Onichini fuori dal carcere. Ma chi gli ridà indietro questo tempo?

Walter Onichini è uscito dal carcere. La famiglia è andato a prenderselo lunedì pomeriggio e l’ha finalmente riportato a casa.
Ancora ricordo il giorno che incontrai la moglie Sara.
Era un giorno di settembre. Erano due anni fa. Sara era lì che mi aspettava sul cortile di casa intenta a fumare una sigaretta. Il fisico asciutto. Il volto magro. Smunto. Lo sguardo fermo. Ferreo. Il marito glielo avevano portato via qualche giorno prima ed era in cella di isolamento. Come i mafiosi. Come i delinquenti. Come gli stupratori. Come quelli che ammazzano di botte la moglie (è accaduto veramente).
Era il 13 settembre 2021.
Il primo giorno di scuola dei figli. Manco la clemenza di aspettare.
Parlammo tutto il pomeriggio quel giorno.
Io seduta a un lato del tavolo. Lei da quell’altro mi stava difronte. Riuscivo a scorgerne tutte le sfumature, tutte le paure, le angosce, i pianti mancati, le parole non dette. Riuscivo a cogliere tutta la disperazione di quella donna che in quel momento mi stava affidando se stessa.
Il figlio quel pomeriggio giocava a calcetto. Aveva lo sguardo triste. Desolato. Come quello di qualcuno a cui manca un pezzo. Come quello di qualcuno abituato a camminare con una guida al fianco e all’improvviso questa guida scompare. Svanisce. Non c’è più. Dall’oggi al domani ti viene tolta. Terribile. In quei momenti ti senti come ti mancasse un braccio. Una gamba. L’esofago. L’aria. Per giorni. Mesi. Forse anni, ti pare di camminare e non puoi fare a meno di voltarti. Ti volti e non vedi nessuno. Ti hanno abbandonato. Quello che c’era prima non c’è più. E devi solo rimboccarti le maniche. “Dai amore vai a fare i compiti”, gli disse Sara. E lui andò. La figlia invece, l’altra, aveva appena compiuto sette anni. Subito lì, così. Subito dopo l’incarcerazione del padre. Sopra lo stendino quel giorno c’erano ancora le camicie del papà. La bimba le guardava e a me veniva il magone. “Se vuoi facciamo un’altra volta”, dissi a Sara. “No, no. Tranquilla – mi disse guardando i bimbi – loro sanno tutto”.
A quel tempo Onichini era ancora in carcere a Venezia. Aveva chiesto il trasferimento per comodità a Padova ma il trasferimento non arrivò subito. La moglie poteva vederlo tre volte al mese. Più tre videochiamate. Manco i pentiti.
Onichini era finito in carcere perché, questo padre di famiglia, di professione macellaio, nella notte del 21 luglio 2013 aveva sparato al ladro che gli era entrato in casa, ferendolo.
Dopo averlo caricato in auto, l’aveva lasciato in un campo a pochi chilometri dall’abitazione.
E così la Cassazione aveva deciso di condannarlo a 4 anni, 10 mesi e 27 giorni di reclusione.
Ma lui di professione non fa il delinquente. Non ama delinquere. Non è come quelli che ti entrano in casa senza permesso incappucciati e armati. Lui quel giorno si è difeso. E gli altri giorni andava a lavorare.
Allora ricordo che ci furono alcuni passaggi della chiacchierata con Sara che mi rimasero particolarmente impressi. E fu quando lei mi raccontò con una calma e una tranquillità invidiabili, cosa accadde quella notte. Il loro timore per il figlio di 21 mesi. E la paura. Il terrore. L’angoscia di non sapere che fare. Quella vita che cambia nel giro di un baleno. “La vita che non è più la stessa, non torni più a vivere come prima. Io faccio fatica. La sera sono a casa con loro e mi pesa. Ho avuto periodi d’inverno, in cui non andavo nemmeno a portare via le immondizie”. Già.
La notizia della sua scarcerazione è una bella notizia sì. Potrà stare a casa in affidamento in prova ma pur sempre a casa.
Ma mi chiedo, visto che viviamo nel Paese che risarcisce i delinquenti che ti entrano in casa, chi mai risarcirà questo padre e questa famiglia per tutto quello che hanno passato? Per i giorni tolti. Per le mancanze. Le ingiustizie. Chi ridarà questi giorni a Walter?
Quel giorno quando mi azzardai a chiedere a Sara cosa avesse raccontato ai figli, lei mi rispose: “Ho sempre raccontato loro la verità. Quando li ho portati davanti al carcere mi hanno ringraziato. Ma per loro è tutto bianco o nero e non capiscono. Mi chiedono: “mamma, ma perché papà deve andare in carcere se ha sparato a una persona cattiva?”.

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