Valentina ha 21 anni. Viene dalla Colombia. È giunta qui in Italia due anni fa e da un anno dorme sul sofà.
Una valigia pieni di sogni che ogni giorno disfa e ridisfa non avendo un armadio.
Una sua amica le ha prestato il divano perché lei da un anno non trova una stanza. “È difficile – ci dice quando la avviciniamo davanti al politecnico di Milano – è impossibile per uno studente pagare 800 euro di affitto, non me lo posso permettere anche perché non lavoro”.
Il suo sogno è quello di laurearsi in fretta per non pesare sulla famiglia. “Se lavoro per potermi pagare l’appartamento come faccio a studiare?”.
Già. L’eterna lotta che ha sempre diviso e spezzettato le vite degli studenti. La lotta che abbiamo fatto tutti.
Studio. Lavoro. Lavoro. Studio. Basta un esame perso per far slittare la tabella di marcia. Ma l’università non è proibitiva. Sono gli affitti che sono molto alti.
Così martedì 2 maggio è iniziata la protesta. Ci ha pensato Ilaria Lamera a piantare la prima tenda. Lei studentessa del Politecnico di Milano ha detto basta. “Da quando ci sono state tolte le lezioni online, tantissimi studenti come me si sono ritrovati a cercare un alloggio nei pressi dell’università a condizioni assurde, arrivando a pagare anche più di 600 euro al mese di affitto”.
A ruota, anche per solidarietà, l’hanno seguita altri studenti e così le tende da una sono diventate due, tre, quattro, cinque, sei. Tredici gli studenti che hanno dormito fuori le prime notti. E le tende poi hanno iniziato a moltiplicarsi, si sono aperte, gonfiate, e come tante onde hanno invaso e attraversato l’Italia. Milano. Bologna. Napoli. Cagliari. Roma. Firenze. Torino. Padova. Se ne stanno tutti qui gli universitari seduti per terra tra i libri, a cavalcioni, perché nonostante questo la vita scolastica va avanti. “Noi dobbiamo studiare – ci dice un ragazzo – siamo qui, ma il nostro obiettivo è finire l’università”. Stessa cosa per Riccardo che scartabella il libro di Economia Aziendale per la prossima sessione.
Jacopo Maria Pasqualin, invece, ha 20 anni, studia Ingegneria energetica al “Poli”, come dicono qui, e vive in un appartamento con la sua ragazza che studia Ingegneria biomedica.
A lui l’affitto è aumentato di 100 euro quest’anno e ora aumenterà di altri 100. “Spendo 500 euro mensili, spese escluse – racconta – gli affitti a Milano ogni anno aumentano sempre più e il tutto è lasciato alla libera speculazione del privato”.
“Non saprei più definire il confine esatto tra un appartamento dignitoso e un tugurio – ci dice Andrea Canessi – anch’io a Milano mi sono adeguato a diverse circostanze. Una volta, il mio coinquilino ha alzato la tavoletta del water ed è schizzata un’anguilla. Fortunatamente vengo dal delta del Po e ho una certa dimestichezza. Quella sera abbiamo mangiato anguilla alla griglia”.
In effetti per uno studente potersi permettere una stanza a Milano è praticamente impossibile. Per una camera si arriva anche a 900 euro al mese. Per 22 metri quadri, 1100. Per buchi improponibili con tavoli sotto le scale, letti incastonati tra le pareti, stanze senza finestre, maniglie e porte rotte, si va dai 600 euro al mese ai 1100.
Non va meglio a Bologna. Qui cercare casa per alcuni è diventato un incubo. “Ci ho messo quattro mesi – ci dice Nicolòquando lo incrociamo in via Zamboni – ma i prezzi sono folli: 800, 900 euro al mese”.
Rebecca invece, che viene da Venezia, per riuscire ad accaparrarsi una stanza l’ha pagata per quattro mesi senza metterci piede dentro. “Avevo paura – racconta – di rimanere senza per l’inizio delle lezioni e i miei genitori hanno deciso così”.
Anche Luigi di Faenza cerca casa ma non ha trovato nulla. “Faccio il pendolare ma il problema sono i trasporti”.
É vero che se risparmi soldi in affitto poi li spendi in autobus o treni, ma è anche vero che le lezioni non iniziano alle sei del mattino. Gli studenti però sostengono che “se non puoi abitare in zona, l’università diventa solo un privilegio per i figli di papà”.
Anche Alice è agguerrita. A lei è capitata una stanza “piena di muffa. Abbiamo avuto problemi igienici e sanitari”.
Ci spostiamo a Roma.
Davanti al Rettorato della Sapienza gli studenti si fanno sentire.
Elettra Luna Lucassen è al terzo anno di Pedagogia. Ha 21 anni. Viene dalla provincia di Viterbo e per raggiungere l’università impiega due ore, tra treno e navetta. “La prima lezione è alle 8.30 – ci racconta – dovrei prendere il treno alle 5.45. Ora mi sono trasferita e pago 400 euro, ma con le spese arrivo a 600. In più è aumentato tutto”. Lei lavora. Fa il servizio civile e la cameriera nei weekend. “Mi devono aiutare comunque i miei genitori. I libri sono una cosa vergognosa, non meno di 80 euro per ogni esame e considera 4 – 5 esami a sessione. Poi il trasporto. Da agosto aumenterà anche quello”. Lei, venerdì scorso, con altri ragazzi si è accampata davanti al ministero dell’Università e Ricerca. La loro proposta fatta al Miur è quella di “istituire il reddito studentesco per garantire il diritto studio alle fasce popolari”.
Anche Norma è fuori sede. Studia lingue, 21 anni. Ora vive di straforo con altri quattro coinquilini. “Non posso permettermi un contratto abitativo perché lavoro in nero come cameriera e non ho garanti”.
Mirko Giuggiolini, 19 anni, studia Giurisprudenza e vive in provincia di Viterbo. “Pensavo fosse sostenibile fare il pendolare, ma ogni giorno sono tre ore tra andata e ritorno. Se ho lezione alle 8 mi devo svegliare alle 5 e quando finisco alle 19.30, rientro alle 22. Così ho iniziato a cercare casa per settembre ma ancora non ho trovato nulla”.
Ci guardiamo attorno. Ha iniziato a piovere. Le tende gocciolano. Sarà un’altra notte qui sotto.
Serenella Bettin
✍🏻 Questo articolo è uscito su Grazia, 19 maggio 2023


