A Falcone, a Borsellino. Mostra Treviso

L’altro giorno ho visitato la mostra di Falcone e Borsellino a Palazzo dei Trecento a #Treviso. Una mostra organizzata dall’Ansa e dal Comune di Treviso che attraverso le immagini messe a disposizione dai familiari e dall’archivio fotografico dell’Ansa, ricostruisce la vita di questi due magistrati.

E allora c’ho portato un’amica a vedere sta mostra, Chiara Busatto, e a fine giornata mi ha detto grazie.

Già. Grazie.

Una parola che si fa sempre fatica a pronunciare e che invece dovremmo dire a chi per la lotta alla mafia c’ha rimesso la vita.

E allora sapete. Quando mi sono iscritta a Legge, mi sono iscritta proprio grazie a questi due magistrati siciliani, affascinata ed entusiasmata e arrabbiata dai loro racconti, dalle loro parole, dai fatti, dalle loro indagini, dai libri, dalle testimonianze, dai film. Ma non mi ci sono iscritta con il desiderio di vivere in un film o di vedere le volanti sfrecciare o di sentire le sirene andare o di addentrarmi in qualche inseguimento o di vivere sotto scorta. No. Mi ci sono iscritta con la consapevolezza che la vita non è un film e che a volte può essere molto molto più dura. Mi ci sono iscritta con il sogno di una ragazza con gli ideali di giustizia e libertà che voleva cambiare il mondo. Un sogno che non se n’è mai andato e che con i suoi ideali di giustizia e libertà mi accompagna da quando apro gli occhi al mattino a quando li riapro il giorno dopo. Un sogno che metto dentro al mio lavoro ogni minuto. Ogni secondo.

Perché la Legge, la Giustizia, ti indicano una via. Ti “insegnano” a discernere il bene dal male. Ti pongono dubbi. Ti cuciono addosso punti interrogativi che nel mio lavoro non devono mai e poi mai e poi mancare. Perché di pieni di sé, ne abbiamo pieno il mondo.

E allora io me lo ricordo quando morì Falcone. Sì.

Ero piccola e ricordo che ero al supermercato con i miei genitori e all’improvviso alla radio passò la notizia. Edizione straordinaria.

Allora la gente si fermò. Sgomenta.

Abbandonò i carrelli.

Mollò la presa anche dai pacchi di pasta.

Tutti si guardavano l’un con l’altro, sbigottiti, increduli.

È morto un giudice mi disse mia madre.

La mafia. La mafia aveva colpito ancora, come a dire “Non ci ammazzerete. Vi ammazziamo noi”.

Bé no. No.

E il 23 maggio prossimo saranno passati 27 anni da quando Giovanni Falcone per quello che faceva ci ha rimesso la vita.

Come ce la rimetterà dopo qualche mese Paolo Borsellino, assassinato nella strage di via D’Amelio il 19 luglio.

Anche lui venne ammazzato finché andava a prendere la mamma, in un momento in cui la vita rende vulnerabili. Come come tanti altri che la mafia ha deciso di far fuori.

Ma quel giorno Falcone, Borsellino, sono morti consapevoli che qualcuno avrebbe continuato il loro lavoro, “non li avete ammazzati, le loro idee camminano sulle nostre gambe”. Così senza farsi vincere dalla paura.

Perché come diceva Falcone: “Chi ha paura muore tutti i giorni, chi non ha paura muore una volta sola”. E lui. Lui è morto in un giorno di maggio e “noi abbiamo un debito verso di loro”.

#sbetti

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