A Misurina c’è un posto che sembra l’Overlook di Shining

“Scusi dov’è il bagno?”.
“Dritta in fondo a destra, scenda le scale, prosegua dritto, è l’ultima porta sulla sinistra”. Mi fermo in un bar durante il viaggio perché devo andare in bagno. Chiedo al titolare dove siano i servizi e mi fa scendere al piano di sotto. Per accedere al bagno si percorre un corridoio. Buio. Stretto. Scuro. Dopo un po’ la luce del piano di sopra svanisce. Svapora e mi ritrovo a procedere a tentoni. Tasto il muro con le mani per vedere se incappo nelle maniglie delle porte. Ne sento una ma questa non si apre. Provo la seconda e sono dentro. Il bagno è buio. Non è illuminato. Provo a sventolare la mano verso l‘alto ma non succede niente. Prendo in mano il telefono e mi faccio luce. Per imbroccare il bagno delle femmine, quello con la donnina che va al gabinetto col cappellino a fiori, devo accendere la pila dell’iPhone altrimenti qui non si vede niente. Il bagno però è bello e alla luce del telefono pare anche pulito.
Torno indietro per corridoi labirintici che quasi mi ci perdo. Infatti per risalire ai piani superiori c’ho messo un quarto d’ora per la contentezza della troupe che mi aspetta. Veniamo da una giornata dove ci siamo fatti tutt’uno con il gelo.
Le calotte di neve sopra i rami degli alberi paiono gianduiotti bianchi che a ogni vibrazione cadono sull’asfalto. Li senti spiaccicarsi a terra e se stai zitta ferma immobile con niente attorno senti questo tonfo muto quasi sordo, perfino afasico che si schianta al suolo e non puoi farci niente.
A tratti, quando non nevica, la neve inizia a gocciolare e scende a valle. La senti venire giù dai tetti. Dalle grondaie. Dai balconi. Dalle finestre. Che quasi sembrano dei rumori normali. Come deve essere vivere qui penso con tutto questo ovattamento generale. Sembra un’imbottita. Un’imbottitura. Pare cotone. Zucchero filato.
Qui la neve imbianca tutto e non fa trasparire niente. Ne annienta i contorni. Le forme. Diluisce e rimpolpa i perimetri. Amplifica i margini. Travalica i limiti. Annienta le distanze. Copre e scopre le differenze.
La neve tra Cortina, Misurina, fino su ad Auronzo di Cadore invade le strade.
Crea enormi solchi che devi scavalcare. Quando scendi dall’auto i piedi affondano nella neve come la lama affonda nella gelatina tenuta in frigo con cui ci devi fare un dolce. Poi.
Poi saliamo verso su. Alla nostra destra il Lago di Misurina. Lo vedi che pare un piumino. Una coperta. Una di quelle che vorresti avvolgerti quando torni a casa a letto. Coperto di neve gelo e ghiaccio, sullo sfondo svetta un paesaggio spettrale. Gli abeti infilati come stuzzicadenti creano linee di verde smeraldo e bianco. Il silenzio attorno è avvolgente. Strano. Fa rumore da quanto silenzio ci sia attorno. Sembra debba succedere qualcosa da un momento all’altro. Mi giro. E sullo sfondo c’è qualcosa che avevo sempre immaginato.
Nell’immaginario dei miei sogni c’era un posto come questo. Un posto horror. Uno di quelli che te la fa fare sotto. Lì in fondo, ai piedi delle montagne si incastra un palazzo che pare quello degli incubi. In un baleno ti viene in mente quel film. Dentro ti vedi bambini che corrono con i tricicli. Sangue che scorre nel bianco della neve e fuoriesce dalle pareti.
“Che silenzio strano”, mi dicono. Già. Attorno ci stanno solo gli spalaneve. Quello dei film, fermi sul ciglio della strada con lo scavatore giallo che puntualmente si incaglia.
Si è fatto tardi. È ora di rientrare al caldo.
Torniamo indietro. Ci fermiamo al bar.
“Scusi dov’è il bagno?”. “Dritta in fondo a destra, scenda le scale, prosegua dritto, è l’ultima porta sulla sinistra”.

#sbetti