
L’altro giorno scorrevo la pagina Instagram di una blogger ucraina. La contatto. Recupero il suo numero e le scrivo. Mi colpisce perché nella sua pagina le ultime due foto riguardano la guerra. Prima invece era un tripudio di libri, calici, ciliegie, pic nic all’aria aperta, dolci, lenti di ingrandimento, clessidre, matite penne quaderni. Poi basta. Poi più niente. Poi la guerra.
Buio. Grigio fitto. Cenere. Orrore. “… Ucraino e russo – scrive – non è sbagliato. Da oggi scriverò Ucraino con la lettera maiuscola e russo con la lettera minuscola. E nessuno dirà che è un errore. Quanto sono orgogliosa del nostro popolo. Quanto. Il popolo Ucraino non può essere spezzato. Io ti odierò – rivolto al popolo russo – ti odierò con tutta la mia anima. Per ogni Ucraino ucciso, per ogni combattimento, per ogni ospedale e asilo distrutti io ti odierò. Non ci sarà più un libro di una casa editrice russa su questa pagina. Non voglio. Gloria all’Ucraina!”.
Lei, che ora è sotto il fuoco incrociato dei “bombardamenti che – mi scrive – arrivano a ogni ora”, ha 22 anni. E ha studiato anche all’Università di Foggia. Fa la traduttrice e l’interprete. E soprattutto legge. Libri.
I suoi consigli sul suo blog prima della guerra erano slanci di vita, picchi di benessere, gridi di gioia. Erano condivisione di piccoli traguardi raggiunti. Quelli che a fine giornata fanno stare bene tutti. “Quando è arrivata la guerra – mi racconta – non sapevamo dove fuggire. Volevamo andare da mia madre, ma non ci siamo riusciti. La stazione era affollata. I treni sono arrivati in ritardo e i biglietti erano esauriti. Poi siamo riusciti a prendere un biglietto. Ho pregato per due ore in treno, non sapevo che ne saremmo arrivati vivi. Avevamo solo un cambio di vestiti, cibo per 2 giorni e medicine. Niente più. Ma nei giorni che seguirono, nei giorni che seguirono la paura passò, ma sorse l’odio. Mi preoccupo per mia madre, per i miei amici. Guardo le notizie su Kyiv ogni giorno e riconosco ogni strada. Guardo le case distrutte e cerco di capire se la casa in cui vivo io è stata distrutta. Kyiv non è la mia città natale, ma è la città in cui lavoro, dove ho studiato all’università, dove ho trovato l’ amore. Credimi non avrei mai pensato di poter odiare le persone. Ma quando vedo come soffrono gli ucraini, inizio a odiare i russi”.
“Sto scrivendo tutto questo – continua – seduta con una borsa accanto a me. In questi giorni, ho capito che avevo davvero bisogno di apprezzare le cose. Mi rendo conto che ora ho da mangiare, che ci sono luce e acqua. Apprezzo ogni mattina che mi sveglio viva. Ora vedo la vita in modo diverso”. Mi avvisa dei carri armati che stanno bombardando. Il cibo arriva loro quasi ogni giorno ma ci sono due ore di coda per prenderlo. “Credo che sopravviveremo. Dopo di che, non avrò più paura di nulla”.