L’altra sera ero a cena con delle persone. Allora davanti a me ci sta un signore che se lo guardi già ti colpisce per l’aspetto. E io sono attratta da queste persone. Le guardo. Le scruto. Me le mangio. Ricordo esattamente cosa indossano.
Sì insomma, non una di quelle persone insignificanti che nemmeno se le pesti ti dicono “ahi che male”, no. Una persona con gli occhietti piccoli tondi neri e vispi, che si vede che ha fatto la sua vita. Che è carica di spirito d’avventura e di coraggio. Che ama il rischio. Le cose fatte con passione. Con amore. Uno di quelli che nel lavoro di sicuro c’ha messo tutto se stesso. Allora gli chiedo il nome, si chiama Raimondo e c’ha degli occhiali neri che gli avvolgono questi occhi lucenti. Occhi mai stanchi. Che hanno visto tanto. Ma bramosi di vedere ancora.
Allora questa persona sta andando in pensione, e io gli chiedo come mai, cosa ci va a fare, se se ne pente, io che la pensione non la concepisco, la fine della vita, non riesco a concepire una vita senza lavoro. E allora così parlando, a a un certo punto mi fa: “sai tutto sommato sono contento, sì insomma sono contento della mia vita, perché i ragazzi di oggi hanno tutto, hanno tanto di tutto, hanno tanto, rispetto a quello che avevamo noi, hanno smartphone, telefonini, vestiti di marca, tablet, computer, viaggi, cellulari all’ultima moda, ma non hanno una cosa che io avevo”. Si ferma. Mi guarda. E io gli chiedo: “cosa?”. “I sogni”, mi risponde lui. “Io avevo tanti sogni. I ragazzi di oggi hanno tanto di tutto, ma pochi sogni”. Così io lo guardo. Lui mi guarda. Io ci penso. Lui non ci pensa.
Già. Pochi sogni.
E allora oggi ero a Verona, al JOB&Orienta. Una manifestazione che è la più importante dedicata alla scuola, all’orientamento, alla formazione e al lavoro.
Così. Sono arrivata. Ho parcheggiato e già all’entrata vedevo venire avanti ragazzi riuniti in gruppi di due tre quattro cinque che ridevano parlavano se la raccontavano. Qualcuno con in mano una cartellina. Qualcuno con in spalla una borsa. Una di quelle di stoffa che ti danno quando ti fermi a uno stand. E chiedi cos’è. Qualcuno con in mano un block notes. Qualche altro con alle spalle uno zainetto. E andavano. Andavano. E andavano. E allora dentro la fiera, tra le file dei padiglioni guardavo questi ragazzi pieni di sogni o forse no camminare lungo i tappeti. Li guardavo. Li osservavo. E mi chiedevo. Chissà se pure questi hanno il loro mondo pieno di sogni. Chissà se pure questi c’hanno la testa pieni di sogni. Chissà se sognano di fare l’astronauta, il poliziotto, il tenente dell’esercito, l’argonauta, lo storico, il letterario, il docente universitario. Chissà. Chissà se si rendono conto che c’hanno davanti il mondo. Che qui costruiscono il loro futuro. Che le scelte di oggi determineranno il percorso di domani. Chi lo sa. Chi lo sa se lo sanno. Chissà se sanno la fortuna che hanno nel poter decidere. Nel poter fare una scelta. Nel poter scegliere di diventare qualcuno anziché qualcun altro.
Noi. Così vittime più dell’avere che del fare. Dell’essere. Noi, così vittime del dire io ho. Io sono. Anziché io voglio. Io devo.
Noi. Noi esseri così piccoli minuti in un mondo di colossi che se gli fai da plancton ti mangiano. Noi. Noi così vittime dell’ingordigia anziché della lenta realizzazione. Della scoperta. E chi lo sa. Chi lo sa mi dicevo se questi ragazzi si rendono conto di avere in mano un foglio bianco su cui poter disegnare, scarabocchiare, su cui potercisi sbizzarrire, e poi stop cancellare e ricominciare. Chi lo sa. Chi lo sa se l’hanno capito la fortuna che c’hanno.
Allora mi guardavo attorno e vedevo tanti giovani appassionati. Chi alle prese con la scuola di musica. Chi con l’Accademia delle Belle Arti. Chi vuole diventare poliziotto. Chi sogna di indossare la divisa. Chi sogna di disegnare la pelle. Chi fa le interviste. Chi mette a punto acconciature. Chi sogna di fare l’estetista. Chi sogna di diventare veterinaria. Chi sogna di avere un’impresa. Chi lavora già a una start Up e non vede il senso di continuare ad andare a scuola. Chi già prende appunti. Segna le cose importanti. Tiene in mano le cartelline e pensa agli esami universitari. E poi chi. Chi ancora non sa cosa fare. E si guarda attorno.
E allora. Allora a un certo punto parlando con un generale dell’Esercito, gli ho detto: “che bello vedere questi ragazzi con la faccia ancora non macchiata delle sofferenze del tempo, beati loro che c’hanno ancora la testa piena di sogni”. Cosa fare. Dove andare. Chi diventare. Allora lui mi fa: “ma anch’io ho ancora tanti sogni”. E io che divento ogni giorno sempre più maledettamente realista, io che a quindici anni ero già vecchia, gli dico: “non si vive di sogni però, si vive di cose terrene, di cose che si possono fare, bisognerebbe svuotarsi la testa sennò, mettersi a testa in giù e ricominciare”. E lui: “c’è un modo per svuotare la testa e continuare a sognare. La sera quando si arriva a casa, dopo una giornata di lavoro, si pensa al giorno trascorso, e lasciando defluire i pensieri, si fanno venire a galla quelli belli, si pensano alle cose belle fatte durante il giorno, alle cose positive, così si va a letto sereni e il giorno dopo si è pronti per ripartire”.
E allora non lo so. Non lo so se sia così che funzioni. Non lo so. Anch’io avevo la testa piena di sogni. Ma credo che a venti si sogni tantissimo. A trenta si corre dietro ai sogni per evitare di sentirsi vecchi.
#nottesbetti
#sbetti 💙
Mi hai fatto tornare in mente uno splendido film che ho visto tempo fa, e che parlava proprio dell’importanza di inseguire sempre i propri sogni. Il film è questo: https://wwayne.wordpress.com/2019/06/01/in-viaggio-verso-te/. L’hai visto?
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