Buonanotte al secchio

Il giornalismo raccontato giorno dopo giorno

Di notte

Questa sera sono distrutta. Le gambe. I piedi. Riparto sempre dai piedi. Dalla terra. Dalle origini. Ho camminato un sacco oggi. A dir la verità ho sempre camminato tanto. Cammino tanto io. Mi serve a smaltire i pensieri brutti. A farli scivolare giù lungo le gambe e calpestarli. Figli di bastardi vigliacchi. Leggo. Scrivo. Fumo. Corro. Quando facevo danza la mia maestra mi diceva: “anche se senti dolore tu continua. Tu continua a ballare”. Ho bisogno di farmi male. O farmi bene. Dipende.
E così oggi ho camminato tra un servizio e l’altro. Ho lasciato l’auto fuori della città, ma fuori fuori, e sono andata a piedi. Avevo bisogno di vedere qualcosa di bello. Di respirare aria fresca. Di sentire che il freddo ti sbatte addosso. E i polpastrelli si gelano quando accendi una sigaretta. Avevo bisogno di vedere attorno a me bellezza. Arte. Dipinti. Colonne. Chiese. Monumenti. Capitelli. Fiumicciattoli che ti sbucano di sotto mentre cammini. Balconi. Terrazze. Adornate come pandori a Natale finito. Avevo bisogno di sentire il rumore della gente. Quello freddo. Grezzo. Al grezzo. Quello che non c’è. Quello che c’è questo maledetto silenzio assordante che ti sconquassa l’anima, che ti squarcia i timpani. Quello che senti e vedi la gente che ti passa di fianco di soppiatto e non ti guarda nemmeno. Quello che alcuni sembrano cani. Con la coda dell’occhio stanno bene attenti a camminare a un dito dal muro, di modo da non incrociare mai il tuo sguardo. Il tuo respiro. In giro c’è tutto silenzio. Se lasci l’auto fuori della città e te la fai a piedi fino all’altra parte. Se te la rigiri la città. Ci vai oltre.
E ora non sto qui ancora a dirvi quale città, ci vedi le persone le più disparate. Mi piace incontrarle. Mi piace parlarci con le persone. Con quelle che non hanno paura. Anche con quelle che vivono con l’angoscia addosso. Per farmi dire cosa provano. Perché.
Se entri in un bar e chiedi permesso. Il barista ti guarda come fossi un insetto. Stai indietro ti prego. Igienizzati le mani. Non avvicinarti al bancone. “Scusi è tutto il giorno che sono fuori è possibile per me prima di consumare andare in bagno?”.
Zan. Silenzio. Non l’avessi mai detto.
Da lì parte un incrocio di sguardi. Avrà il covid – mah no – forse no – sembra seria – oddio e metti caso che me lo attacca – sai tengo famiglia – no le dico di no – ma no dai le dico di sì. La tua lotta per urinare in bagno e non farla in mezzo alla sala si riduce tutta in un gioco di sguardi diabolico. Che poi il freddo i quattro cinque caffè americano che mi scolo, l’ananas e l’acqua e il camminamento veloce contribuiscono di gran lunga a fare pipì. Così a un certo punto ingrandisci la pupilla. Ecco vedi guardami gli occhi. Bravo così. Lasciati assuefare.
E alla fine è sì. “Va bene vai ma igienizzati le mani prima e dopo quando esci”.
Se becchi quello giusto invece è uno spasso. Puoi entrare dentro al locale, e farci pure una baraccata tra poco. Fumare pure dentro al locale. Mi è capitato. Che tanto almeno si diverte. Poi. Poi è ora di tornare all’opera. Un altro caffè. L’ennesima sigaretta. Zainetto in spalla. Gambe pure. Fa freddo. Da tre giorni metto la calzamaglia. E via. Si riparte. Arrivo a casa. È buio. Non riesco ad accendere la luce perché tra le chiavi in mano, la borsa, la posta ferma da quindici giorni, il tacchino arrotolato su carta da formaggio per un frigo sempre in ordine pulito vuoto, tra il telefono chiama la sorella ciao come stai che fai tutto ok tutto bene, tra il messaggio l’amico gli amici che non vedo da un’po’, percorro l’intero salottino al buio. Sto per accendere la luce. Mi cimento in qualche acrobazia. Ma inciampo dritta al secchio del pellet. Si è fatto tardi. È ora di andare a letto.
Buonanotte al secchio.

#sbetti

#giornale

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