No, non ho fatto la scuola di giornalismo. Io il mestiere lo imparo per strada, tra il sangue e la merda

L’altro giorno mi hanno chiesto se avessi fatto la scuola di giornalismo.
I sapientoni di Facebook, quelli che gravitano ogni giorno attorno al circo mediatico culturale dei talebani del perbenismo, mi rimproveravano – come se me ne fregasse qualcosa – del fatto che avessi ripreso le ladre in fuga.
È risaputo infatti che la maggior parte della gente anche se non interpellata si diverta a dispensare consigli a destra e a manca che vanno bene per pulircisi il culo, e soprattutto pretende di insegnarti come si fa il mestiere.
Ecco. Detto ciò.
No.
Non sono cresciuta nella scuola di giornalismo. Io, questo bellissimo e disgraziato mestiere, l’ho “imparato” – e non lo imparerò mai del tutto- sul campo. Sporcandomi le mani ogni giorno. Insabbiandomi fin sopra i capelli. Infilando le gambe e tutto il corpo dentro la melma, anche quando la sabbia scottava da ustionarti. E ci ho sempre messo la faccia. Non ho “imparato” il giornalismo tra i banchi di scuola. Con i libri di testo dove ti insegnano come fare un’intervista. Ammesso che qualcuno possa insegnarti come farla. Ammesso che qualcuno possa sentire la tua musica nelle parole che metti. Ammesso che qualcuno possa sentire quello che provi.
Non ho appreso ad andare in mezzo ai profughi studiando i manuali delle giovani marmotte. Ci sono andata sporcandomi di fango. E prendendone tanto, nonostante denunciassi sempre il malaffare. Non ho “imparato” a fare le inchieste leggendo il Cioè o il Top Girl o il Top You. L’ho “imparato” sulle strade. Nelle strade. Nei meandri più lerci e puzzolenti. Quelli dove ti ci infili dentro e la notte quando rincasi senti ancora il puzzo di merda e piscio. Questo è mestiere che ti porti dentro. È un mestiere che ti senti appresso. È un mestiere che o te lo senti addosso o evito di farlo. Non esistono giorno di ferie. Non esistono festività matrimoni cresime.
L’ho appreso vedendo scorrere il sangue durante gli incidenti. Ascoltando le parole della gente. Ascoltando e facendo mio il loro dolore. L’ho “imparato” incassando i colpi. Stando zitta molte volte. Prendendo pugni. Calci. Bastonate. Prendendomi tutti i ganci come un pugile sul ring di una partita ancora da giocare. Un pugno. Poi un altro. Un altro ancora. Il sangue che zampilla. La saliva che scende dalla bocca. Tu che cadi a terra e poi un piede un ginocchio una mano e poi un’altra e un’altra ancora e risali in piedi. L’ho “imparato” nelle strade scendendo negli ambienti più lerci. O nei salotti più esclusivi dove gli uomini facoltosi discutono di denaro e diritti. L’ho “imparato” facendomi scudo e spazio. Quindi no.
Fortunatamente non ho fatto la scuola di giornalismo per imparare questo mestiere. La scuola l’ho fatta dopo.
L’ho imparato e non lo imparerò mai abbastanza guardando le lacrime e il sangue della gente. Lo sto imparando così.
Come ho pulito queste scarpe. Piene di sterco di pecora. Io quella merd ho sempre cercato di pulirla. E le pecore non mi sono mai piaciute.

sbetti