tuo domani. Che se vuoi raggiungere qualcosa e cambiare la tua vita devi prima non abbatterti. Darti da fare. Mai mollare. #nevergiveup.
Oggi ho parlato con un imprenditore. Visionario. Vi racconterò. Mi ha rimesso energia. Voglia di fare. Carica. Aria libera. Sole. Colore. Lui ha preso. Ha immaginato. Disegnato. Inventato. Ricucito. Ha tessuto le tela della nuova era. Quella che verrà.
Ha volato alto sui disastri. Ha saputo guardare avanti. Indietro. In mezzo. Ha ripercorso gioie dolori e tormento.
Mi ha rimesso addosso quella sana consapevolezza che torneremo a far la vita di prima. Che ci sarà un giorno in cui nemmeno ce ne renderemo conto. L’uomo si adatta in fretta. Si evolve. E poi basta con questi tavolini transennati. Con queste facce mosce. Con questo terrore. Con questo lamentarsi. Basta. Basta.
La psicologia dice tutto. La testa in questi casi incide tantissimo. Bisogna scavallare. Andare oltre. Gettare fuori il pensiero negativo. Sputarlo. Vomitarlo. Calpestarlo. Lasciarselo scivolare addosso. E scusate. Scusate. Non è retorica. È uno stile di vita. Serve gente propositiva. Entusiasta.
Che abbia voglia. Che abbia negli occhi quella fiamma che mai si spegne. Nemmeno dinanzi al tunnel.
È la vita. E bisogna combatterla.

#sbetti

#nevergiveup

Il mio lavoro è fatto di continui sbalzi e sobbalzi

Sommacampagna 13 marzo 2021

Il mio lavoro è fatto di continui balzi. Sobbalzi. Sconquassamenti generali. Che ti portano ad avere una vita piena di emozioni. A volte belle. Altre volte brutte. Ci devi fare i conti.
Il mio lavoro è un continuo peregrinare e girovagare che ti porta a vivere una vita a mille. On the road. Che ti porta a sentire l’adrenalina che ti sbatte addosso, che ti sale dentro. Incontrare persone fantastiche. Fermarsi per fare benzina. Bere un caffè al chiaro di luna. Scendere. Partire. Lasciare. Disfare. Fare valigie. Andare. E tornare.
Il mio lavoro è anche un lasciarsi trasportare dai sapori e dai colori della terra. Avere orecchie per ascoltare. Per sbalordirsi. Per meravigliarsi. In questo mondo così malato bisognoso di bellezza.
È un sentirsi a pelle. Fidarsi. Affidarsi. E la sera quando sprofondi e ti lasci cullare dal letto, ringraziare. Chi ti è stato accanto. Chi ti ha dato conforto. Chi ti ha insegnato. Chi ti ha arricchito.
Il mio lavoro è avere mani per stringere.
Dita per scrivere.
Sigarette per fumare in compagnia, da soli, davanti a un panorama che ti spiazza fuori.
Il mio lavoro è fermarsi su un campo e ascoltare la natura. Quello che ha da dirti. Quello che con le sue pieghe e i suoi colori ti racconta. Così fragile. Così forte. Così bella. Così immensa.
Il mio lavoro è partire una mattina per una destinazione. Percorrere strade, mattone su mattone, casa dopo casa, campo dopo campo, mare dopo mare, montagna, dipende. Il mio lavoro è avere il fiuto cucito addosso per andare a cercare le storie. Quelle belle. Quelle dove ti ci immergi. Quelle che quando ci sei dentro ringrazi per esserci arrivato.
Il mio lavoro è stare a sentire. Capire. Partecipare alle gioie agli orgogli e ai dolori degli altri.
Il mio lavoro è lasciarsi sbalordire dai racconti. Sentire già la musica delle parole che ti sale dentro. Che te la senti addosso.
Che non vedi l’ora di immergerti e scrivere a suon di sigarette. Il mio lavoro è parlare con qualcuno del proprio lavoro. Lavori centenari. Innovazione. Tradizione. Le due anime che si fondono insieme e creano reddito.
Il mio lavoro è scavare. Approfondire. Cercare. Capire. Non accontentarsi. Essere sempre affamati. Mai sazi. Il mio lavoro è berselo tutto. D’un fiato. Immergersi dentro. Senza paura. Senza rimpianto. È lasciarsi andare su per le colline di un vigneto. All’interno di un’azienda. In una casa storica. Farsi guidare. Lasciarsi incantare. Il mio lavoro è ritrovarsi seduti a tavola e conoscere persone splendide. Che hanno storie di vita. Di vita vissuta. Storie da raccontare.
Ma soprattutto il mio lavoro è ringraziare. Una donna oggi mi ha detto la cosa più bella che potessi dirmi una persona dopo una splendida giornata: grazie del tempo.

#sbetti

Macchissenefrega dei giovani

Mestre 14 marzo 2021

Oggi tutti i ragazzi saranno ancora, per l’ennesima volta, a casa da scuola. Questa è una manifestazione andata in onda ieri a Mestre. Le magliette rappresentano i ragazzi i bambini, quegli esseri invisibili che da un anno a questa parte sono stati travolti dall’inerzia di un governo che ha pensato ai banchi con le rotelle. L’incapacità del ministro Azzolina ci costa cara. Farà danni. Incolmabili.
Tanto chissenefrega. Chissenefrega se i nostri, vostri ragazzi e bambini perdono due anni di scuola! Due. Con un ministro alle Politiche Giovanili Fabiana Dadone, targata cinque stars, che mette le scarpe sopra la scrivania con la felpa dei Nirvana solo questo ci si poteva aspettare per i giovani.
Come a dire: io vi calpesto. Voi e tutti quanti.
Cosa diranno mai i genitori di questo ministro che difende la festa della donna con le scarpe rosse e non difende tutti quei ragazzi che domani l’unico percorso che faranno – ancora dopo un anno e un anno ancora – sarà andare dalla tazza del cesso alla tazza del latte sopra il tavolo pronti per una lezione dove non si vedono nemmeno i volti.
Figlia mia, come non ti vergogni, a non portare rispetto, con dietro la bandiera d’Italia, con gente che non ha più un lavoro, che vive a casa disperata in 45 metri quadri che domani diventeranno dieci col resto di due perché in quelle caverne ci devono stare tutti.
Ma i tuoi genitori non ti dicono niente? Ingrata.
Un ministro che dovrebbe tutelare l’interesse dei giovani e che poggia le scarpe sopra un tavolo istituzionale. Con gente che una scrivania non ce l’ha nemmeno più.
Ci sono studenti che è da febbraio 2020 che non vedono un’aula universitaria. Ci sono ragazzi ridotti in casa a studiare come larve consumate sopra libri di cui non se ne vede più il senso. “A cosa studio a fare”, mi chiedono alcuni quando li incontro.
Ci sono bambini chiusi in case di 45 metri quadri a condividere odori di cipolla chiodi di garofano briciole sul divano, immersi in qualche libro da leggere colorare e studiare. Manca la concentrazione. Si spegne la voglia.
Ma tanto i giovani ma chissenefrega. I giovani sono quelli che usano nelle campagne elettorali. Sono quelli che ti dicono: “puntiamo ai giovani”. “Spazio ai giovani”. “Il futuro è dei giovani”.
Sono quelli che gli uffici stampa dei politici passano le notti a scartabellare documenti file elenchi e prendersi giù i nomi e poi contattare i giovani su Instagram e proporre loro che il futuro sarà migliore, che si faranno nuove cose, idee, progetti e invece.
Invece come ogni volta a rimetterci sono sempre loro. I giovani. In un anno li hanno resi inermi. Depressi. Incapaci di rincorrere i sogni. Di porsi obiettivi. Di assumersi responsabilità.
Stravaccati sul divano. E ora ne paghiamo le conseguenze.
Con i genitori disperati perché non sanno come fare. Alcuni lavorano. Altri devono lasciarli. A chi! A chi se nemmeno i nonni.
La scuola è socialità. La mente, fin da piccoli, si abitua a reagire al corpo dell’altro. A sentirne il freddo. Il caldo. A toccarsi con mano. La mente non è pensata per progredire in questa indolenza e inerzia e frigida realtà.
Li avete lasciati con le storie su Tik tok. Con gli influencer. Con le storie su Instagram che rimangono per 24 ore e poi chissenefrega. Manca l’empatia. Lo scambio. Il confronto. Il sacrifico. Lacrime e sudore. I giovani sono i preservativi delle campagne elettorali. Durano il tempo che devono durare.
Come si può pensare in un Paese civile di far perdere oltre un anno e mezzo di scuola a questi ragazzi.
Hanno comprato i banchi con le rotelle. In Veneto sono finiti in soffitta perché non andavano bene e causano danni alla schiena.
Hanno preso e vaccinato gli insegnanti. Vi hanno detto che i giovani i bambini i nipoti non devono andare dai nonni. Hanno chiuso le biblioteche. Le aule studio. I luoghi di cultura. La gente si contagia più fuori nelle case se ancora non l’avete capito. Dove devono andare questi giovani? Dove?
Le lotte le abbiamo fatte tutti. Le rivoluzioni. Ma se già a voi vi hanno assuefatto la testa. Se già siete incapaci di pensare con la vostra testa per capire cosa potete e cosa no, cosa devono fare i giovani? Cosa?
Li avete fatti passare per untori. Figli di un Dio minore col senso di colpa addosso che non se ne va. Si alimenta. Diventa rabbia. Frustrazione. Costernazione.
Molto facile dire che i giovani devono lottare. Quando i vecchi che hanno lottato hanno dimenticato come si fa.

#sbetti

Il mondo ha bisogno di donne intelligenti

Questa sera mentre facevo zapping in televisione e mi preparavo alla maratona notte horror – avete – rotto i coglioni – hashtag #andràtuttobene #beneuncazzo – ecco mentre facevo questo mi sono cadute le palpebre su Maria De Filippi che conduceva C’é Posta per Te. Allora mi sono soffermata un attimo, perché mi aveva colpito il viso di una donna che in lacrime se ne stava lì davanti milioni di italiani – dato che di sabato sera per i più è l’unico passatempo – e si faceva umiliare da un uomo che se ne stava al di là della busta davanti milioni di italiani. Allora ho ascoltato un attimo e lui a un certo punto ha detto che lei ha fatto tanti errori.
Ma perché le donne sono così masochiste da farsi umiliare al punto tale da essere ridotte a scusarsi, pentirsi, genuflettersi, flagellarsi.
Io scusa, ma non mi scuso.
Perché ne ho viste di donne così. Ne ho viste tante. Ne vedo. Sto raccogliendo storie di donne violentate, massacrate, ridotte in fin di vita, sequestrate in casa, ferite, angosciate, violentate fin da piccole.
I sensi di colpa che aumentano. Il bisogno di dipendenza verso l’altro che prende il sopravvento. Diventa una larva. Un legamento, incapace di recidersi, di staccarsi. L’incapacità di stare sole. Il sentirsi dire di tutto e di tutto e di più. La mancanza di un lavoro. L’essere sempre gentili cordiali servizievoli. Io non sono servizievole per niente. Soddisfare le voglie che si consumano in un letto dove ormai non ci sono più nemmeno le stelle, le farfalle; solo foglie secche. E poi quelle mani nude dure crude, alcune troppo magre, alcune troppo grasse. Mani molli, flaccide, ti scivolano via come dei guanti, tanto la presa è molle.
Che senso ha.
Che senso ha a volte mi chiedo quando vedo donne che vivono una vita infelice. Che non vogliono. Aggrappate a un uomo che detta lui le leggi del loro mondo. E non sono femminista. Anzi. Per certi aspetti sono molto maschilista. Gli uomini hanno un’altra stoffa. Perché poi ne conosco di donne, che soprattutto adesso durante il lockdown hanno perso il lavoro, non sanno come fare, si sentono brutte trascurate non amate. Non vogliono vivere in casa con l’orco. O con un uomo che non amano.
In quel caso bisogna avere il coraggio di prendere e andarsene.
Perché poi un giorno. Un giorno, a novembre scorso mi scrive una donna che non conosco. Ma il messaggio l’ho letto l’altro giorno. L’ho recuperato dentro la cesta dove finiscono i messaggi delle persone che non conosci. E che oberati di messaggi come siamo, mai aprimiamo. Il messaggio faceva così: “Ciao Serenella, è da un pò di tempo che ti seguo (…) Noi ovviamente non ci conosciamo ma ti devo rendere partecipe di uno scorcio della mia vita, perché è grazie alle tue parole, dette belle dirette forti e taglienti, che adesso ho fatto tabula rasa e sono ripartita da zero. Alcuni mesi fa in un tuo post ti sei accanita contro quelle donne illuse di vivere una vita perfetta con i loro (falsi) mariti perfetti. E io ho pensato: ma come si permette di fare di tutta l’erba un fascio, come si permette di giudicare noi donne con le nostre vite perfette!E poi però me lo sono riletto quel post e giorno dopo giorno quelle parole mi ronzavano in testa e mi dicevo che forse, invece di zittire i miei pensieri, avrei dovuto ascoltare il mio rimuginare per capire e fugare ogni dubbio….E io ero la tonta, l’illusa, la perdente. L’ho capito quando ho preso coscienza di cosa fossi diventata (…) Ma per me stessa cosa ero? Chi ero? Nessuna risposta. Questo silenzio, questa mancata risposta mi ha raggelata. Tutta una vita dedita ad uno scopo che non era il mio”.
Allora l’altro giorno le ho risposto. E le ho chiesto come sta andando.
Mi ha detto che ora ha una nuova vita e che si sente una Regina.
Allora ho pensato che a volte sì mi capita di accanirmi contro queste donne incapaci di stare in piedi da sole. Che devono aggrapparsi a un uomo per riuscire a sopravvivere o a delineare il percorso della propria vita.
Alda Marini diceva “Quanti uomini ho sentito dire che desiderano una donna intelligente nella loro vita! Io li incoraggerei a pensarci bene. Le donne intelligenti prendono decisioni da sole, hanno desideri propri e mettono limiti. Tu non sarai mai il centro della sua vita perché questa gira intorno a se stessa”.
Il mondo ha sempre più bisogno di donne intelligenti.

#sbetti