Un giorno mi contatta questa donna e mi dice che viene perseguitata dal vicino di casa perché è ebrea. Vi giuro mi sono sentita morire. Dicono che devi essere in grado di concepire le ingiustizie come se fossero tue per poterle scrivere. Così, c’ho parlato, ho provato a calarmi, a immergermi. La molla per scrivere m‘è saltata quando m’ha detto: “Cammino per le strade e mi sento come un’ebrea… ho le lacrime. Sono un’ebrea che non può stare nella sua casa”…
e questo è il mio racconto
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“Cammino per le strade e mi sento come un’ebrea… ho le lacrime. Sono un’ebrea che non può stare nella sua casa”.
Dorit Benedek è nata a Gerusalemme. Ebrea, israeliana, i suoi nonni paterni morirono nel campo di Auschwitz. Quelli materni in quello di Treblinka, uno dei principali campi di sterminio nazista della Polonia occupata. Da ventidue anni ormai Dorit vive in Italia. La ama l’Italia. L’ha sempre amata. Fino a qualche mese fa viveva a Camugnano in provincia di Bologna. Ora è diventata una vagabonda. Vive in giro per gli alberghi o a casa di amici, a seconda di dove trova ospitalità. Non può più tornare nella sua abitazione perché è terrorizzata. L’11 luglio scorso le hanno ammazzato il cane al grido di Allah Akbar, probabilmente con una zappa. Quando la sentiamo al telefono, nella giornata che ricorda l’Olocausto, è un fiume in piena, stracolmo di parole e lacrime. “Sono distrutta mentalmente – ci dice – ancora è forte il dolore. Per me quel cane era come un figlio”.
Shemesh, che in ebraico vuol dire sole, era un pastore maremmano di cinque anni. Bello, bianco, dal pelo denso e candido come la neve. Dormiva con lei, mangiava con lei, Dorit lo portava a spasso ovunque, tanto era l’affetto che i due avevano. “L’avevo adottato in Israele e poi portato in Italia – ci racconta – un’associazione israeliana l’aveva salvato perché veniva maltrattato. Pensi che la pandemia l’ho passata nel mio Paese di origine e lui ha fatto il volontario per assistere gli anziani e aiutarli a sentirsi meno soli. Ma ora dopo che me l’hanno ucciso non mi do pace. Due giorni prima che lo ammazzassero il mio vicino di casa, italiano, di Bologna che mi odia e odia gli ebrei mi aveva detto che avrebbe ammazzato me e il mio cane. Anzi, prima che avrebbe ammazzato il cane e poi che mi avrebbe fatto a pezzi. C’è anche un testimone. <Ti metto una bomba sotto casa>, mi diceva. Poi l’11 luglio scorso il cane era sotto la finestra della mia cucina. Riposava, dopo un po’ mi sono affacciata e l’ho visto a terra esanime”. Dorit fa di tutto per salvarlo quel giorno, corre in clinica ma il cane le muore nell’auto. Lei quando è andata a vivere in quel villaggio a Camugnano dal verde incontaminato, a pochi chilometri da Bologna, arroccato tra le prime alture degli Appennini bolognesi, stava bene. Per lei quel villaggio era come una famiglia. Ma da quando, due anni fa, è arrivato il nuovo vicino non ha più avuto una vita. “Mi ha tolto la libertà, la tranquillità, la spensieratezza”, dice. Lei ha provato più volte a chiedere aiuto, ma le richieste sono cadute nel vuoto. “Non avevo il coraggio di denunciarlo, ma dopo la morte del cane l’ho fatto”. Dorit sporge denuncia per atti persecutori aggravati dalla matrice razziale nei confronti del vicino di casa che, si legge nel verbale: “mostrava un atteggiamento aggressivo e violento nei confronti di lei”. Frasi del tipo: “ebrea di merda, stronza, vaffanculo, torna al tuo paese”. “È evidente – si legge nella denuncia – che il (…) avesse acquisito informazioni sulla vicina e che il fatto che lei fosse di nazionalità israeliana e di religione ebraica costituisse per lui motivo di fastidio. Da quel momento iniziava un vero e proprio atteggiamento persecutorio nei confronti della deducente”.
E infatti i racconti denunciati fanno rabbrividire. “Quando la donna si trovava in casa, l’uomo, a qualsiasi ora del giorno o della notte, iniziava a urlare (…) senza alcun motivo epiteti o frasi antisemite o antisraeliane del tipo: <Israele è un paese di merda, fa schifo. Devono tutti morire. Viva la jihad. Viva Hamas, tutti gli ebrei devono morire. Allah Hu Akbar”. La querela è anche “per minaccia grave e uccisione di animale”. Dopo la morte del cane, Dorit decide di fuggire, tanto che per andare a recuperare le sue cose e i suoi vestiti si fa accompagnare, anche su consiglio dei militari dell’arma, dalle forze dell’ordine stesse.
“Per me è diventato impossibile vivere lì – ci dice – lui conosce tutti i gruppi terroristici, Daesh, Al Qaida. Me li nominava sempre. Non so se sia convertito. Ma io ho tanta paura. Io amo l’Italia e mai avrei pensato di subire un simile atto di violenza in questo Paese dove sono sempre stata bene. Ho chiesto aiuto anche al sindaco di Camugnano ma è indifferente alla mia situazione. E anche se il giudice ha dato un provvedimento di allontanamento al mio vicino io non mi sento sicura. In Italia non è come in Israele. In Israele ti fermano e ti mettono dentro. Qua invece è come con le donne, denunciano, nessuno fa niente e poi le ammazzano”. Dorit quest’estate ha raccontato il fatto a una rete televisiva israeliana il cui servizio titolava “L’Italia e l’antisemitismo”. Intanto il tribunale di Bologna, il 9 novembre scorso ha emesso un’ordinanza che dispone per l’uomo “il divieto di avvicinamento a una distanza inferiore a metri 50”. Ma lei continua ad avere paura. “Sono dovuta scappare. Sono come un vagabondo. Cerco qualche hotel che costi poco. Non è possibile che accadano ancora questi atti di antisemitismo in Italia”.
Serenella Bettin

