
Gli undici morti del fango nelle Marche non sono le vittime di una calamità naturale, di un incidente, di una tragica fatalità.
Sono lo specchio nitido preciso del pressappochismo, dell’ignoranza, della sciatteria, della arroganza, della incuria negligenza e sciattezza che governano questo Paese e le amministrazioni che lo compongono. A partire da quelle locali.
Il Paese del “tanto capita sempre agli altri”. Quello del “tanto non succede niente”.
Quello dell’ “oggi è così domani si vedrà”. Quello dei rozzi trozzaloni che se piove anziché portarsi da casa l’ombrello te lo inculano dal macellaio.
Il Misa, quel fiume appenninico che sorge nel comune di Genga nella Marche e che sfocia nel mare Adriatico, era già esondato nel 2014 e aveva fatto tre morti. A seguito dell’alluvione Renzi stanziò 45 milioni e 140 mila euro proprio per la sistemazione idraulica di questo fiume.
E c’è anche un documento che certifica il rischio esondazione e una delibera del 2016. Ancora al timone della regione non c’era Francesco Acquaroli.
Un fiume che diciamocelo qua, pare sia chissà cosa, e invece è torrentizio. Non stiamo parlando del Po o di qualche corso imponente.
I politici locali per l’occasione, come sempre accade, incravattati come pinguini, avevano fatto tanto di tagli di nastri, brindisi eccetera eccetera: “finalmente ora le alluvioni e le emergenze resteranno un ricordo”.
Anzi a dirla tutta i progetti per quell’area risalgono agli anni 80 quando il Fondo per gli investimenti e l’occupazione finanziò per la prima volta la vasca di laminazione nella frazione di Bettolelle. Ossia l’opera a monte di Senigallia che se ci fosse stata questi giorni avrebbe salvato alcune vite.
Ora è risaputo che con i se non si fa la storia ma dove sono finiti i soldi che dovevano servire per la messa in sicurezza del fiume? Perché nessuno aveva pulito i fossi, fatto manutenzione, costruito quelle famose vasche di cui si parla da trent’anni? La vasca che avrebbe dovuto salvare Senigallia è in stand by dal 2014.
Perché la storia del Misa non è niente di meno che uguale a tante altre storie italiane. Lo scandalo Mose. Una delle opere più controverse e uno dei più brutti e vergognosi scandali giudiziari. Il Ponte Morandi. Le opere incompiute. Tutta quella sciatteria su cui si crogiola e ci coccola chi ci governa.
Dietro al disastro nelle Marche ci sono fondi mai spesi. I ritardi. La burocrazia che ti tritura. Le macchinazioni. I piaceri. Il farsi i fatti propri credendo che capiti sempre agli altri. È inutile che le amministrazioni mandino i messaggi di cordoglio alle famiglie, quando si è costruito dove non si doveva costruire. Quando non si è pulito dove si doveva pulire, quando per gli interessi e il menefreghismo totale di gente incolta e ignorante si è voltato la testa dall’altra parte. E non è colpa di certo del neo presidente che andato su nel 2020 tra pandemia e bollette mancavano le alluvioni.
Sì certo, possiamo pure fingere che sia tutta colpa del cambiamento climatico. Possiamo pure fingere che abbiano ragione Greta e i gretini. Possiamo pure fingere che non si poteva prevedere.
I morti però, quelli no.
Quelli non sono finti.
Mi auguro non abbiate il coraggio di guardare negli occhi i loro parenti.