
Stigliano, Venezia, 26 novembre 2016
Sono le 22 e 30 di una tiepida sera d’autunno. Fa caldo fuori. Un caldo atipico anomalo. Inconsueto.
Entro in un locale per trovarmi con degli amici. La stanchezza di venerdì sera si fa sentire ma per un saluto e una tequila in compagnia c’è sempre posto. Finché aspetto i miei amici di ritorno da una cena (io non ci sono potuta andare per i miei normali orari di lavoro) entra un gruppo di ragazzi. Giovani. Sardi e comunque del Sud. È un gruppo che avevo conosciuto ancora qualche mese fa. E io, sarà perché parlo anche con Satana, sarà per la mia stramaledetta curiosità, fatto sta che avevamo scambiato qualche parola. Dopo qualche sera li incontrai di nuovo. Allora ci sediamo fuori dal locale, una sigaretta, due, tre e facciamo una lunga chiacchierata. Un ragazzo sardo, a cui se ne sono aggiunti altri poi, uno romano e uno napoletano.
Mi raccontano che nella loro regione non c’è lavoro, che non si sta bene. Che non è come qui al Nord che c’è voglia di lavorare.
Il ragazzo di Roma mi dice che si è messo in cammino dall’oggi al domani ed è venuto qui. Ha cominciato a bussare in tutte le aziende, ad andare a piedi in ognuna perché non aveva nemmeno il computer per mandare il curriculum, alla fine una l’ha preso. Uno dei ragazzi sardi mi dice che all’inizio qui lavorava come aiutante di una fabbrica che montava e smontava mobili. Così sbarcava il lunario. Adesso ha trovato posto in un’azienda da mattina a sera, a tempo determinato.
Il ragazzo napoletano è quasi rassegnato. Sa che se vuole lavorare deve restare qui. Giù è impossibile. Troppe infiltrazioni mafiose. Il ragazzo sardo ci racconta che giù di 300 offerte di lavoro, tre sono serie. Le altre fasulle. Nessuno paga. Nessuno risponde.
Tutti e tre sentono la mancanza della famiglia. Sì, ok sono spavaldi, hanno dai 23 ai 25 anni ma la nostalgia di casa, il vento, il mare del sud, qui non ci sono. Né ci saranno mai.
Ieri sera questi ragazzi li ho reincontrati. L’azienda li aveva mandati in trasferta e adesso sono tornati. Sono sempre all’erta, si danno da fare, cercano un posto di lavoro migliore. Ma si spaccano la schiena.
Nel Veneto ci sono arrivati, senza sapere dove andare. Senza nessuno che li accogliesse, senza nessuno che desse loro, per la prima sera, un misero tozzo di pane.
Le serate se la godono tra di loro.
Una birra, quattro risate e forse per Natale torneranno dalle loro famiglie.
Pochi chilometri più a sud invece ci sta un paese. Questo paese si chiama Stigliano.
È un mercoledì pomeriggio. Ore 15.45
Davanti la chiesa principale si sta svolgendo un funerale. Una madre di famiglia. Nel centro del paese le attività vanno avanti: il fruttivendolo che scarica la frutta, il negoziante che affetta un etto di prosciutto (non di più perché bisogna risparmiare), il macellaio che carica e scarica enormi container di carne, il fornaio che si prepara per la notte, la casalinga che stende i panni, il giardiniere dell’asilo che taglia l’erba, i nonni che accompagnano a catechismo il nipote e mamme e papà che corrono, fanno appena in tempo a prendere il figlio a scuole e ripartono per un altro pomeriggio di lavoro.
Poi poco più in là…
La vista sembra quasi incredula. Ci stanno loro. Ragazzi di colore, arrivati qui da qualche parte del mondo per essere accolti. Aiutati. E così ci sta quello che ascolta l’iPod, quello che chatta con lo smartphone, quello che ti sorride, quello che ci prova con le ragazzine, quello che mendica qualche spicciolo per acquistare sempre quel cazzo di misero di tozzo di pane e quello che sta sdraiato sulla panchina ad aspettare che faccia sera. Poi, prima che faccia buio si incamminano verso la loro nuova casa: una struttura privata nel rione di Tre Ponti che ha 100 abitanti.
Da lì entreranno nelle loro stanze, si metteranno nel letto, pancia in su, musica, qualcuno cucinerà per loro e “giù ragazzi che è pronto in tavola”.
Il giorno dopo la storia si ripeterà.
Ma intanto le mamme, i papà e i nonni di quei bambini sballottati a destra e sinistra avranno fatto in tempo a fare lavatrici, stendere i panni, pulire la casa, spazzare il cortile, stirare, cucinare, pagare le bollette, controllare i compiti per casa dei bimbi, preparare lo zaino, innaffiare i fiori, litigare con i vicini e dare da mangiare al pesce.
E i ragazzi?
Chi? Quelli sardi? Bè loro.
Loro a letto a mezzanotte. Domani alle 7 si ricomincia.
#buonanottesbetti
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