Non sento più il Natale, sarà il lercio di questi bassifondi

Asolo – dicembre 2022

Ultimamente non sento più il Natale. Non lo sento più. Non lo so. Sarà questo lavoro. Che te lo senti dentro. Che te lo porti appresso. Sarà questo tempo divorato dal tempo che passa. Questa voglia di vivere tutto. Fino in fondo. Questa voglia di mangiarci il tempo prima che lui mangi noi. Sarà questo continuo flusso di storie dolorose, problematiche, macigni dell’anima, tormenti, rabbie, ingiustizie, timori. Sarà questo lercio mestiere che ti spinge a penetrare i bassifondi, miseria, vizio, criminalità, quando sai che si può andare ancora più in fondo.
Mi sforzo anche di sentirlo questo benedetto Natale ma non ci riesco. Non ce la faccio. Sono lì che mi concentro e gli dico “Ti prego. Fammi sentire. Fammi sentire qualcosa”.
Niente. Zero assoluto. Resiste a tutto. Agli urti. Ai pugni. Ai calci. Ai sorrisi. Alle tensioni. Ai colpi. Agli scoppi.
Vorrei dirgli al Natale prendi una lametta, tagliami il braccio, fammi sentire che ci sei. Fammi il solletico. Ma fa qualcosa. Ma niente. Nemmeno la lama. Nemmeno la mano che pigia sulla schiena. Nemmeno un alluce che fa solletico sui piedi ai piedi di un letto sfatto con la valigia sul pavimento. Niente di niente.
Sarà che quando fai questo lavoro ringrazi Iddio di farlo. Non ti devi preoccupare di cosa fare l’ultimo dell’anno. Natale. Pasqua. Capodanno. Vigilia. Quando tutti si trovano e durante l’anno manco si guardano.
Così ogni anno cerco di sentirlo questo Natale che entra così prepotentemente dentro le nostre vite. Ogni anno sempre prima. Dal venti novembre siamo passati a fine ottobre perché – sai c’è voglia di muoversi – c’è stato il covid – tengo famiglia – la gente ha bisogno di fare festa – di sentire leggerezza – hashtag #aspettandomerrychristmas. Ma niente, non ci sente. Non lo sento. Gli dico di prendermi. Di afferrarmi. Di inondarmi di luci colori suoni e non si fa sentire. Passo accanto agli alberi di Natale che quasi tento di sorridere. Vedo le terrazze addobbate a festa. Vedo gli alberelli affacciarsi alle finestre.
Anche in redazione è apparso un alberello bello bello che ti sbatte lievemente in faccia che diamine suvvia il Natale è arrivato. Che aspetti sbetti. Muoviti. Con quei cioccolatini e quella bottiglia.
Sono piccoli frame che si ripetono. La prima palla di Natale. Il primo albero. Il primo fiocco di neve che ti sbatte sul volto. Il primo alberello a ricordarti schiaffeggiandoti che il Natale è alle porte. Come fossi sul ring. Come se mi prendesse e a piccole dosi me lo facesse assaporare. Come uno schiaffo. Che non fa male. Come a direi. “Dai ma come fai a non vedermi”. Pellicole già viste che si ripercuotono nel flusso della vita. E poi mi dico: “vabbè dai ogni anno sempre la stessa solfa”.
Però l’altro giorno passavo davanti una casa. E ho visto un ragazzo cresciuto, fare l’albero con il nonno. Il nonno prendea i rami e lui li avvolgea coi fili. E più lì prendeva più lì riavvolgeva. E poi le luci. Matasse di luci colorate. “Prova quelle. Prova queste. Controlla se vanno ancora dall’anno scorso”. E poi i rami. Gli addobbi. Le stelle. Il freddo che ti penetra le ossa. Ti arrossisce il naso. Ti irrigidisce i polpastrelli. Quel bambino divenuto ragazzino che quando era piccolo il nonno si accovacciava per guardarlo. Ora era lui che si accovacciava sul nonno. In una danza magica ricordandogli che “è quasi Natale”.
Quando mi sono voltata ho pensato: “Già… è quasi Natale… del resto questo è il flusso della vita…”

sbetti