
Solo rallentando puoi entrare dentro le cose.
Due settimane fa sono stata in Friuli e mi è successa una cosa.
Allora ero appena arrivata all’Hotel Ristorante Al Fogolar 1905 per andare a conoscere lo chef che fa il pane con la farina degli alberi.
Di questi tempi torna utile il pane con la farina degli abeti. Con la farina della corteccia interna. La farina di sussistenza. Dei tempi della guerra. Insomma dicevo ero appena arrivata, quando mi accolgono, mi fanno sedere e subito mi servono l’aperitivo della casa. Io posiziono tutte le mie cose, apro il tablet, il quaderno; mi piace quando arrivo in un posto nuovo, prendermi del tempo, rallentare un attimo, studiare, approfondire, conoscere, anche semplicemente perder tempo ma che sia un tempo bello.
Solo rallentando entri nel pieno delle cose, nel vortice, solo rallentando puoi trovare la giusta dimensione, senza sembrare assetata di notizie, che poi finita una sotto un’altra. No. Non funziona così. Le storie le vivi, te ne ricordi, diventano parte di te, in qualche modo ti formano, ti fanno crescere, ti fanno riflettere. E mi sono sempre ripromessa quando arrivo in un posto nuovo, di prendermi del tempo, tempo per studiare, cercare, capire, approfondire, scavare. Un amico medico l’altro giorno mi ha detto: “è lo studio che cambia le cose, la conoscenza, se studi sai come gestirla, sei più preparato, se non studi, se non ti informi no, possono raccontarti quello che vogliono e tu ci caschi”.
Allora dicevo sono lì che tiro fuori le mie cose, quando mi accorgo che dietro di me ci sta un tavolo. Un tavolo con due signori. Una coppia. Lei sulla sessantina, capelli cotonati, biondi, maglia di cashmere, aveva gli occhi piccoli.
Lui, sulla sessantina come lei, occhi vispi attenti, occhiali, portamento di chi lavora in ufficio, c’avea ai lati degli occhi, delle buffe basette ricciolute.
Così, inizio a fare il mio lavoro, i camerieri del ristorante mi fanno vedere un video, mi girano del materiale, così intanto per iniziare, prima di vedere, quando a un certo punto al tavolo dietro di me dove ci stava quella coppia, arrivano altri due. Una coppia di amici. Lui non me lo ricordo benissimo. Stava seduto giusto dietro. Lei invece, amica di quell’altra, col cagnolino, vestita di nero, capelli messi in piega da poco, occhi attenti, sguardo contento.
Dopo un po’ arriva il cuoco che devo intervistare, l’inventore di questo pane sfornato con la farina degli alberi. Arriva, si siede, io avevo da poco finito di mangiare e iniziamo l’intervista. L’intervista dura parecchio. Mi piace ascoltare, sentir parlare, capire, guardare attraverso gli occhi il profondo delle cose, mi piace sentirmi raccontare di antiche tradizioni, di vecchi valori, mai persi, di mestieri che sembravano passati.
Mi piaceva sentir narrare quelle cose, riscoprire il tocco degli alberi, il pane appena sfornato fatto in casa, i dolci, il focolare, il caminetto, il calore che solo quei paesi di montagna ti sanno dare.
Insomma gli chiedo cosa fa. Come. Quando è nata. Perché. Cosa prova. Come lo fa. Mi spieghi bene. Cosa taglia, con cosa fa i contenitori. E parla che ti riparla, quando a un certo punto, io incantata da racconti in quest’isola felice, che mi avevano fatto dimenticare la tristezza di ciò che ci sta attorno adesso, mi volto e vede i quattro signori dietro di me, assorti completamente dai racconti del cuoco”.
“Complimenti – mi dicono – abbiamo sentito tutto, era così interessante. Una bella storia. Ma dove possiamo leggerla?”
Io dico loro sul Giornale, e il signore con gli occhiali che mi dà 29 anni, mi dice: “io ero un lettore del Corriere della Sera, ma ora mi sono stancato e non compro più un quotidiano”.
Allora io gli rispondo che no! Che non si può. Che non si fa! Che fa male, che almeno un quotidiano deve comprarlo.
Lui mi dice: “ma insomma dove posso leggerla? Chi devo cercare domani? Cosa devo comprare?”.
Io gli dico: compri il Giornale, e cerchi Serenella Bettin.
Lui mi dice: “ok. Lo comprerò. Magari mi ci appassiono e inizio anche a leggerlo”.
Scrivetemi se avete delle storie.
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