
Prima guardavo la diretta di Mentana il giorno che venne assassinato Paolo Borsellino.
C’era Salvo Sottile quel 19 luglio 1992 come inviato. “Sì direttore, la conferma è avvenuta. Il cadavere che c’è davanti la portineria è proprio quello di Paolo Borsellino”, disse.
Una delle dirette più difficili della sua vita, come ha scritto su Facebook.
Allora oggi leggevo i vostri messaggi su Borsellino. Che mi stupiscono ogni anno, perché abbondano quelli su Falcone il 23 maggio, Borsellino invece passa in secondo piano. Come a dire che nei vostri programmi e tweet del cazzo ne basta uno all’anno. Il vostro fioretto sulla lotta alla mafia l’avete fatto. Ne basta uno.
Cioè ci si ricorda di Falcone perché è il primo di data nella cadenza dell’anno solare, poi ce se ne dimentica.
E state pure tutti lì a scrivere il 23 maggio, a cambiarvi le immagini profilo. A Twittare. A faceibokkare. A controllare quanti like avete con una persona che c’ha rimesso la vita per fare quello che amava. Per far sì che il Paese fosse meno schiavo. Meno schivo. Disonesto. Corrotto.
Ci sono persone che la libertà, la parola di cui abusate, che tanto sbandierate nelle piazze, nei vostri proclami, ecco che la libertà l’hanno pagata a caro prezzo. Con la vita.
Quel giorno erano le 16.58 di un normale giorno di luglio. Borsellino stava andando a prendere la mamma. Ha premuto click sul campanello di casa e quella 126 imbottita di tritolo è esplosa.
Ha ammazzato Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta.
Tra loro c’era anche Emanuela Loi, la prima agente donna a far parte di una scorta e anche la prima della Polizia di Stato a cadere in servizio. La Loi doveva sposarsi. Poi c’erano Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Antonino Vullo, l’unico sopravvissuto si risvegliò in ospedale in gravi condizioni. Chi assistette alla scena la definì raccapricciante. Una strage. Un vero e proprio attentato di stampo mafioso. Una rappresaglia contro la lotta alla mafia. 6 i morti. 24 i feriti.
“Attorno a me c’erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto…”, aveva raccontato l’agente sopravvissuto. E infatti. Il tritolo aveva squarciato l’asfalto. Le auto divorate dalle fiamme bruciavano. La gente attorno disperata che urlava. Gli appartamenti delle case a fianco sventrati dall’assalto. I corpi dei cadaveri dilaniati. I feriti grondanti di sangue. E lì in mezzo alla polvere, stava il corpo di Paolo Borsellino e dei suoi agenti.
Paolo Borsellino sapeva che un giorno la mafia l’avrebbe ucciso. Paolo Borsellino sapeva che un giorno la mafia l’avrebbe ammazzato. Borsellino sapeva che un giorno la mafia l’avrebbe fatto fuori. Che gli avrebbe preso la vita.
Eppure è andato avanti.