
“Sono solo le 9 e vorrei già lanciare il pc”.
Mi scrive una mamma questa mattina. Ore nove del mattino. Una sola cucina. Due figli. Uno parla in videoconferenza. L’altro anche. Uno ascolta la maestra che parla. L’altro anche. “Abbiamo lezione fino alle 16.30.. – mi aggiunge – Non ti dico altro”. Ore 16.30: “Sara (nome di fantasia) ha finito lezione. È sfinita. Io pure”.
Vado in libreria.
In libreria mi rifugio nei momenti di felicità. O nei momenti di tristezza. Qui mi rifugio nei momenti di down. O nei momenti di up. Qualsiasi momento è buono per andare in libreria. Io riempirei il mondo di librerie. Mi ci annegherei. Le travalicherei tutte.
Qui incontro un padre. Il padre mi dice: “la mia paura più grande è che succeda come l’anno scorso. Che da marzo alla fine non sono più andati a scuola. Come fai a stare connesso sei ore davanti a un computer e ascoltare un prof che parla?”. Lui di figli ne ha due. Fanno lezione anche al pomeriggio. Rinunciando a sport e altre attività, che fino all’anno scorso erano linfa vitale.
Ore 16:50.
“Conclusione della giornata di oggi – scrive una mamma – appena finito di spedire i compiti. Il deliro ha avuto inizio alle 9 e si conclude ora. Con una pausa dalle 12.30 alle 14.30 dove ho cucinato e sistemato per ricominciare”.
Lei fa l’insegnante. Ha tre figli. Tutti connessi dallo stesso tavolo. Uno parla. L’altro anche. La prof della terza figlia pure. Lei insegna. Online. In piattaforma. Davanti una lista di nomi. Perché non ci stanno i volti su quello schermo. Sono troppi. In una stanza ci stanno tutti. Ci stanno altre stanze. Fredde. Asettiche. Metalliche. Se ne stanno dentro le conversazioni su whatsapp che diventano camere. Se ne stanno dentro le piattaforme che diventano spazi infiniti finiti tutti nello stesso punto.
“Cronaca di un delirio”, aggiunge. “È veramente assurdo pensare che alle elementari i bambini possano sostenere una cosa simile”.
La connessione sta per terminare. I giga anche. La carica dei computer idem. Ci stanno i pc tenuti in vita dai cavi che oltrepassano piatti tazze bicchieri. Tutti lì riposti per la colazione di domani.
Ancora. Come un’altra volta.
Quella colazione consumata dallo stesso tavolo dove si fa lezione.