È morto uno dei due anziani in Veneto, di Vo’ Euganeo, risultato positivo al test del Coronavirus.
Tra poche ore lo trovate sul #Giornale.
È morto lì. In ospedale a Padova. Dopo aver contratto il virus in un paese che, tra poco, non ha nemmeno le chiese. Un buco di culo di 3 mila abitanti. Incontaminato da tutto. Vergine da tutti. Intatto. Pulito. Immerso nell’aria fine dei Colli e tra i panorami al tramonto scoscesi di rosso.
Non la stazione di Milano. Non l’aeroporto di Fiumicino. Non lo scalo di Malpensa. Non il porto di Brindisi.
È morto dopo quindici giorni. E ora, in queste ore, mi stanno arrivando dei messaggi preoccupanti. “È un incubo… Mia moglie lavora in ospedale a Schiavonia – mi scrive una persona – Ci sono tutti i dipendenti chiusi in ospedale… sono molto preoccupato”. “Non fanno più uscire nessuno – mi scrive un altro – Ci stanno preparando un ospedale da campo nel parcheggio”. E poi ancora. Ancora e ancora. Le chat di whatsapp hanno iniziato ieri pomeriggio a rimbalzare, ad emettere ogni tipo di suono. La gente è allarmata. Perché tutto questo fa paura. Ho anche incontrato una mamma per strada che voleva che il figlio non andasse a un concerto a Padova perché teme il Coronavirus. “Stai a casa”, gli ha detto. “Ti rimborso io di due volte il biglietto”. Perché quando c’è di mezzo la morte, perdiamo la ragione.
Allora prima per scrivere il pezzo sono andata a guardarmi il numero dei morti in Cina. Sono 2233. Cioè duemiladuecentotrentatré persone morte nel giro nemmeno di un mese, con 115 nuovi decessi solo nelle ultime 24 ore e 889 nuovi casi. Duemila duecento trentatré.
Allora sono andata a guardarmi il numero degli abitanti del paese dove sono cresciuta.
E sono 1632. Milleseicentotrentadue.
Meno seicento persone dei morti in Cina. Un paese intero spazzato via nel nulla. Per colpa di un virus che un giorno arriva, si pianta sull’organismo, infetta il corpo, colpisce la bocca, il naso, le mani, si aggrappa ovunque e porta via tutto. Una crisi globale tenuta forse consciamente nascosta.
Allora il problema ora è capire se siamo in emergenza. Quanto dobbiamo avere paura. Perché alla fine è questo che in situazioni estreme ci tiene in vita. La paura.
La paura ci fa essere prudenti. Attenti. Accorti. Ti fa lavare le mani. Pulire le scarpe. Evitare di toccare dappertutto e poi ingozzarti di cibo alla stazione. La paura rende liberi. La paura a volte salva. La libertà ti rende immune.
Però. Però di fronte a tutto questo, oltre alla tristezza di un paese cancellato dall’universo, un paese dove i morti segneranno le pagine dei libri di storia, dove quei messaggini dei figli mandati ai padri: “papà ci rivediamo presto, sta tranquillo, anch’io sono Infetta”, finirà in qualche lettura di qualche manuale di storia o letteratura, ecco dinanzi a tutto questo mi sta salendo tanta rabbia. Perché quando qualcuno aveva proposto di mettere in quarantena chiunque rientrasse dalla Cina, sono riusciti a farci pure la più sporca politica. Razzismo hanno detto. Fascismo. Perfino sul Coronavirus, su un’emergenza così globale, sono riusciti ad appiccicarci addosso il colore. Perché gli stolti della politica hanno creduto che la paura da Coronavirus fosse di destra. Quando invece. Quando invece la paura non è né di destra, né di sinistra. La paura è semplicemente umana.
Vado a letto.
Buonanotte.

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