No mamma, no papà, è il mio lavoro. Ci devo andare

Oggi pomeriggio sono uscita. Avevo bisogno di camminare. Ho messo John Lennon alle cuffiette e sono partita. Sono partita con la luce e sono rientrata col buio. Per la prima volta dopo un anno. Era un anno l’anno scorso quando mi chiamarono e
mi dissero: “Sere vai a Vo’Euganeo?”. Ecco per la prima volta dopo un anno. Dopo un pranzo con i miei affetti sono riuscita a pensare al coronavirus come a un qualcosa da lasciare alle spalle. Che prende i nostri pensieri. Ma non li governa. Ancora non sapevo l’anno scorso che da quel momento le nostre vite sarebbero cambiate. E oggi sul Giornale insieme a tanti altri colleghi fantastici vi racconto la Vo’ di un anno dopo.
Quando appresi la notizia dei primi due casi di coronavirus in Veneto ero in auto, qualcuno mi mandò lo screenshot – come vi racconterò nel libro – delle edizioni straordinarie dei tg e da lì cominciò tutto. La mia famiglia era in pensiero: “dove vai ?! Stai attenta! Fai attenzione. Ma non puoi non andare?”. No mamma. No papà. Non posso. È lavoro. È il mio dovere. Ci voglio andare. Ci devo andare.
Ecco allora dicevo oggi per la prima volta ho avuto la sensazione che il covid sia qualcosa da lasciarci il prima possibile alle spalle.
Presi paura l’anno scorso. Dio se presi paura. Quella sera scrissi anche al mio collega Gian Micalessin che era stato nel 1995 era stato in Zaire sul fronte dell’Ebola. Gli scrissi perché avevo bisogno di conforto. Non sapevo se il virus mi fosse entrato in auto. Se ti fosse piombato addosso. Arrivai a Vo’Euganeo, dopo essere stata in ospedale a Schiavonia, dove morirono i primi malati di covid, e non c’era anima viva. Le luci spente. Tutti in casa. Fuori deserto. Buio. Solo l’insegna della pompa di benzina si muoveva. Il paese era spettrale. Gli abitanti erano fantasma. Nulla si muoveva. Anche il sindaco Giuliano Martini, stava chiuso nella sua stanza istituzionale e non si muoveva nessuno. Aveva fatto chiudere tutto. Aveva dato ordine a tutti di non uscire. In giro si respirava aria d’angoscia. Paura. Volevo restare ma andare a casa. Uno scenario mai visto. So che quando scesi dai tornanti e vidi quel cartello verde che mi indicava l’autostrada tirai un sospiro di sollievo. Era la via che mi riportava a casa.
Da quel momento è cambiato tutto. Quante cose abbiamo visto in questo anno. Quante cose ho condiviso con affetti amici colleghi parenti. E quella piazza che vedete è la foto di Vo’Euganeo dell’anno scorso.
Così oggi sono uscita. Avevo bisogno sfinirmi. Di fumare. Di sentire il freddo che ti sbatte addosso. E il calore del movimento che ti sale sulla gambe. Ho messo le cuffiette. Ho sintonizzato su John Lennon e mentre scarpinavo fuori al freddo consumando sigarette scarpe e gambe John Lennon cantava una delle sue canzoni più belle: Jealous Guy pubblicata sull’album Imagine nel 1971. Ragazzo geloso. E mentre John Lennon cantava vedevo la gente andare a spasso. Le auto cariche di bambini sogni e speranze. Ancora troppo paurose e intimorite da un passato difficile da dimenticare. Da un presente che tenta di stare in equilibrio. E da un futuro che speriamo tutti migliore.
E lì. Lì c’ho visto i ragazzini fumare. Le biciclette posate per terra. I palloni del basket palleggiare. Le mani prendersi. Accogliersi. Agganciarsi. C’ho visto le case piene. Le strade semivuote. Le luci accese. Le finestre aperte. Ho pianto.
Dio se ho pianto. Ho pianto e ripianto che avvolta dal calore di un movimento ho sentito freddo. C’ho visto una famiglia che tornava dal passeggio. Lei. Lui. La bimba c’aveva lo zainetto. Quello di scuola. Quello di Bing. Quello che quando andavi a scuola volevi far vedere a tutti. Ed era il più bello. Lì dentro ci mettevi dentro i sogni. I quaderni. I libri. La voglia di imparare. La capacità di apprendere. Ci mettevi dentro i colori. Le cose di scuola. Quella che era vita. Studio. Amore. Amici. Prime cotte. Poi. Poi è diventato buio e non me ne sono neanche accorta. Ho visto due fari puntarmi contro. Quelli che avrei voluto vedere quella sera a Vo’ Euganeo e invece non c’era nessuno. Quelli che avrei voluto vedere quella sera per sapere che c’era qualcuno che mi fosse venuto incontro.
Ho visto la gente mettersi in coda per la pizza. E poi davanti una casa ho visto il tricolore sventolare. E un lenzuolo sgualcito marcito dalla nebbia dove ora sbiadito ci stava scritto “andrà tutto bene”.
Il lenzuolo ha cancellato. Le nostre menti no.
“I was dreamin’ of the past – cantava John Lennon ancora alle cuffiette – And my heart was beating fast”. “Stavo sognando il passato. E il mio cuore batteva velocemente”.

sbetti

👉 https://m.ilgiornale.it/news/qui-ci-fu-vittima-ora-i-locali-sono-pieni-vogliamo-1925562.html

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