
Rimango alquanto basita da questo mondo a cui andiamo incontro. Anzi ci è già venuto addosso. Ce l’ha pure messo nel culo.
Allora a Caserta è successo che una ragazza stava facendo un esame a distanza di Medicina. Già qua. Distanza. Medicina. Tutto un dire. Insomma a un certo punto a una domanda del professore la ragazza va nel pallone. Capita. L’abbiamo fatta tutti l’università. Non è che i ragazzi di oggi, siccome c’è la pandemia, non possano essere rimproverati. Insomma dicevo, la ragazza va nel pallone e il prof le dice: “devi curarli i malati, al sesto anno parli ancora di divisione cellulare nel morto? T’hannà arrestà”.
La madre che passa da dietro e sente le parole del professore, come se ne avesse diritto, in questo mondo fottuto dove tutti hanno diritti e nessuno ha doveri, la madre rimbecca al prof e gli dice di moderare i toni: “ci sono modi e modi. Mia figlia è esaurita”. Il professore allora intraprende una breve conversazione con la madre dicendo che non è colpa sua se la figlia è esaurita.
Il video fa il giro del mondo.
Massimo Gramellini sul Corriere commenta che con la didattica a distanza: “un rimprovero solo sgradevole a porte chiuse, diventa violento in presenza di uno strumento capace di spararlo all’istante in tutto il pianeta”. E che la rivoluzione digitale ci porta a essere subito sotto gli occhi del mondo.
In realtà la dad ti porta alla convinzione che per parlare con qualcuno tu ti debba servire di una macchina. Tutte le relazioni che stiamo intrattenendo da un anno a questa parte, almeno per chi osserva attentamente le disposizioni – io francamente se posso fare le cose in presenza le faccio, sennò faccio a meno di farle – ecco tutte le relazioni che stiamo intrattenendo hanno come filtro una macchina.
La generazione che andiamo crescendo – a meno che non venga salvata da padri e madri con le palle quadrate – ecco sarà una generazione di disadatti che si convince che l’esperienza sia quella che ti porta ogni mattina a sederti dalla tazza del water alla tazza della scrivania e ascoltare un professore che parla davanti a 120 caselle.
Una volta l’Università era cosa seria. Le figure di merda agli esami sono sempre esistite. E non avevamo genitori impiccioni e aspirapolveri che si permettevano di intromettersi durante lo svolgimento di un esame. Quando mi sedetti per la prima volta all’esame di Diritto Pubblico, in una delle facoltà di Legge più difficili d’Italia, avevo il terrore. Ma è sempre stato così.
L’esame non ti metteva davanti a uno schermo. L’esame ti faceva crescere. La fifa, la paura, ti facevano maturare. Ci si sedeva in aula universitaria e si attendeva il professore che facesse la domanda. E regnava il clima di terrore perché se sbagliavi c’erano 280 studenti tuoi colleghi a guardarti. Ma si passava oltre. Amen. Capita.
Dopo che ho letto questa notizia ho pensato che stiamo crescendo una società di deficienti con tutti i genitori dietro il culo pronti a difenderti non appena qualcosa va fuori le righe.
Ma il mondo è fuori le righe! Suvvia! Quanto bello è il mondo fuori le righe. Uscire. Capacità. Regia. Improvvisazione. Vai al bar. Dell’Università. Incontri uno. Conosci quello. Nessuno quando esce di casa la mattina sa chi incontrerà. È questo il bello della vita.
Non siamo tutti impostati. Tutti sotto controllo. Con le modalità di dad, piattaforme e chissà che altro tra poco si inventeranno. Una volta sbagliare faceva parte del gioco. Ci si facevano le ossa. Il professore ti derideva? Non importa.
All’università da me facevano volare i libretti se prendevi 18 e ti davano del somaro. Uscite da queste quattro mura e riprendetevi il mondo!
Ah per la cronaca: io sono cresciuta lo stesso e paradossalmente ringrazio chi mi ha fatto volare il libretto.
D’accordissimo!
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