Allora questa notte per #Storie2020 vi devo raccontare una storia. Molto dolorosa.
Allora questa non è la classica storia di Natale, quelle che metti sotto l’albero pronte da scartare o la storia da Primo dell’Anno che ti porta ad avere fiducia sul mondo. No.
Questa è una storia dove la sera gli occhi sono pieni di pianto. Una di quelle terribili. Una di quelle che ci sto dietro da un po’.
Una storia che diventa un tarlo. Che la porti dentro. Che diventa un macigno. Un macigno nel cuore. Un macigno nelle pieghe del volto. Un peso enorme per chi la vive, impossibile da sopportare. Da portare appresso. Da farsi carico.
Una storia di bambini strappati. Tolti. Affidati. Una storia di legami lacerati. Sdruciti. Stracciati.
La storia di una nonna che non vede il proprio nipote da dieci mesi. Non lo vede. Non lo sente. Non gli può consegnare i regali. Non sa dove sia. Cosa faccia. Se abbia bisogno di qualcosa.
Sa solo che suo nipote sta in un’altra famiglia ma non sa dove. Non può vederlo, non può parlarci, non ci parla nemmeno al telefono. Le dicono che il nipotino ringrazia per i regali di Natale, ma chissà se quei regali glieli abbiano mai dati.
Perché questa é la storia di un Natale triste. La storia di una donna che da aprile combatte. Che da aprile alza la voce. Che da aprile non riesce a dormire. Una donna che si sta facendo in quattro. Che partecipa a tutte le iniziative del mondo. Convegni, conferenze, incontri. Ci crede veramente. Ci crede davvero. E la sera quando va a letto sente tanto, tanto freddo.
Ma una donna forte coraggiosa. Razionale. Che sa perfettamente quello che vuole.
E ne vedo di casi disperati, dove i padri sono ancora più disperati della situazione dei figli, ma questa. Questa no, non lo è. Questa è la storia di come si possa arrivare a fare tanto male. Questa eccessiva psicologicizzazione di tutto. Questa assoluta ricerca della perfezione, che porta a vedere nei comportamenti normali quelli di chiunque bambino, un comportamento aggressivo, maldestro. È aggressivo ti diranno. Vive un rapporto conflittuale. E quindi. Quindi lo togliamo. E così ti piombano in casa una mattina. O a scuola la seconda ora. Lo prendono. Lo prelevano. Lo portano via e lo affidano a un’altra famiglia. Una famiglia che per tenerlo prende la bellezza di oltre cinquecento euro.
Così ti compra le caramelle buone, ti mette le stelle filanti in camera, ti compra quello che magari non hai mai potuto avere, e poi. Poi diventa la tua famiglia. E allora ho letto relazioni sconvolgenti. Parole pesanti. Parole che feriscono. Parole che non possono essere dimenticate.
Bambini che vengono tolti alle famiglie, che vengono spostati da un’abitazione a un’altra nel giro di poche ore. I servizi sociali se li vanno a prendere a scuola, li caricano su un’auto e li portano in un’altra famiglia che prende soldi per accudirli. Si trancia il rapporto con il passato, rivissuto se non in sporadiche occasioni, si cerca di dimenticare quello che era prima, gli si dà una stanza nuova, dei giochi nuovi, un padre, una madre e lo si mette da un’altra parte. A pochi anni.
La mattina il piccolo parte da una casa e la sera si ritrova in un’altra. Lacerante. Indelebile. Sono relazioni strappate che ti porterai dentro sempre.
Perché poi. Poi ti piomba il mondo addosso. Ti si rovescia. Ti schiaccia. Ti manca l’aria.
Non riesci a fartene una ragione. Quella creatura strappata a chi le voleva bene. Perché poi.
Poi una sera ti arriva questo messaggio e capisci quanto cattivo possa essere l’essere umano.
“Pensavo di essere arrivata a un punto della mia vita stabile tranquillo equilibrato dopo periodi tortuosi – mi scrive questa donna – eravamo tranquilli avevamo già molto, non si chiedeva molto di più dalla vita e poi in un batter di ciglia ti travolge un’onda così violenta che ti trascina giù e non emergi, ti manca l’aria e cerchi di emergere ma arranchi e non emergi no, non ci riesci non respiri e poi e poi i pensieri e passa la primavera e passa l’estate e non hai potuto godere di lui dei nostri progetti gite viaggi mare e ora arriva Natale e non c’è stato nulla e non c’è nulla di che divertirsi di che festeggiare nulla non c’è più niente niente niente si vive e basta”.
Già. E allora Natale è passato. Capodanno anche. Domani è l’Epifania, e questa nonna nemmeno la calza potrà fare al suo nipote.
#sbetti