Accadono cose inenarrabili. Ora vi racconto quello che mi è accaduto. Così come l’ho scritto sulla Verità.
Poi la gente si chiede perché le foto delle borseggiatrici finiscono nei social. È lunedì 27 marzo. Sono le 11.20. A Venezia sul pontile davanti la stazione pare ci siaappena stato un furto. Le borseggiatrici hanno messo a punto l’ennesimo colpo. Qualcuno inizia a gridare: “Ladre, ladre”. Qualche altro: “Borseggiatrici! Borseggiatrici!”. “Attenzione borseggiatrici, attenzione borseggiatrici!”. È il caos. Il parapiglia. Io sono lì per girare un servizio televisivo fatalità sui borseggi. Il cameraman accende la telecamera, preme rec e iniziamo a correre per riprendere la fuga delle scippatrici. Con noi ci sono quelli dell’associazione “Cittadini non distratti – Stop borseggi a Venezia”. Un gruppo attivo da trent’anni che ogni santissimo giorno tiene sotto controllo il territorio. Le borseggiatrici iniziano a correre. Sono in due. Stiamo loro dietro, le inseguiamo. Passano il pontile, salgono sulle scale, entrano in un negozio di vestiti, fanno svolazzare maglie, gonne addosso ai manichini; i negozianti e i clienti hanno gli sguardi atterriti e noi sempre dietro con le telecamere. Monica Poli dell’associazione continua a gridare per cercare di fermarle. Sembra un film al rallentatore. Le scippatrici feline, guardinghe, attraversano il negozio, sbucano dall’altra parte, oltrepassano il piazzale. Sbattono addosso ai turisti con i trolley. La folla di gente si apre per farci passare. A quel punto ci dividiamo, io vado da una parte, il mio cameraman va dall’altra, la donna del comitato da un’altra ancora. Cerchiamo di accerchiarle. E in quel preciso istante si vedono le borseggiatrici passare dietro a due agenti della security. I due uomini non si scompongono di striscio, voltano appena lo sguardo verso sinistra senza nemmeno voltare il busto, le seguono con la coda dell’occhio e rimangono impassibili fermi immobili. Non un balzo. Non uno scatto felino. Non un tentativo di prenderle. Di acciuffarle. Di assicurarle alla giustizia. Niente di niente. Noi riprendiamo tutto. Continuiamo a correre. Le borseggiatrici si infilano tra i binari. Spariscono in mezzo ai treni. E addio. Uno pensa sia finita. E invece tempo due nanosecondi, uno degli agenti della security ci raggiunge.
Ci ferma e ci dice che le riprese in stazione non sono ammesse. “What?!”. Sgrano gli occhi. Sì vero, ma gli chiedo perché mai non avesse fermato le borseggiatrici dato che gli erano passate dietro al sedere. “Ma lei si è accorto che le sono passate accanto?”, chiedo. “Lei ferma noi, anziché loro?!”. “Sono costretto a chiamare la polizia – mi risponde – perché non è possibile riprendere nelle stazioni”. Io continuo. Gli dico che capisco ma gli chiedo se effettivamente stesse dicendo sul serio. “Cioè con le borseggiatrici che scappano, ferma noi perché stiamo riprendendo?”. “Purtroppo sì – mi risponde – Questo è il mio lavoro”. Dopo un battibecco durato all’incirca due tre minuti, alla fine la guardia ci costringe a cancellare il girato e, non pago, si accerta che le immagini finiscano nella casella del cestino. “Ora capite – ci chiede Monica Poli – perché siamo costretti ad arrangiarci? Guardatevi attorno. Qualcuno delle forze dell’ordine è giunto in nostro aiuto?”. Mi volto. Cerco con lo sguardo qualche divisa ma in effetti, più della gente attonita e incredula, non vedo nessuno. Un signore sta mangiando il suo panino. “Anch’io sono stato scippato – dice – e mi sono sentito uno stupido. Io sto sempre attento. ma queste sono cattive”. Poco più in là si fa avanti Franco Dei Rossi, un pittore di piazza anche lui “cittadino non distratto”. “Hanno trovato un portafoglio”, ci dice. Il taccuino è quello di una donna di Singapore. Dentro ci sono tessere, schede, foto. Ci sono le sue cose.
Serenella Bettin
Intervista su Radio Radio 📻 👉 https://www.radioradio.it/2023/03/borseggiatrici-la-verita-bettin/


