Ma quale scuola da remoto. Siete da internare

Non avrei mai voluto vivere un’epoca con le lezioni da casa. Le videochiamate. Le videoconferenze. Le piattaforme. Le lezioni online. Se qualcuno pensa sia il futuro e che la didattica a distanza stia dando i suoi frutti, credo sia da internare. Lo credo veramente.
Lo internerei e lo lascerei lì. A connettersi da un tugurio con il resto del mondo.
Gli esami su Skype. I calendari aggiornati. Il monitoraggio dei compiti. La mail degli interrogati. Le chiamate dei docenti.
Mai. La scuola è fisica. La scuola è fisicità. È anima. È follia. È pazzia. È chimica pura. La scuola è un incontro di elementi che si rafforzano. Che si alternano. È energia pura. È un’altalena che accelera, che scende, che va in alto, che immagina, che sogna, che chiude gli occhi, che si interroga. La scuola è esperienza. È sbucciarsi le ginocchia. È sanare le ferite del tuo compagno. La scuola è toccarsi. È guardarsi. È prendersi per mano. È lasciar andare. È lasciarsi. La scuola è ribellione. È cura. È amore. È condivisione di gioia. Noia. Insoddisfazione. Dolore.
A chi pensa di poter sostituire la scuola con una piattaforma, con dei sistemi da remoto, a chi pensa che la scuola possa incasellarsi dentro un sistema virtuale dove le aule diventano chat, dove i programmi diventano pdf, dove i colloqui diventano stanze, dove i confronti diventano chiamate, penso che questo qualcuno sia seriamente da curare.
Da qualcuno di bravo.
Penso fermamente che se c’è ancora qualcuno che crede che questi sistemi siano ottimi, che della fisicità se ne possa fare a meno, allora questo qualcuno non può che essere un danno. Se questo qualcuno insegna è ancora peggio. Andrebbe tolto dall’insegnamento.
La gente il lavoro lo riprende. Questi ragazzi la maturità la vivono una volta sola. La terza liceo anche. Chi gliela ridà la seconda media? Chi? Gli anni universitari non tornano. E se tornano, non saranno mai come quando eri spensierata e allegra e finito un esame ne preparavi un altro e gioivi per averlo dato e la settimana dopo giocavi a fare cazzeggio. Se lavoravi era cazzeggio pure quello. Perché diciamocelo qua. Quanto dura è stata studiare. Mettersi sopra i libri. I caffè, le virgole, gli evidenziatori. Le matite. La notte fonda. Il manuale di diritto civile che non molla. Quanto dura é stata portare a casa una laurea. Il giorno della mia, portavo una tesi sul confine tra diritto di cronaca e riservatezza, cominciai a parlare del processo Mose, sul diritto dovere di noi giornalisti di informare, e incontrai pure uno degli avvocati difensori. Se uno prova non ci riesce.
Quanto dura è stata seguire le lezioni, preparare gli esami, lavorare, seguire i morosi.
Non è colpa nostra se è arrivato il virus. Certo. Almeno fino a che non riusciranno a dimostrare il contrario e farci sentire in colpa.
È colpa nostra esserci dimenticati dei ragazzi. Averli lasciati in balia di se stessi.
Di tutte le colpe di cui ve ne siete lavate le mani, questa, questa almeno siate onesti.
Su questa non potete ancora starvene zitti.

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