Dovete stare zitti

Ieri mattina sono scesa in piazza per prendermi il caffè. Mi sono accesa una sigaretta e mi sono messa lì. Tra una rassegna stampa e una telefonata. Volevo ascoltare il rumore dell’acqua. Il canto del vento. Il rumore del silenzio. Parlano tutti in questi giorni, tutti. E io voglio sentire il silenzio. Il silenzio che fa emergere il rumore di quell’Italia che riparte, di quella sirena della nave che si rimette in mare, di quel fischio del treno che torna a correre, di quel clacson dell’auto di quell’automobilista incazzato.
Per una volta dovete stare zitti. Zitti. Non dovete parlare.
Anche chi non ha un cazzo da dire in questi giorni parla. Parla per sentito dire, parla con le opinioni degli altri, parla alla ricerca di like, di followers, di condivisioni. Di quelle condivisioni che tanto il giorno dopo se ne sono fottuti tutti, perché non fai in tempo a farne una che poi ce ne sta un’altra, un’altra e un’altra ancora. In questo mondo liquido così fluido e ingombrante dove tutto passa ma niente rimane.
Vedi oggi.
Ho fatto un corso online. Una volta avevi i manuali. Le dispense. Sottolineavi, se una cosa volevi riguardatela te la potevi andare a vedere. Rimaneva lì con te. Sempre a disposizione. Sapevi esattamente dove l’avevi letta se in basso in alto in fondo alla pagina. Adesso. Adesso ti addestrano. Adesso ti vogliono come vogliono loro, con una quantità industriale di nozioni in testa dove non ti rimane nulla nemmeno la buccia della matita. Un sapere fuggevole, sfuggente, mancante, con enormi lacune. In questo mondo dove la cultura e l’informazione vengono gettati in pasto ai pesce cani che ne triturano l’anima, non hanno rispetto, non ne riconoscono il valore. I giornalisti sono diventati cialtroni e poi basta il primo beccafico che fa un video e a seconda di dove tiri il vento tutti condividono. Oggi un medico mi ha detto che se domani lui dicesse che un limone nel culo elimina il Covid, probabilmente domani qualcuno camminerebbe con un limone nel culo.
Tutti che fanno baccano, tutti che parlano e non dicono niente, tutti che fanno confusione, casino, cinguettano, cicalano, twittano. E allora voglio sentire il silenzio. Non quello a cui ci hanno costretto per due mesi. Quello era ansia, angoscia, disperazione, sottomissione. Voglio sentire il silenzio della gente cosciente, della cultura, della bellezza, dell’arte, del buon senso, voglio sentire la raffinatezza dell’amicizia, dei sorrisi con gli occhi, dei baci, degli abbracci, voglio sentire lo sciabordare del lavoro. Voglio ascoltare il rumore del mare. Il canto del vento. Voglio sentire il rumore delle ruote delle auto sull’asfalto, voglio sentire il rombo delle moto, voglio sentire l’elevarsi dei deltaplani, il decollare degli aerei. Quanto abbiamo voluto il silenzio prima di questo maledetto Coronavirus e ora che ce l’abbiamo avuto vogliamo il rumore. La prima volta che qui in Veneto di fatto era finito il lockdown, due settimane fa, la mattina mi sono svegliata, ho aperto la finestra e ho sentito subito il rumore di un motore, un camion credo. L’ho anche scritto nel pezzo. Non mi pareva vero.
Il rumore era diventato un piacere. Il silenzio era diventato un’ossessione. Martellante. Sempre quella. Spaccava la testa. Tintinnava i timpani. Sbrecciava l’anima. Io adesso voglio sentire il rumore. E voglio sentire il silenzio di chi parla e non dovrebbe parlare.
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