Dal diario 📓 di Facebook del 23 febbraio 2020

Questa è la piazza di Vo’ Euganeo e vi posso assicurare che ieri sera faceva paura.
Non una persona. Non un’anima viva. Non un negozio aperto. Sembrava uno di quei film dove i mutanti si mangiano gli umani e non trovano l’antidoto e intanto stanno tutti chiusi in quarantena.
Sarà che entro troppo dentro le cose.
Che le vivo appieno.
Sarà che devo entrarci dentro se voglio raccontarle.
Sarà che ho provato anche a sdrammatizzare. Ma non ce l’ho fatta.
La paura è tanta. La percepisco. La si sente nell’aria.
Un paese spettrale. Un fazzoletto di terra grande quanto tre campi da calcio che dall’oggi al domani si ritrova catapultato in un incubo. E fino a che non vedi, non credi. Impossibile. Impossibile entrare dentro l’angoscia di queste persone se non ci si prova ad avvicinare, chiudere gli occhi e sentire.
Allora ieri mentre andavo a Vo’ Euganeo percorrevo la strada lungo i Colli e mi chiedevo perché lo faccio. Ieri mattina non mi sono nemmeno svegliata bene.
Questa cosa del Coronavirus ti prende tutto, anche quello che credevi importante passa in secondo piano. Insomma dicevo, mi chiedevo perché lo faccio. Ok il lavoro. Ma una voce dentro mi diceva di andare. Così, prendo e per un servizio vado a Schiavonia, poi da lì. Da lì vado, passo per Este, per lo splendido castello e proseguo in direzione Teolo. Il panorama è incantevole. I Colli viaggiano lungo la strada come se si muovessero. Come se accarezzassero il cielo. Come se corressero così velocemente, giocando a nascondino col sole. Un sole rosso. Arancione. Giallo intenso. Che lentamente sta scendendo.
Allora dicevo, vedo questi cartelli: Vo’ 3 km. E mi dico, dai ok torno indietro. Lungo la strada non ci sta nessuno. Non c’è un trattore. Non c’è una persona. Le luci delle case stanno spente. Le porte stanno chiuse. I bar. I ristoranti. I negozi. Tutto chiuso. Nemmeno un posto dove poter andare in bagno. E fermarsi per poter scrivere. Ti rendi conto delle cose belle di cui puoi godere solo quando non le hai. Quando capisci quanto siano di fondamentale importanza. E così. Così “Vo 4 km”. La sera sta scendendo. “Vo 3 km”. La notte sta calando. “Vo’ 2 km”. Si fa sempre più scuro. Torno indietro. Ci sono i tornanti. Ma: “Vo’ 1 km”. Sere ci sei quasi. “Vo’” freccia verso destra. “Sere ingrana la marcia e corri, arriva dritto in centro, fai e poi te ne vai”. Così ingrano la marcia.
Arrivo al centro del paese e non vi dico lo scenario.
Lo trovate oggi sul #Giornale. Poi.
Poi riprendo l’auto. E prendo la via del ritorno verso casa. Ma appena sto per addentrarmi dentro ai tornanti per scendere a valle, la strada diventa tutta buia, non una luce, non un lampione. Niente. Nemmeno un faro di un’auto. Se non la mia. E così tornando indietro, mi sono chiesta perché lo facciamo. Perché. Perché ho provato a immedesimarmi nella vita di queste persone già contagiate. E nella vita di noi italiani con in testa la spada di Damocle. E a ogni tornante che facevo era un pensiero. Come può essere che viviamo come se dovessimo vivere per sempre e poi, poi un giorno quello che fino a qualche giorno fa era bello, i piani, i viaggi, i desideri, i nuovi progetti, ecco in meno di 24 ore perdono di significato. Non significano più niente. Perdono di importanza. Spariscono. Nel nulla. E sei costretto, tornando a casa, a riscavare dentro al cesto dei panni sporchi e ritirarli fuori. Con tutta la forza possibile.
Finiti in fondo. Ammassati. Puzzolenti. Lerci.
E così. Così ho capito un po’ perché lo facciamo. Per dare un’informazione che sia il più possibile corretta. Per non creare il panico. Già alimentato a catena dai quattro buontemponi dei social. E per raccontare queste storie perché possano servire a chi ha perso la forza. Perché lì, giusto in fondo, quando esci dai tornanti c’è sempre una luce. C’è sempre una speranza.
Proviamo a raccontare quello che gli altri non riescono a vedere.
Mi leggete oggi sul Giornale.
sbetti
Dal diario di Facebook del 23 febbraio 2020
Mai avrei pensato che l’Italia nel 2020, dovesse affrontare un’emergenza sanitaria così globale. Mai.
Nessuno lo aveva messo in conto. E ora diventa faticoso fare tutto.
In #Veneto si vive sospesi nell’attesa che passi tutto.
Vai in giro. La gente si guarda intorno. Si osserva. Non si bacia. Diventa difficile toccarsi. Scambiarsi una stretta di mano. Pagare in cassa. Tutti a debita distanza.
I gesti che prima facevi e che ti sembravano normali ora sono macigni.
Uscire dal bar e tirare fuori con le dita una sigaretta non è più normale. Non lo è più. Uscire dal supermercato e aprire un pacco di biscotti e sgranocchiare non è più normale. Non lo è più. Aprire la porta di un locale e pensare di toccarla con la mano, senza un guanto, non è più normale. Mangiare le patatine degli aperitivi nemmeno. Non lo è più. Aprire la mattina il cruscotto dei croissant al bar e scegliere quello che più ti piace, devi prestarci attenzione.
Quante cose siamo in grado di fare e non ce ne rendiamo conto.
Sono tutti gesti che apprezzi quando non hai più la libertà di farli.
#sbetti
#Storie2020
#Coronavirus