
Io ricordo ancora quella prof della seconda liceo che al primo tema di italiano mi scrisse: “è tutta farina del tuo sacco?”.
La mandai a fareinculo. Glielo sussurrai proprio mentre tornavo al posto con le buffalo ai piedi e gli occhi tinti di nero. Lei mi sentì. E così chiamò i miei genitori. Era la prof Massironi. Mio padre non si risparmiò. Credo l’abbia mandata a fareinculo pure lui.
La prof era appena arrivata, in prima ne avevamo un’altra, ed era rimasta sorpresa perché avevo fatto un tema in un’ora e mezza, senza errori, e con un contenuto che a detta sua era copiato e non era farina del mio sacco. Discuteva anche la forma. Perché diceva che era impossibile.
Allora la detestai quella prof. La vedevo come una mancanza di rispetto. Di fiducia. Di fiducia nei nostri confronti. Nelle nostre aspirazioni e nelle nostre ambizioni. E sensazioni.
Che ne sa Lei mi dicevo di una ragazza di quindici anni che la sera gioca a fare la donna con la minigonna davanti lo specchio. Che ne sa. Che ne sa lei di “quel rossetto che a tuo padre non è andato giù”.
Allora ricordo anche che mi impegnavo per fare i temi male. Ma i temi mi riuscivano sempre bene. Non si scusò mai quella professoressa. Né io feci di tutto per farmi amare. Anzi.
Allora ieri ho scritto di questa ragazza – oggi trovate il pezzo sul Giornale – che ha dovuto sostenere l’interrogazione bendata perché la prof di tedesco non si fidava della sua preparazione e temeva stesse leggendo. E mi sono detta: “che mondo stiamo vivendo. Che brutti siamo diventanti. Ecco a cosa andiamo incontro”.
Ricordo anche che mentre scrivevo il pezzo mi si è accapponata la pelle nello scrivere che nel 2021 in piena pandemia da coronavirus una ragazza di 15 anni fosse stata costretta a bendarsi con una sciarpa per poter essere esaminata. Robe da guerra. Robe dalla Germania dell’ Est. Demenziali. Angoscianti. Folli. Abbiamo perso il lume della ragione.
Non sappiamo più distinguere se chi ci sta davanti è una macchina o una persona. Perché allora un giorno parlavo con Marco Gervasoni, ordinario di Storia Contemporanea nell’Università degli Studi del Molise. E mi ha detto alcune cose che mi hanno fatto riflettere. Intanto che cresci con la convinzione che per parlare con qualcuno hai bisogno di una macchina. Poi che questa cosa della didattica a distanza è “totalmente asettica. Si rischia di creare una generazione emotivamente un po’ arretrata, un esame in presenza è una prova di crescita. E poi si crea una generazione di persone sole”.
“Il corso a distanza – mi ha detto Gervasoni- è stata una delle esperienze più orrende della mia vita: non vedi i volti, parlavo davanti a una lista di nomi”.
Allora oggi scrivendo questo pezzo, mi sono chiesta cosa possa ricordare e cosa possa vivere dentro di sé un’alunna di 15 anni che in seconda liceo deve bendarsi per essere interrogata. E mi è tornata in mente quella frase scritta su quel tema della mia seconda liceo. “È tutta farina del tuo sacco?”.
Vaffanculo sì. Sì.
È tutta farina del mio sacco.