La forza di un uomo #Storie2020

La forza di un uomo. Allora adesso vi racconto una storia. Il 2020 sarà l’anno delle storie.

E vi prometto che ve ne racconterò tante.

Ma facciamo un passo indietro.

Allora l’altro ieri è tornato il mio amico del Ghana. Amico d’infanzia. Una persona splendida. Una di quelle di cui ti fidi al cento per cento. E ieri sera abbiamo deciso di andare a cena. E allora cosa facciamo, cosa non facciamo, Primo dell’Anno boh sarà tutto chiuso, quando proviamo ad andare a Mirano e ci inoltriamo nelle callette piene di freddo gelo misto nebbia guance bagnate e profumo di neve. Pure la pista del ghiaccio ad aumentare la sensazione di stare tipo a New York per l’ultimo dell’anno. Insomma dico andiamo a Mirano. Calle Ghirardi. Una vietta che a guardarla ti ci viene voglia di tuffarti. Bella. Piccolina. Elegante. Illuminata ad Anni Venti, pardon l’ho detto, sembra di stare ai tempi della Belle Epoque. Dove le donne fumano con i bocchini bianchi, intabarrate di colbacchi pesanti.

Insomma dentro questa vietta ci sta un locale. Panin Onto e Birra Bona si chiama, che per i veneti è tutto un dire. Tutto una tradizione. Tutto che non può assolutamente mancare.

Entriamo. Gli occhi appannati dal freddo. Il naso gelido. Che subito ci invade quella bella avvolgente sensazione di caldo. Un caldo intenso. Un caldo caldo. Un caldo che sa di casa. Dentro c’è bella musica. Le persone stanno a sedere. Mangiano. Ridono. Scherzano. Parlano. Si guardano negli occhi. Attorno ci sta anche il caminetto. Con scritto non toccare, vetro bollente. E appese alle pareti ci stanno tante immagini. Musicisti. Cantanti. Rockstar. Rockettari. Cimeli. Vecchi dischi. Copertine. Poster. Insomma uno di quei mondi dove per un attimo entri in un mondo fatto di rombi di moto e di note di rock. Quelle belle. Quelle da ballare. Quella da fumarcisi sopra una sigaretta soprattutto se è Natale. E così chiediamo un posto ma c’è da aspettare. La gente è talmente tanta. Così ci accomodiamo al banco. Parliamo. Ridiamo. Mi sciolgo la sciarpa. Mi tolgo i guanti. Via il cappello. Quando all’improvviso dietro al banco vedo un uomo. Un uomo con gli occhiali. Un volto visto. Un volto a me noto. Allora dico al mio amico che io quell’uomo lo conosco. E che gli avevo fatto ripetizioni di inglese. Sì tanti anni fa, quando ancora studiavo a Palazzo del Bo, per arrotondare a fine mese, davo lezioni proprio fuori dei cortili universitari. Al bar. Al parco. Su una panchina. Insomma si faceva quel che si poteva. Mica come adesso che quando escono dagli studi ti rispondono che le fotocopie non le fanno e che i cessi non li lavano. No. Una volta ci si dava da fare. Ci si rimboccava le maniche e avanti sempre. A testa alta.

Ma insomma dicevo. Allora anni fa facevo ripetizioni a questa persona. Sì una sera entro in un locale con degli amici. Ero a Padova e leggo un cartello con scritto: “cercasi insegnante di inglese”. Così chiesi e uno dei baristi mi disse che era per lui, che voleva andarsene dall’Italia, che voleva aprire un locale a Londra ma che non sapeva una parola di inglese e aveva bisogno di lezioni. Così mi proposi. E lui mi disse: “ok proviamo, lunedì alle 15 davanti il Comune”. Bene dissi. Perfetto. Così iniziammo le lezioni. Veniva tutti i giorni tranne il mercoledì. Era bravo. Si applicava. Studiava. Faceva gli esercizi. Qualche volta no. Ma ce la metteva tutta. Nei suoi occhi però vedevo che c’era qualcosa che non andava. Non era sereno. Non trovava il suo posto. Come se si sentisse perennemente disperso.

Poi. Poi l’anno accademico finì. Arrivò l’estate e con essa finirono anche le lezioni. Ci rivediamo a settembre ma poi. Poi io trovai lavoro, e a settembre non ci rivedemmo.

Così passarono gli anni. E di questa persona non seppi più nulla. Fino a che.

Fino a che ieri sera io e il mio amico andiamo a mangiare in questo locale. E qui mi riallaccio. Io vedo quest’uomo con gli occhiali dietro al bancone. Questo volto visto. Questo viso a me noto, quando a un certo punto gli faccio: “Ma tu lavoravi a Padova anni fa?”. Lui mi guarda e mi fa: “sì”.

“Sai chi sono – gli chiedo – sono la ragazza che ti faceva ripetizioni di inglese”.

Lui mi guarda sbalordito, io pure, e mi fa: “ecco chi sei! Mi sembravi una faccia vista!”. Così gli dico: “Sono Serenella, di te però non ricordo il nome”. E lui: “Vaner”. Vaner! Hai ragione.

Così gli chiedo come va, se lavora là e lui. Lui mi dice che il locale è suo. Che poi non è più partito. Che si è innamorato e che ha tre bambini. Io spalanco gli occhi. “Tre?!?!”.

“Sì, tre! La vita!”.

Già la vita. Allora ora non le so le peregrinazioni per arrivare fino a qui. So solo che da come lo avevo lasciato, quasi come se non avesse un posto nel mondo, ieri sera ho visto una persona totalmente diversa. Negli occhi una luce ulteriore. Niente più smarrimento. Sicuro di sé, professionale, affidabile. Nei suoi occhi non c’era più quel senso di insoddisfazione e di sentirsi estraneo a qualcosa. Negli occhi c’era la luce di chi ha trovato la propria strada e con amore ora si fa in quattro per percorrerla. Che sia di buon augurio per quest’anno. A chi non trova la propria strada. E a chi nonostante tutto non smette di cercarla.

Ps: oggi sul #Giornale trovate un’altra bella storia. Non questa.

#sbetti

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