Storie 2020.

Ieri mattina sono andata al bar a bere il caffè. Come sempre. Ho preso il Giornale. Ho letto. La sigaretta in mano. Quando sono lì che bevo il caffè ed entra un ragazzo. Un ragazzo che conosco. Allora gli dico come va. Lui mi chiede come stai. Buon Anno. Grazie. Anche a te. I soliti convenevoli. Poi mi chiede cosa fai. Io gli chiedo cosa fa. E lui mi risponde che a fine gennaio parte. Se ne va in Australia. Basta. Ha mollato il lavoro. Si è fatto il visto. E ha deciso così. Anzi mi dice anche che lì un lavoro l’ha già trovato. Quando in Italia, non c’è posto nemmeno per quelli che escono dall’Università. Addirittura mi dice che quando si guarda attorno, sente che qui nessuna cosa più gli appartiene. Allora gli chiedo come mai. Con tatto. Con delicatezza. Dietro alle decisioni di una persona a volte si nascondono le più grandi insidie. I più grandi turbamenti. I più grandi sconvolgimenti. E lui mi dice che no. Che non è il lavoro. Che è la mancanza di serenità. Di fiducia. Di sogni. Di prospettive. Che vuole diventare una persona migliore e che vuole migliorarsi. Anche per imparare la lingua dato che in Veneto fanno fatica a parlare in italiano.

Già. E allora l’ho ascoltato. E stasera mentre percorrevo con un amico in auto una strada completamente avvolta dalla nebbia, mi sono chiesta quanti giovani partono in cerca di sogni. Quanti giovani se ne vanno in cerca di posti migliori. Di mondi diversi. Di prospettive più ampie. Perché è molto vero che fa più bello fare il cameriere a Londra anziché farlo in Italia, ma è molto vero che l’Italia è un Paese annacquato. Affranto. Avvilito. Depresso. Morto. L’Italia ha i giovani che scappano perché non ha niente da offrire. Perché non ha niente da dare. Perché non concede sogni. Non dona speranze. Non tesse prospettive. L’Italia è un Paese dove i sogni rimangono intrappolati alle stelle. Oscurati dalla nebbia, affogati nell’angoscia. La bandiera dell’Australia almeno le stelle ce le ha in bella vista. L’Italia è un Paese infognato. Fossilizzato. Non è libero. È marcio. Non si è più liberi qui, mi ha detto il ragazzo. Già. Non si è più liberi nemmeno di sognare. Ti affossano talmente tanto da catturarti il pensiero. Da imprigionartelo. Da ostacolarti la vista. L’orizzonte. Un futuro migliore.

L’Italia è un Paese che pensa a se spostare le lancette dell’ora legale e dell’ora solare. È un Paese che pensa alle coppette mestruali. È un Paese che pensa a far andare gli autobus con la cacca. Un Paese che pensa a far brucare l’erba alta alle caprette. Un Paese che assieme a tutta la schiera degli altri idioti pensa a mettere il bavaglio a Facebook. Pensa a quello che mangiano i politici. Pensa alle tasse sui carboidrati, sulle sigarette, sui preservativi. L’Italia è un Paese che ha fatto scappare i preti. Che manda in pensione i poliziotti. Le insegnanti, stanche ormai di una burocrazia che trita l’acqua. L’Italia è un Paese dei poveri. Dei poveri di spirito. Dei poveri di soldi. Dei poveri di umanità. Dei poveri di abbracci. Tanto non riescono nemmeno più ad alzare le mani.

Perché dove volete andare. Dove volete andare se pensate agli incentivi per gli under 35. Se pensate ai bonus cultura per accaparrare voti. Dove volete andare. Dove volete andare se ci sta una schiera di ultra trentacinquenni che non sa dove andare. Che non sa che fare. Che non ha un posto nel mondo. Che non può pagarsi l’affitto. Che non può pagarsi da mangiare. Che non ha fame. Che non ha più sete di idee. Di valori. Di ideali. Di forze. Di condivisioni.

Dove cazzo volete andare se ci avete tolto tutto, pure le stelle.

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