
Due anni fa, lavorando al Salone Nautico, una mattina, passando per Piazza San Marco, mi si avvicina un uomo.
Che prende e mi consegna una busta. Lì per lì lo guardai. Non sapevo se accettare o meno. Ma la curiosità era talmente tanta, che anche se indecisa avrei accettato lo stesso.
Mi disse: “tieni è per te. Apri”.
Dentro la busta c’era questa foto. Io me ne stavo intenta a fumare in pausa pranzo o colazione o chissà cosa – in quei giorni confondi i pranzi con le cene – e lui fece questo scatto. Era un fotografo. Mi disse: “hai un viso particolare, sei uno dei più bei soggetti che io abbia mai fotografato”.
Mi disse che si era innamorato dei miei lineamenti. Duri. Spigolosi. Asciutti.
Non lo disse per secondi fini. Perché non mi lasciò un numero. Non mi lasciò nemmeno un nome. Completamente sparito.
Mi sembrava un uomo d’altri tempi, uno che consegna una foto a una donna e non per portarsela a letto.
Non mi lasciò un bigliettino. Non mi lasciò niente.
Io chiesi anche il suo nome. Forse mi disse Paolo. Ma ora non ricordo. Mi disse: “va bene così, credimi”. E sparì. Aveva stampato la foto con l’attrezzatura che si portava dietro.
Oggi Venezia compie 1600 anni e se devo scegliere una foto ricordo, scelgo questa, rimasta chiusa nel cassetto per due anni.
Non ho mai avuto il coraggio di tirarla fuori. Non ero pronta.
Perché è proprio così che io ho amato e amo Venezia, come un uomo d’altri tempi ama una donna. L’ho amata.
La amo tutt’ora. L’ho sviscerata. Ho imparato ad amarla così com’è. Per quello che ti regala. Per quello che ti dà. Rispecchiando la sua indole così ribelle e coraggiosa. Libera.
Anche di finire sott’acqua.
Ancora ricordo i primi tempi a Venezia. Quelli di quando da bambina, sorpassata la fase iniziale di Venezia tutta bella, impari a doverne fare i conti con la realtà veneziana.
Conosci gli inverni. Le estati. Gli inverni con l’acqua alta, col freddo che ti si torce contro, che ti si riversa addosso. L’estate con i turisti. Con i bastoncini dei selfie, con il trotterellare dei trolley e lo sbuffo dei vaporetti.
È così che voglio festeggiare Venezia. Con l’immagine di quello che tornerà.
Perché quello era tremendamente bello.
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