Non è un Paese per giovani

Non è un Paese per giovani.
L’altra sera ho avuto modo di parlare con tre ragazzi. Hanno tutti intorno ai 25 anni. Chi più. Chi meno. C’ho parlato tutta la sera e mi è venuta su la rabbia. Quanta rabbia.
Mi hanno raccontato del loro lavoro, di quanto hanno studiato, di come vengono trattati, di quanto vengono pagati, di come lo Stato ogni mese si prende la metà della loro busta paga. Sembravano fiumi in piena.
Avrei voluto fermarli, arrestarli, dire loro “basta vi prego basta”, trattenerli dal dire quelle parole che fluivano via come l’acqua ma li ho lasciati parlare e ho ascoltato tutto.
C’è uno che si fa il mazzo per 12 ore al giorno. Il fine settimana lavora anche in un locale per sbarcare il lunario. Mi ha fatto vedere la busta paga, lo Stato ogni mese si tiene metà del suo stipendio.
Il suo amico invece, lavoratore in un magazzino. Questo fa gli straordinari manco lo pagano. Nel campo della ristorazione ha avuto solo problemi. Ci sono alcuni seri che pagano i dipendenti, questo lo so per certo, li trattano bene, con i guanti, se entri come cameriere in un posto serio, se vedono che sei bravo e ci sai fare magari arrivi anche oltre.
Ma ci sono anche i farabutti che se ne approfittano. In nero quando ti va bene sono 7 euro l’ora. Sette euro per arricchire un energumeno col Cayenne che ti parcheggia sotto il naso e ti fischia quando ti deve chiamare. I turni festivi non sono retribuiti come dovrebbero. Lavorare così diventa impossibile. L’altra ragazza invece da anni fa un lavoro che non le piace. Non viene valorizzata, non viene spronata, stimolata.
In questo Paese hai poco da dire, mancano stimoli, prospettive, tutto diventa impossibile. Ti trovi davanti a mille blocchi, ostacoli, tutto sempre difficile, macchinoso, legnoso.
Quando parlo con questi ragazzi – a parte quelli svogliati e ce ne sono veramente tanti, Dio se ce ne sono – le mosche bianche che hanno voglia di fare le facciamo fuggire all’estero. Loro infatti stanno pensando di andarsene.
Quando parlo con questi ragazzi ci vedo il fumo negli occhi, la rabbia, la delusione, l’angoscia, lo sdegno per essere stati frustrati ingannati, delusi. Hanno infranto le loro speranze. Il loro sogni. I loro desideri. Le loro aspirazioni.
Hanno soffocato i loro talenti, le loro attitudini, le loro inclinazioni. Hanno amplificato i loro bernoccoli, le loro ansie, paure, preoccupazioni.
Ho detto loro: “ribellatevi, andatevene da quel posto, costruite qualcosa di vostro, tirate fuori i pugni porca miseria, urlate, sbraitate, riprendetevi in mano la vostra vita. Fate una battaglia che non sia soltanto vostra. Svegliatevi!”
Una vita vissuta come vogliono gli altri, per arricchire chi usa la vostra schiena per salire i podi, è una vita sprecata. Che ci state a fare a questo mondo se non potete tirare fuori quello che siete. Ma niente. Solo la rabbia e lo sdegno. Zero azione.
Tu ci parli e li vedi navigare nel vuoto, si tuffano a mare come si buttano i pesci pescati che non li vuoi più e te ne sbarazzi. Hanno macigni sul petto che paiono massi. Sono derisi, scontenti, amorfi, inappagati. Sono la punta dell’iceberg di un mare merdum che non puoi svuotare. È lì, devi solo tentare di stare a galla o di uscirne. Del resto impossibile vivere in Italia. Questo Paese è totalmente irriformabile. I giovani vengono usati come preservativi nelle campagne elettorali, servono come godimento passeggero, come protezione, come qualcosa per accapparrare voti, c’è una certa parte politica poi che ai giovani non ci pensa nemmeno, li indottrina, li forma, li plasma, li vuole esattamente come vuole lei. I giovani non sono delle creature da far sbocciare, sono dei fogli di carta da modellare come origami che quando cambia l’onda disfi.
Di disoccupazione giovanile, di mancanza di progetti ne hanno parlato per anni in tutte le salse. Non c’è verso. Non c’è gergo. Non c’è ascolto. Meno nascite, meno giovani, meno lavoro. L’abbandono del posto fisso, la mancanza di tutele, la derisione di percepire un reddito e non fare un tubo, la fine della condivisione, l’inizio di solitudini iperconnesse, sempre lì, sempre assenti ma presenti, sempre online, sempre onair, sempre ansiogeni di un’ansia collettiva che fai fatica a sradicare. Soprattutto ora. La guerra, la pandemia, la totale incapacità della politica. Per chi ha voglia di lavorare, queste non sono fisime. Sono ansie. Angosce. Preoccupazioni. Sono struggimenti, affanni, tormenti che non ti fanno dormire la notte. Tutti e tre mi hanno detto: “Conviene andarsene. l’Italia è una merda”.
Non posso che essere d’accordo.

sbetti